diff --git a/data/dante.txt b/data/dante.txt new file mode 100644 index 0000000..b1e6976 --- /dev/null +++ b/data/dante.txt @@ -0,0 +1,19567 @@ +LA DIVINA COMMEDIA +di Dante Alighieri + + + + + +INFERNO + + + + +Inferno · Canto I + + +Nel mezzo del cammin di nostra vita +mi ritrovai per una selva oscura, +ché la diritta via era smarrita. + +Ahi quanto a dir qual era è cosa dura +esta selva selvaggia e aspra e forte +che nel pensier rinova la paura! + +Tant’ è amara che poco è più morte; +ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, +dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte. + +Io non so ben ridir com’ i’ v’intrai, +tant’ era pien di sonno a quel punto +che la verace via abbandonai. + +Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, +là dove terminava quella valle +che m’avea di paura il cor compunto, + +guardai in alto e vidi le sue spalle +vestite già de’ raggi del pianeta +che mena dritto altrui per ogne calle. + +Allor fu la paura un poco queta, +che nel lago del cor m’era durata +la notte ch’i’ passai con tanta pieta. + +E come quei che con lena affannata, +uscito fuor del pelago a la riva, +si volge a l’acqua perigliosa e guata, + +così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, +si volse a retro a rimirar lo passo +che non lasciò già mai persona viva. + +Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, +ripresi via per la piaggia diserta, +sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. + +Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, +una lonza leggera e presta molto, +che di pel macolato era coverta; + +e non mi si partia dinanzi al volto, +anzi ’mpediva tanto il mio cammino, +ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. + +Temp’ era dal principio del mattino, +e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle +ch’eran con lui quando l’amor divino + +mosse di prima quelle cose belle; +sì ch’a bene sperar m’era cagione +di quella fiera a la gaetta pelle + +l’ora del tempo e la dolce stagione; +ma non sì che paura non mi desse +la vista che m’apparve d’un leone. + +Questi parea che contra me venisse +con la test’ alta e con rabbiosa fame, +sì che parea che l’aere ne tremesse. + +Ed una lupa, che di tutte brame +sembiava carca ne la sua magrezza, +e molte genti fé già viver grame, + +questa mi porse tanto di gravezza +con la paura ch’uscia di sua vista, +ch’io perdei la speranza de l’altezza. + +E qual è quei che volontieri acquista, +e giugne ’l tempo che perder lo face, +che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; + +tal mi fece la bestia sanza pace, +che, venendomi ’ncontro, a poco a poco +mi ripigneva là dove ’l sol tace. + +Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, +dinanzi a li occhi mi si fu offerto +chi per lungo silenzio parea fioco. + +Quando vidi costui nel gran diserto, +«Miserere di me», gridai a lui, +«qual che tu sii, od ombra od omo certo!». + +Rispuosemi: «Non omo, omo già fui, +e li parenti miei furon lombardi, +mantoani per patrïa ambedui. + +Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, +e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto +nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. + +Poeta fui, e cantai di quel giusto +figliuol d’Anchise che venne di Troia, +poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. + +Ma tu perché ritorni a tanta noia? +perché non sali il dilettoso monte +ch’è principio e cagion di tutta gioia?». + +«Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte +che spandi di parlar sì largo fiume?», +rispuos’ io lui con vergognosa fronte. + +«O de li altri poeti onore e lume, +vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore +che m’ha fatto cercar lo tuo volume. + +Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, +tu se’ solo colui da cu’ io tolsi +lo bello stilo che m’ha fatto onore. + +Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; +aiutami da lei, famoso saggio, +ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi». + +«A te convien tenere altro vïaggio», +rispuose, poi che lagrimar mi vide, +«se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; + +ché questa bestia, per la qual tu gride, +non lascia altrui passar per la sua via, +ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; + +e ha natura sì malvagia e ria, +che mai non empie la bramosa voglia, +e dopo ’l pasto ha più fame che pria. + +Molti son li animali a cui s’ammoglia, +e più saranno ancora, infin che ’l veltro +verrà, che la farà morir con doglia. + +Questi non ciberà terra né peltro, +ma sapïenza, amore e virtute, +e sua nazion sarà tra feltro e feltro. + +Di quella umile Italia fia salute +per cui morì la vergine Cammilla, +Eurialo e Turno e Niso di ferute. + +Questi la caccerà per ogne villa, +fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, +là onde ’nvidia prima dipartilla. + +Ond’ io per lo tuo me’ penso e discerno +che tu mi segui, e io sarò tua guida, +e trarrotti di qui per loco etterno; + +ove udirai le disperate strida, +vedrai li antichi spiriti dolenti, +ch’a la seconda morte ciascun grida; + +e vederai color che son contenti +nel foco, perché speran di venire +quando che sia a le beate genti. + +A le quai poi se tu vorrai salire, +anima fia a ciò più di me degna: +con lei ti lascerò nel mio partire; + +ché quello imperador che là sù regna, +perch’ i’ fu’ ribellante a la sua legge, +non vuol che ’n sua città per me si vegna. + +In tutte parti impera e quivi regge; +quivi è la sua città e l’alto seggio: +oh felice colui cu’ ivi elegge!». + +E io a lui: «Poeta, io ti richeggio +per quello Dio che tu non conoscesti, +acciò ch’io fugga questo male e peggio, + +che tu mi meni là dov’ or dicesti, +sì ch’io veggia la porta di san Pietro +e color cui tu fai cotanto mesti». + +Allor si mosse, e io li tenni dietro. + + + +Inferno · Canto II + + +Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno +toglieva li animai che sono in terra +da le fatiche loro; e io sol uno + +m’apparecchiava a sostener la guerra +sì del cammino e sì de la pietate, +che ritrarrà la mente che non erra. + +O muse, o alto ingegno, or m’aiutate; +o mente che scrivesti ciò ch’io vidi, +qui si parrà la tua nobilitate. + +Io cominciai: «Poeta che mi guidi, +guarda la mia virtù s’ell’ è possente, +prima ch’a l’alto passo tu mi fidi. + +Tu dici che di Silvïo il parente, +corruttibile ancora, ad immortale +secolo andò, e fu sensibilmente. + +Però, se l’avversario d’ogne male +cortese i fu, pensando l’alto effetto +ch’uscir dovea di lui, e ’l chi e ’l quale + +non pare indegno ad omo d’intelletto; +ch’e’ fu de l’alma Roma e di suo impero +ne l’empireo ciel per padre eletto: + +la quale e ’l quale, a voler dir lo vero, +fu stabilita per lo loco santo +u’ siede il successor del maggior Piero. + +Per quest’ andata onde li dai tu vanto, +intese cose che furon cagione +di sua vittoria e del papale ammanto. + +Andovvi poi lo Vas d’elezïone, +per recarne conforto a quella fede +ch’è principio a la via di salvazione. + +Ma io, perché venirvi? o chi ’l concede? +Io non Enëa, io non Paulo sono; +me degno a ciò né io né altri ’l crede. + +Per che, se del venire io m’abbandono, +temo che la venuta non sia folle. +Se’ savio; intendi me’ ch’i’ non ragiono». + +E qual è quei che disvuol ciò che volle +e per novi pensier cangia proposta, +sì che dal cominciar tutto si tolle, + +tal mi fec’ ïo ’n quella oscura costa, +perché, pensando, consumai la ’mpresa +che fu nel cominciar cotanto tosta. + +«S’i’ ho ben la parola tua intesa», +rispuose del magnanimo quell’ ombra, +«l’anima tua è da viltade offesa; + +la qual molte fïate l’omo ingombra +sì che d’onrata impresa lo rivolve, +come falso veder bestia quand’ ombra. + +Da questa tema acciò che tu ti solve, +dirotti perch’ io venni e quel ch’io ’ntesi +nel primo punto che di te mi dolve. + +Io era tra color che son sospesi, +e donna mi chiamò beata e bella, +tal che di comandare io la richiesi. + +Lucevan li occhi suoi più che la stella; +e cominciommi a dir soave e piana, +con angelica voce, in sua favella: + +“O anima cortese mantoana, +di cui la fama ancor nel mondo dura, +e durerà quanto ’l mondo lontana, + +l’amico mio, e non de la ventura, +ne la diserta piaggia è impedito +sì nel cammin, che vòlt’ è per paura; + +e temo che non sia già sì smarrito, +ch’io mi sia tardi al soccorso levata, +per quel ch’i’ ho di lui nel cielo udito. + +Or movi, e con la tua parola ornata +e con ciò c’ha mestieri al suo campare, +l’aiuta sì ch’i’ ne sia consolata. + +I’ son Beatrice che ti faccio andare; +vegno del loco ove tornar disio; +amor mi mosse, che mi fa parlare. + +Quando sarò dinanzi al segnor mio, +di te mi loderò sovente a lui”. +Tacette allora, e poi comincia’ io: + +“O donna di virtù sola per cui +l’umana spezie eccede ogne contento +di quel ciel c’ha minor li cerchi sui, + +tanto m’aggrada il tuo comandamento, +che l’ubidir, se già fosse, m’è tardi; +più non t’è uo’ ch’aprirmi il tuo talento. + +Ma dimmi la cagion che non ti guardi +de lo scender qua giuso in questo centro +de l’ampio loco ove tornar tu ardi”. + +“Da che tu vuo’ saver cotanto a dentro, +dirotti brievemente”, mi rispuose, +“perch’ i’ non temo di venir qua entro. + +Temer si dee di sole quelle cose +c’hanno potenza di fare altrui male; +de l’altre no, ché non son paurose. + +I’ son fatta da Dio, sua mercé, tale, +che la vostra miseria non mi tange, +né fiamma d’esto ’ncendio non m’assale. + +Donna è gentil nel ciel che si compiange +di questo ’mpedimento ov’ io ti mando, +sì che duro giudicio là sù frange. + +Questa chiese Lucia in suo dimando +e disse:—Or ha bisogno il tuo fedele +di te, e io a te lo raccomando—. + +Lucia, nimica di ciascun crudele, +si mosse, e venne al loco dov’ i’ era, +che mi sedea con l’antica Rachele. + +Disse:—Beatrice, loda di Dio vera, +ché non soccorri quei che t’amò tanto, +ch’uscì per te de la volgare schiera? + +Non odi tu la pieta del suo pianto, +non vedi tu la morte che ’l combatte +su la fiumana ove ’l mar non ha vanto?—. + +Al mondo non fur mai persone ratte +a far lor pro o a fuggir lor danno, +com’ io, dopo cotai parole fatte, + +venni qua giù del mio beato scanno, +fidandomi del tuo parlare onesto, +ch’onora te e quei ch’udito l’hanno”. + +Poscia che m’ebbe ragionato questo, +li occhi lucenti lagrimando volse, +per che mi fece del venir più presto. + +E venni a te così com’ ella volse: +d’inanzi a quella fiera ti levai +che del bel monte il corto andar ti tolse. + +Dunque: che è? perché, perché restai, +perché tanta viltà nel core allette, +perché ardire e franchezza non hai, + +poscia che tai tre donne benedette +curan di te ne la corte del cielo, +e ’l mio parlar tanto ben ti promette?». + +Quali fioretti dal notturno gelo +chinati e chiusi, poi che ’l sol li ’mbianca, +si drizzan tutti aperti in loro stelo, + +tal mi fec’ io di mia virtude stanca, +e tanto buono ardire al cor mi corse, +ch’i’ cominciai come persona franca: + +«Oh pietosa colei che mi soccorse! +e te cortese ch’ubidisti tosto +a le vere parole che ti porse! + +Tu m’hai con disiderio il cor disposto +sì al venir con le parole tue, +ch’i’ son tornato nel primo proposto. + +Or va, ch’un sol volere è d’ambedue: +tu duca, tu segnore e tu maestro». +Così li dissi; e poi che mosso fue, + +intrai per lo cammino alto e silvestro. + + + +Inferno · Canto III + + +‘Per me si va ne la città dolente, +per me si va ne l’etterno dolore, +per me si va tra la perduta gente. + +Giustizia mosse il mio alto fattore; +fecemi la divina podestate, +la somma sapïenza e ’l primo amore. + +Dinanzi a me non fuor cose create +se non etterne, e io etterno duro. +Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate’. + +Queste parole di colore oscuro +vid’ ïo scritte al sommo d’una porta; +per ch’io: «Maestro, il senso lor m’è duro». + +Ed elli a me, come persona accorta: +«Qui si convien lasciare ogne sospetto; +ogne viltà convien che qui sia morta. + +Noi siam venuti al loco ov’ i’ t’ho detto +che tu vedrai le genti dolorose +c’hanno perduto il ben de l’intelletto». + +E poi che la sua mano a la mia puose +con lieto volto, ond’ io mi confortai, +mi mise dentro a le segrete cose. + +Quivi sospiri, pianti e alti guai +risonavan per l’aere sanza stelle, +per ch’io al cominciar ne lagrimai. + +Diverse lingue, orribili favelle, +parole di dolore, accenti d’ira, +voci alte e fioche, e suon di man con elle + +facevano un tumulto, il qual s’aggira +sempre in quell’ aura sanza tempo tinta, +come la rena quando turbo spira. + +E io ch’avea d’error la testa cinta, +dissi: «Maestro, che è quel ch’i’ odo? +e che gent’ è che par nel duol sì vinta?». + +Ed elli a me: «Questo misero modo +tegnon l’anime triste di coloro +che visser sanza ’nfamia e sanza lodo. + +Mischiate sono a quel cattivo coro +de li angeli che non furon ribelli +né fur fedeli a Dio, ma per sé fuoro. + +Caccianli i ciel per non esser men belli, +né lo profondo inferno li riceve, +ch’alcuna gloria i rei avrebber d’elli». + +E io: «Maestro, che è tanto greve +a lor che lamentar li fa sì forte?». +Rispuose: «Dicerolti molto breve. + +Questi non hanno speranza di morte, +e la lor cieca vita è tanto bassa, +che ’nvidïosi son d’ogne altra sorte. + +Fama di loro il mondo esser non lassa; +misericordia e giustizia li sdegna: +non ragioniam di lor, ma guarda e passa». + +E io, che riguardai, vidi una ’nsegna +che girando correva tanto ratta, +che d’ogne posa mi parea indegna; + +e dietro le venìa sì lunga tratta +di gente, ch’i’ non averei creduto +che morte tanta n’avesse disfatta. + +Poscia ch’io v’ebbi alcun riconosciuto, +vidi e conobbi l’ombra di colui +che fece per viltade il gran rifiuto. + +Incontanente intesi e certo fui +che questa era la setta d’i cattivi, +a Dio spiacenti e a’ nemici sui. + +Questi sciaurati, che mai non fur vivi, +erano ignudi e stimolati molto +da mosconi e da vespe ch’eran ivi. + +Elle rigavan lor di sangue il volto, +che, mischiato di lagrime, a’ lor piedi +da fastidiosi vermi era ricolto. + +E poi ch’a riguardar oltre mi diedi, +vidi genti a la riva d’un gran fiume; +per ch’io dissi: «Maestro, or mi concedi + +ch’i’ sappia quali sono, e qual costume +le fa di trapassar parer sì pronte, +com’ i’ discerno per lo fioco lume». + +Ed elli a me: «Le cose ti fier conte +quando noi fermerem li nostri passi +su la trista riviera d’Acheronte». + +Allor con li occhi vergognosi e bassi, +temendo no ’l mio dir li fosse grave, +infino al fiume del parlar mi trassi. + +Ed ecco verso noi venir per nave +un vecchio, bianco per antico pelo, +gridando: «Guai a voi, anime prave! + +Non isperate mai veder lo cielo: +i’ vegno per menarvi a l’altra riva +ne le tenebre etterne, in caldo e ’n gelo. + +E tu che se’ costì, anima viva, +pàrtiti da cotesti che son morti». +Ma poi che vide ch’io non mi partiva, + +disse: «Per altra via, per altri porti +verrai a piaggia, non qui, per passare: +più lieve legno convien che ti porti». + +E ’l duca lui: «Caron, non ti crucciare: +vuolsi così colà dove si puote +ciò che si vuole, e più non dimandare». + +Quinci fuor quete le lanose gote +al nocchier de la livida palude, +che ’ntorno a li occhi avea di fiamme rote. + +Ma quell’ anime, ch’eran lasse e nude, +cangiar colore e dibattero i denti, +ratto che ’nteser le parole crude. + +Bestemmiavano Dio e lor parenti, +l’umana spezie e ’l loco e ’l tempo e ’l seme +di lor semenza e di lor nascimenti. + +Poi si ritrasser tutte quante insieme, +forte piangendo, a la riva malvagia +ch’attende ciascun uom che Dio non teme. + +Caron dimonio, con occhi di bragia +loro accennando, tutte le raccoglie; +batte col remo qualunque s’adagia. + +Come d’autunno si levan le foglie +l’una appresso de l’altra, fin che ’l ramo +vede a la terra tutte le sue spoglie, + +similemente il mal seme d’Adamo +gittansi di quel lito ad una ad una, +per cenni come augel per suo richiamo. + +Così sen vanno su per l’onda bruna, +e avanti che sien di là discese, +anche di qua nuova schiera s’auna. + +«Figliuol mio», disse ’l maestro cortese, +«quelli che muoion ne l’ira di Dio +tutti convegnon qui d’ogne paese; + +e pronti sono a trapassar lo rio, +ché la divina giustizia li sprona, +sì che la tema si volve in disio. + +Quinci non passa mai anima buona; +e però, se Caron di te si lagna, +ben puoi sapere omai che ’l suo dir suona». + +Finito questo, la buia campagna +tremò sì forte, che de lo spavento +la mente di sudore ancor mi bagna. + +La terra lagrimosa diede vento, +che balenò una luce vermiglia +la qual mi vinse ciascun sentimento; + +e caddi come l’uom cui sonno piglia. + + + +Inferno · Canto IV + + +Ruppemi l’alto sonno ne la testa +un greve truono, sì ch’io mi riscossi +come persona ch’è per forza desta; + +e l’occhio riposato intorno mossi, +dritto levato, e fiso riguardai +per conoscer lo loco dov’ io fossi. + +Vero è che ’n su la proda mi trovai +de la valle d’abisso dolorosa +che ’ntrono accoglie d’infiniti guai. + +Oscura e profonda era e nebulosa +tanto che, per ficcar lo viso a fondo, +io non vi discernea alcuna cosa. + +«Or discendiam qua giù nel cieco mondo», +cominciò il poeta tutto smorto. +«Io sarò primo, e tu sarai secondo». + +E io, che del color mi fui accorto, +dissi: «Come verrò, se tu paventi +che suoli al mio dubbiare esser conforto?». + +Ed elli a me: «L’angoscia de le genti +che son qua giù, nel viso mi dipigne +quella pietà che tu per tema senti. + +Andiam, ché la via lunga ne sospigne». +Così si mise e così mi fé intrare +nel primo cerchio che l’abisso cigne. + +Quivi, secondo che per ascoltare, +non avea pianto mai che di sospiri +che l’aura etterna facevan tremare; + +ciò avvenia di duol sanza martìri, +ch’avean le turbe, ch’eran molte e grandi, +d’infanti e di femmine e di viri. + +Lo buon maestro a me: «Tu non dimandi +che spiriti son questi che tu vedi? +Or vo’ che sappi, innanzi che più andi, + +ch’ei non peccaro; e s’elli hanno mercedi, +non basta, perché non ebber battesmo, +ch’è porta de la fede che tu credi; + +e s’e’ furon dinanzi al cristianesmo, +non adorar debitamente a Dio: +e di questi cotai son io medesmo. + +Per tai difetti, non per altro rio, +semo perduti, e sol di tanto offesi +che sanza speme vivemo in disio». + +Gran duol mi prese al cor quando lo ’ntesi, +però che gente di molto valore +conobbi che ’n quel limbo eran sospesi. + +«Dimmi, maestro mio, dimmi, segnore», +comincia’ io per voler esser certo +di quella fede che vince ogne errore: + +«uscicci mai alcuno, o per suo merto +o per altrui, che poi fosse beato?». +E quei che ’ntese il mio parlar coverto, + +rispuose: «Io era nuovo in questo stato, +quando ci vidi venire un possente, +con segno di vittoria coronato. + +Trasseci l’ombra del primo parente, +d’Abèl suo figlio e quella di Noè, +di Moïsè legista e ubidente; + +Abraàm patrïarca e Davìd re, +Israèl con lo padre e co’ suoi nati +e con Rachele, per cui tanto fé, + +e altri molti, e feceli beati. +E vo’ che sappi che, dinanzi ad essi, +spiriti umani non eran salvati». + +Non lasciavam l’andar perch’ ei dicessi, +ma passavam la selva tuttavia, +la selva, dico, di spiriti spessi. + +Non era lunga ancor la nostra via +di qua dal sonno, quand’ io vidi un foco +ch’emisperio di tenebre vincia. + +Di lungi n’eravamo ancora un poco, +ma non sì ch’io non discernessi in parte +ch’orrevol gente possedea quel loco. + +«O tu ch’onori scïenzïa e arte, +questi chi son c’hanno cotanta onranza, +che dal modo de li altri li diparte?». + +E quelli a me: «L’onrata nominanza +che di lor suona sù ne la tua vita, +grazïa acquista in ciel che sì li avanza». + +Intanto voce fu per me udita: +«Onorate l’altissimo poeta; +l’ombra sua torna, ch’era dipartita». + +Poi che la voce fu restata e queta, +vidi quattro grand’ ombre a noi venire: +sembianz’ avevan né trista né lieta. + +Lo buon maestro cominciò a dire: +«Mira colui con quella spada in mano, +che vien dinanzi ai tre sì come sire: + +quelli è Omero poeta sovrano; +l’altro è Orazio satiro che vene; +Ovidio è ’l terzo, e l’ultimo Lucano. + +Però che ciascun meco si convene +nel nome che sonò la voce sola, +fannomi onore, e di ciò fanno bene». + +Così vid’ i’ adunar la bella scola +di quel segnor de l’altissimo canto +che sovra li altri com’ aquila vola. + +Da ch’ebber ragionato insieme alquanto, +volsersi a me con salutevol cenno, +e ’l mio maestro sorrise di tanto; + +e più d’onore ancora assai mi fenno, +ch’e’ sì mi fecer de la loro schiera, +sì ch’io fui sesto tra cotanto senno. + +Così andammo infino a la lumera, +parlando cose che ’l tacere è bello, +sì com’ era ’l parlar colà dov’ era. + +Venimmo al piè d’un nobile castello, +sette volte cerchiato d’alte mura, +difeso intorno d’un bel fiumicello. + +Questo passammo come terra dura; +per sette porte intrai con questi savi: +giugnemmo in prato di fresca verdura. + +Genti v’eran con occhi tardi e gravi, +di grande autorità ne’ lor sembianti: +parlavan rado, con voci soavi. + +Traemmoci così da l’un de’ canti, +in loco aperto, luminoso e alto, +sì che veder si potien tutti quanti. + +Colà diritto, sovra ’l verde smalto, +mi fuor mostrati li spiriti magni, +che del vedere in me stesso m’essalto. + +I’ vidi Eletra con molti compagni, +tra ’ quai conobbi Ettòr ed Enea, +Cesare armato con li occhi grifagni. + +Vidi Cammilla e la Pantasilea; +da l’altra parte vidi ’l re Latino +che con Lavina sua figlia sedea. + +Vidi quel Bruto che cacciò Tarquino, +Lucrezia, Iulia, Marzïa e Corniglia; +e solo, in parte, vidi ’l Saladino. + +Poi ch’innalzai un poco più le ciglia, +vidi ’l maestro di color che sanno +seder tra filosofica famiglia. + +Tutti lo miran, tutti onor li fanno: +quivi vid’ ïo Socrate e Platone, +che ’nnanzi a li altri più presso li stanno; + +Democrito che ’l mondo a caso pone, +Dïogenès, Anassagora e Tale, +Empedoclès, Eraclito e Zenone; + +e vidi il buono accoglitor del quale, +Dïascoride dico; e vidi Orfeo, +Tulïo e Lino e Seneca morale; + +Euclide geomètra e Tolomeo, +Ipocràte, Avicenna e Galïeno, +Averoìs, che ’l gran comento feo. + +Io non posso ritrar di tutti a pieno, +però che sì mi caccia il lungo tema, +che molte volte al fatto il dir vien meno. + +La sesta compagnia in due si scema: +per altra via mi mena il savio duca, +fuor de la queta, ne l’aura che trema. + +E vegno in parte ove non è che luca. + + + +Inferno · Canto V + + +Così discesi del cerchio primaio +giù nel secondo, che men loco cinghia +e tanto più dolor, che punge a guaio. + +Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: +essamina le colpe ne l’intrata; +giudica e manda secondo ch’avvinghia. + +Dico che quando l’anima mal nata +li vien dinanzi, tutta si confessa; +e quel conoscitor de le peccata + +vede qual loco d’inferno è da essa; +cignesi con la coda tante volte +quantunque gradi vuol che giù sia messa. + +Sempre dinanzi a lui ne stanno molte: +vanno a vicenda ciascuna al giudizio, +dicono e odono e poi son giù volte. + +«O tu che vieni al doloroso ospizio», +disse Minòs a me quando mi vide, +lasciando l’atto di cotanto offizio, + +«guarda com’ entri e di cui tu ti fide; +non t’inganni l’ampiezza de l’intrare!». +E ’l duca mio a lui: «Perché pur gride? + +Non impedir lo suo fatale andare: +vuolsi così colà dove si puote +ciò che si vuole, e più non dimandare». + +Or incomincian le dolenti note +a farmisi sentire; or son venuto +là dove molto pianto mi percuote. + +Io venni in loco d’ogne luce muto, +che mugghia come fa mar per tempesta, +se da contrari venti è combattuto. + +La bufera infernal, che mai non resta, +mena li spirti con la sua rapina; +voltando e percotendo li molesta. + +Quando giungon davanti a la ruina, +quivi le strida, il compianto, il lamento; +bestemmian quivi la virtù divina. + +Intesi ch’a così fatto tormento +enno dannati i peccator carnali, +che la ragion sommettono al talento. + +E come li stornei ne portan l’ali +nel freddo tempo, a schiera larga e piena, +così quel fiato li spiriti mali + +di qua, di là, di giù, di sù li mena; +nulla speranza li conforta mai, +non che di posa, ma di minor pena. + +E come i gru van cantando lor lai, +faccendo in aere di sé lunga riga, +così vid’ io venir, traendo guai, + +ombre portate da la detta briga; +per ch’i’ dissi: «Maestro, chi son quelle +genti che l’aura nera sì gastiga?». + +«La prima di color di cui novelle +tu vuo’ saper», mi disse quelli allotta, +«fu imperadrice di molte favelle. + +A vizio di lussuria fu sì rotta, +che libito fé licito in sua legge, +per tòrre il biasmo in che era condotta. + +Ell’ è Semiramìs, di cui si legge +che succedette a Nino e fu sua sposa: +tenne la terra che ’l Soldan corregge. + +L’altra è colei che s’ancise amorosa, +e ruppe fede al cener di Sicheo; +poi è Cleopatràs lussurïosa. + +Elena vedi, per cui tanto reo +tempo si volse, e vedi ’l grande Achille, +che con amore al fine combatteo. + +Vedi Parìs, Tristano»; e più di mille +ombre mostrommi e nominommi a dito, +ch’amor di nostra vita dipartille. + +Poscia ch’io ebbi ’l mio dottore udito +nomar le donne antiche e ’ cavalieri, +pietà mi giunse, e fui quasi smarrito. + +I’ cominciai: «Poeta, volontieri +parlerei a quei due che ’nsieme vanno, +e paion sì al vento esser leggeri». + +Ed elli a me: «Vedrai quando saranno +più presso a noi; e tu allor li priega +per quello amor che i mena, ed ei verranno». + +Sì tosto come il vento a noi li piega, +mossi la voce: «O anime affannate, +venite a noi parlar, s’altri nol niega!». + +Quali colombe dal disio chiamate +con l’ali alzate e ferme al dolce nido +vegnon per l’aere, dal voler portate; + +cotali uscir de la schiera ov’ è Dido, +a noi venendo per l’aere maligno, +sì forte fu l’affettüoso grido. + +«O animal grazïoso e benigno +che visitando vai per l’aere perso +noi che tignemmo il mondo di sanguigno, + +se fosse amico il re de l’universo, +noi pregheremmo lui de la tua pace, +poi c’hai pietà del nostro mal perverso. + +Di quel che udire e che parlar vi piace, +noi udiremo e parleremo a voi, +mentre che ’l vento, come fa, ci tace. + +Siede la terra dove nata fui +su la marina dove ’l Po discende +per aver pace co’ seguaci sui. + +Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, +prese costui de la bella persona +che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. + +Amor, ch’a nullo amato amar perdona, +mi prese del costui piacer sì forte, +che, come vedi, ancor non m’abbandona. + +Amor condusse noi ad una morte. +Caina attende chi a vita ci spense». +Queste parole da lor ci fuor porte. + +Quand’ io intesi quell’ anime offense, +china’ il viso, e tanto il tenni basso, +fin che ’l poeta mi disse: «Che pense?». + +Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, +quanti dolci pensier, quanto disio +menò costoro al doloroso passo!». + +Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, +e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri +a lagrimar mi fanno tristo e pio. + +Ma dimmi: al tempo d’i dolci sospiri, +a che e come concedette amore +che conosceste i dubbiosi disiri?». + +E quella a me: «Nessun maggior dolore +che ricordarsi del tempo felice +ne la miseria; e ciò sa ’l tuo dottore. + +Ma s’a conoscer la prima radice +del nostro amor tu hai cotanto affetto, +dirò come colui che piange e dice. + +Noi leggiavamo un giorno per diletto +di Lancialotto come amor lo strinse; +soli eravamo e sanza alcun sospetto. + +Per più fïate li occhi ci sospinse +quella lettura, e scolorocci il viso; +ma solo un punto fu quel che ci vinse. + +Quando leggemmo il disïato riso +esser basciato da cotanto amante, +questi, che mai da me non fia diviso, + +la bocca mi basciò tutto tremante. +Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse: +quel giorno più non vi leggemmo avante». + +Mentre che l’uno spirto questo disse, +l’altro piangëa; sì che di pietade +io venni men così com’ io morisse. + +E caddi come corpo morto cade. + + + +Inferno · Canto VI + + +Al tornar de la mente, che si chiuse +dinanzi a la pietà d’i due cognati, +che di trestizia tutto mi confuse, + +novi tormenti e novi tormentati +mi veggio intorno, come ch’io mi mova +e ch’io mi volga, e come che io guati. + +Io sono al terzo cerchio, de la piova +etterna, maladetta, fredda e greve; +regola e qualità mai non l’è nova. + +Grandine grossa, acqua tinta e neve +per l’aere tenebroso si riversa; +pute la terra che questo riceve. + +Cerbero, fiera crudele e diversa, +con tre gole caninamente latra +sovra la gente che quivi è sommersa. + +Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, +e ’l ventre largo, e unghiate le mani; +graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. + +Urlar li fa la pioggia come cani; +de l’un de’ lati fanno a l’altro schermo; +volgonsi spesso i miseri profani. + +Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo, +le bocche aperse e mostrocci le sanne; +non avea membro che tenesse fermo. + +E ’l duca mio distese le sue spanne, +prese la terra, e con piene le pugna +la gittò dentro a le bramose canne. + +Qual è quel cane ch’abbaiando agogna, +e si racqueta poi che ’l pasto morde, +ché solo a divorarlo intende e pugna, + +cotai si fecer quelle facce lorde +de lo demonio Cerbero, che ’ntrona +l’anime sì, ch’esser vorrebber sorde. + +Noi passavam su per l’ombre che adona +la greve pioggia, e ponavam le piante +sovra lor vanità che par persona. + +Elle giacean per terra tutte quante, +fuor d’una ch’a seder si levò, ratto +ch’ella ci vide passarsi davante. + +«O tu che se’ per questo ’nferno tratto», +mi disse, «riconoscimi, se sai: +tu fosti, prima ch’io disfatto, fatto». + +E io a lui: «L’angoscia che tu hai +forse ti tira fuor de la mia mente, +sì che non par ch’i’ ti vedessi mai. + +Ma dimmi chi tu se’ che ’n sì dolente +loco se’ messo, e hai sì fatta pena, +che, s’altra è maggio, nulla è sì spiacente». + +Ed elli a me: «La tua città, ch’è piena +d’invidia sì che già trabocca il sacco, +seco mi tenne in la vita serena. + +Voi cittadini mi chiamaste Ciacco: +per la dannosa colpa de la gola, +come tu vedi, a la pioggia mi fiacco. + +E io anima trista non son sola, +ché tutte queste a simil pena stanno +per simil colpa». E più non fé parola. + +Io li rispuosi: «Ciacco, il tuo affanno +mi pesa sì, ch’a lagrimar mi ’nvita; +ma dimmi, se tu sai, a che verranno + +li cittadin de la città partita; +s’alcun v’è giusto; e dimmi la cagione +per che l’ha tanta discordia assalita». + +E quelli a me: «Dopo lunga tencione +verranno al sangue, e la parte selvaggia +caccerà l’altra con molta offensione. + +Poi appresso convien che questa caggia +infra tre soli, e che l’altra sormonti +con la forza di tal che testé piaggia. + +Alte terrà lungo tempo le fronti, +tenendo l’altra sotto gravi pesi, +come che di ciò pianga o che n’aonti. + +Giusti son due, e non vi sono intesi; +superbia, invidia e avarizia sono +le tre faville c’hanno i cuori accesi». + +Qui puose fine al lagrimabil suono. +E io a lui: «Ancor vo’ che mi ’nsegni +e che di più parlar mi facci dono. + +Farinata e ’l Tegghiaio, che fuor sì degni, +Iacopo Rusticucci, Arrigo e ’l Mosca +e li altri ch’a ben far puoser li ’ngegni, + +dimmi ove sono e fa ch’io li conosca; +ché gran disio mi stringe di savere +se ’l ciel li addolcia o lo ’nferno li attosca». + +E quelli: «Ei son tra l’anime più nere; +diverse colpe giù li grava al fondo: +se tanto scendi, là i potrai vedere. + +Ma quando tu sarai nel dolce mondo, +priegoti ch’a la mente altrui mi rechi: +più non ti dico e più non ti rispondo». + +Li diritti occhi torse allora in biechi; +guardommi un poco e poi chinò la testa: +cadde con essa a par de li altri ciechi. + +E ’l duca disse a me: «Più non si desta +di qua dal suon de l’angelica tromba, +quando verrà la nimica podesta: + +ciascun rivederà la trista tomba, +ripiglierà sua carne e sua figura, +udirà quel ch’in etterno rimbomba». + +Sì trapassammo per sozza mistura +de l’ombre e de la pioggia, a passi lenti, +toccando un poco la vita futura; + +per ch’io dissi: «Maestro, esti tormenti +crescerann’ ei dopo la gran sentenza, +o fier minori, o saran sì cocenti?». + +Ed elli a me: «Ritorna a tua scïenza, +che vuol, quanto la cosa è più perfetta, +più senta il bene, e così la doglienza. + +Tutto che questa gente maladetta +in vera perfezion già mai non vada, +di là più che di qua essere aspetta». + +Noi aggirammo a tondo quella strada, +parlando più assai ch’i’ non ridico; +venimmo al punto dove si digrada: + +quivi trovammo Pluto, il gran nemico. + + + +Inferno · Canto VII + + +«Pape Satàn, pape Satàn aleppe!», +cominciò Pluto con la voce chioccia; +e quel savio gentil, che tutto seppe, + +disse per confortarmi: «Non ti noccia +la tua paura; ché, poder ch’elli abbia, +non ci torrà lo scender questa roccia». + +Poi si rivolse a quella ’nfiata labbia, +e disse: «Taci, maladetto lupo! +consuma dentro te con la tua rabbia. + +Non è sanza cagion l’andare al cupo: +vuolsi ne l’alto, là dove Michele +fé la vendetta del superbo strupo». + +Quali dal vento le gonfiate vele +caggiono avvolte, poi che l’alber fiacca, +tal cadde a terra la fiera crudele. + +Così scendemmo ne la quarta lacca, +pigliando più de la dolente ripa +che ’l mal de l’universo tutto insacca. + +Ahi giustizia di Dio! tante chi stipa +nove travaglie e pene quant’ io viddi? +e perché nostra colpa sì ne scipa? + +Come fa l’onda là sovra Cariddi, +che si frange con quella in cui s’intoppa, +così convien che qui la gente riddi. + +Qui vid’ i’ gente più ch’altrove troppa, +e d’una parte e d’altra, con grand’ urli, +voltando pesi per forza di poppa. + +Percotëansi ’ncontro; e poscia pur lì +si rivolgea ciascun, voltando a retro, +gridando: «Perché tieni?» e «Perché burli?». + +Così tornavan per lo cerchio tetro +da ogne mano a l’opposito punto, +gridandosi anche loro ontoso metro; + +poi si volgea ciascun, quand’ era giunto, +per lo suo mezzo cerchio a l’altra giostra. +E io, ch’avea lo cor quasi compunto, + +dissi: «Maestro mio, or mi dimostra +che gente è questa, e se tutti fuor cherci +questi chercuti a la sinistra nostra». + +Ed elli a me: «Tutti quanti fuor guerci +sì de la mente in la vita primaia, +che con misura nullo spendio ferci. + +Assai la voce lor chiaro l’abbaia, +quando vegnono a’ due punti del cerchio +dove colpa contraria li dispaia. + +Questi fuor cherci, che non han coperchio +piloso al capo, e papi e cardinali, +in cui usa avarizia il suo soperchio». + +E io: «Maestro, tra questi cotali +dovre’ io ben riconoscere alcuni +che furo immondi di cotesti mali». + +Ed elli a me: «Vano pensiero aduni: +la sconoscente vita che i fé sozzi, +ad ogne conoscenza or li fa bruni. + +In etterno verranno a li due cozzi: +questi resurgeranno del sepulcro +col pugno chiuso, e questi coi crin mozzi. + +Mal dare e mal tener lo mondo pulcro +ha tolto loro, e posti a questa zuffa: +qual ella sia, parole non ci appulcro. + +Or puoi, figliuol, veder la corta buffa +d’i ben che son commessi a la fortuna, +per che l’umana gente si rabbuffa; + +ché tutto l’oro ch’è sotto la luna +e che già fu, di quest’ anime stanche +non poterebbe farne posare una». + +«Maestro mio», diss’ io, «or mi dì anche: +questa fortuna di che tu mi tocche, +che è, che i ben del mondo ha sì tra branche?». + +E quelli a me: «Oh creature sciocche, +quanta ignoranza è quella che v’offende! +Or vo’ che tu mia sentenza ne ’mbocche. + +Colui lo cui saver tutto trascende, +fece li cieli e diè lor chi conduce +sì, ch’ogne parte ad ogne parte splende, + +distribuendo igualmente la luce. +Similemente a li splendor mondani +ordinò general ministra e duce + +che permutasse a tempo li ben vani +di gente in gente e d’uno in altro sangue, +oltre la difension d’i senni umani; + +per ch’una gente impera e l’altra langue, +seguendo lo giudicio di costei, +che è occulto come in erba l’angue. + +Vostro saver non ha contasto a lei: +questa provede, giudica, e persegue +suo regno come il loro li altri dèi. + +Le sue permutazion non hanno triegue: +necessità la fa esser veloce; +sì spesso vien chi vicenda consegue. + +Quest’ è colei ch’è tanto posta in croce +pur da color che le dovrien dar lode, +dandole biasmo a torto e mala voce; + +ma ella s’è beata e ciò non ode: +con l’altre prime creature lieta +volve sua spera e beata si gode. + +Or discendiamo omai a maggior pieta; +già ogne stella cade che saliva +quand’ io mi mossi, e ’l troppo star si vieta». + +Noi ricidemmo il cerchio a l’altra riva +sovr’ una fonte che bolle e riversa +per un fossato che da lei deriva. + +L’acqua era buia assai più che persa; +e noi, in compagnia de l’onde bige, +intrammo giù per una via diversa. + +In la palude va c’ha nome Stige +questo tristo ruscel, quand’ è disceso +al piè de le maligne piagge grige. + +E io, che di mirare stava inteso, +vidi genti fangose in quel pantano, +ignude tutte, con sembiante offeso. + +Queste si percotean non pur con mano, +ma con la testa e col petto e coi piedi, +troncandosi co’ denti a brano a brano. + +Lo buon maestro disse: «Figlio, or vedi +l’anime di color cui vinse l’ira; +e anche vo’ che tu per certo credi + +che sotto l’acqua è gente che sospira, +e fanno pullular quest’ acqua al summo, +come l’occhio ti dice, u’ che s’aggira. + +Fitti nel limo dicon: “Tristi fummo +ne l’aere dolce che dal sol s’allegra, +portando dentro accidïoso fummo: + +or ci attristiam ne la belletta negra”. +Quest’ inno si gorgoglian ne la strozza, +ché dir nol posson con parola integra». + +Così girammo de la lorda pozza +grand’ arco tra la ripa secca e ’l mézzo, +con li occhi vòlti a chi del fango ingozza. + +Venimmo al piè d’una torre al da sezzo. + + + +Inferno · Canto VIII + + +Io dico, seguitando, ch’assai prima +che noi fossimo al piè de l’alta torre, +li occhi nostri n’andar suso a la cima + +per due fiammette che i vedemmo porre, +e un’altra da lungi render cenno, +tanto ch’a pena il potea l’occhio tòrre. + +E io mi volsi al mar di tutto ’l senno; +dissi: «Questo che dice? e che risponde +quell’ altro foco? e chi son quei che ’l fenno?». + +Ed elli a me: «Su per le sucide onde +già scorgere puoi quello che s’aspetta, +se ’l fummo del pantan nol ti nasconde». + +Corda non pinse mai da sé saetta +che sì corresse via per l’aere snella, +com’ io vidi una nave piccioletta + +venir per l’acqua verso noi in quella, +sotto ’l governo d’un sol galeoto, +che gridava: «Or se’ giunta, anima fella!». + +«Flegïàs, Flegïàs, tu gridi a vòto», +disse lo mio segnore, «a questa volta: +più non ci avrai che sol passando il loto». + +Qual è colui che grande inganno ascolta +che li sia fatto, e poi se ne rammarca, +fecesi Flegïàs ne l’ira accolta. + +Lo duca mio discese ne la barca, +e poi mi fece intrare appresso lui; +e sol quand’ io fui dentro parve carca. + +Tosto che ’l duca e io nel legno fui, +segando se ne va l’antica prora +de l’acqua più che non suol con altrui. + +Mentre noi corravam la morta gora, +dinanzi mi si fece un pien di fango, +e disse: «Chi se’ tu che vieni anzi ora?». + +E io a lui: «S’i’ vegno, non rimango; +ma tu chi se’, che sì se’ fatto brutto?». +Rispuose: «Vedi che son un che piango». + +E io a lui: «Con piangere e con lutto, +spirito maladetto, ti rimani; +ch’i’ ti conosco, ancor sie lordo tutto». + +Allor distese al legno ambo le mani; +per che ’l maestro accorto lo sospinse, +dicendo: «Via costà con li altri cani!». + +Lo collo poi con le braccia mi cinse; +basciommi ’l volto e disse: «Alma sdegnosa, +benedetta colei che ’n te s’incinse! + +Quei fu al mondo persona orgogliosa; +bontà non è che sua memoria fregi: +così s’è l’ombra sua qui furïosa. + +Quanti si tegnon or là sù gran regi +che qui staranno come porci in brago, +di sé lasciando orribili dispregi!». + +E io: «Maestro, molto sarei vago +di vederlo attuffare in questa broda +prima che noi uscissimo del lago». + +Ed elli a me: «Avante che la proda +ti si lasci veder, tu sarai sazio: +di tal disïo convien che tu goda». + +Dopo ciò poco vid’ io quello strazio +far di costui a le fangose genti, +che Dio ancor ne lodo e ne ringrazio. + +Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»; +e ’l fiorentino spirito bizzarro +in sé medesmo si volvea co’ denti. + +Quivi il lasciammo, che più non ne narro; +ma ne l’orecchie mi percosse un duolo, +per ch’io avante l’occhio intento sbarro. + +Lo buon maestro disse: «Omai, figliuolo, +s’appressa la città c’ha nome Dite, +coi gravi cittadin, col grande stuolo». + +E io: «Maestro, già le sue meschite +là entro certe ne la valle cerno, +vermiglie come se di foco uscite + +fossero». Ed ei mi disse: «Il foco etterno +ch’entro l’affoca le dimostra rosse, +come tu vedi in questo basso inferno». + +Noi pur giugnemmo dentro a l’alte fosse +che vallan quella terra sconsolata: +le mura mi parean che ferro fosse. + +Non sanza prima far grande aggirata, +venimmo in parte dove il nocchier forte +«Usciteci», gridò: «qui è l’intrata». + +Io vidi più di mille in su le porte +da ciel piovuti, che stizzosamente +dicean: «Chi è costui che sanza morte + +va per lo regno de la morta gente?». +E ’l savio mio maestro fece segno +di voler lor parlar segretamente. + +Allor chiusero un poco il gran disdegno +e disser: «Vien tu solo, e quei sen vada +che sì ardito intrò per questo regno. + +Sol si ritorni per la folle strada: +pruovi, se sa; ché tu qui rimarrai, +che li ha’ iscorta sì buia contrada». + +Pensa, lettor, se io mi sconfortai +nel suon de le parole maladette, +ché non credetti ritornarci mai. + +«O caro duca mio, che più di sette +volte m’hai sicurtà renduta e tratto +d’alto periglio che ’ncontra mi stette, + +non mi lasciar», diss’ io, «così disfatto; +e se ’l passar più oltre ci è negato, +ritroviam l’orme nostre insieme ratto». + +E quel segnor che lì m’avea menato, +mi disse: «Non temer; ché ’l nostro passo +non ci può tòrre alcun: da tal n’è dato. + +Ma qui m’attendi, e lo spirito lasso +conforta e ciba di speranza buona, +ch’i’ non ti lascerò nel mondo basso». + +Così sen va, e quivi m’abbandona +lo dolce padre, e io rimagno in forse, +che sì e no nel capo mi tenciona. + +Udir non potti quello ch’a lor porse; +ma ei non stette là con essi guari, +che ciascun dentro a pruova si ricorse. + +Chiuser le porte que’ nostri avversari +nel petto al mio segnor, che fuor rimase +e rivolsesi a me con passi rari. + +Li occhi a la terra e le ciglia avea rase +d’ogne baldanza, e dicea ne’ sospiri: +«Chi m’ha negate le dolenti case!». + +E a me disse: «Tu, perch’ io m’adiri, +non sbigottir, ch’io vincerò la prova, +qual ch’a la difension dentro s’aggiri. + +Questa lor tracotanza non è nova; +ché già l’usaro a men segreta porta, +la qual sanza serrame ancor si trova. + +Sovr’ essa vedestù la scritta morta: +e già di qua da lei discende l’erta, +passando per li cerchi sanza scorta, + +tal che per lui ne fia la terra aperta». + + + +Inferno · Canto IX + + +Quel color che viltà di fuor mi pinse +veggendo il duca mio tornare in volta, +più tosto dentro il suo novo ristrinse. + +Attento si fermò com’ uom ch’ascolta; +ché l’occhio nol potea menare a lunga +per l’aere nero e per la nebbia folta. + +«Pur a noi converrà vincer la punga», +cominciò el, «se non . . . Tal ne s’offerse. +Oh quanto tarda a me ch’altri qui giunga!». + +I’ vidi ben sì com’ ei ricoperse +lo cominciar con l’altro che poi venne, +che fur parole a le prime diverse; + +ma nondimen paura il suo dir dienne, +perch’ io traeva la parola tronca +forse a peggior sentenzia che non tenne. + +«In questo fondo de la trista conca +discende mai alcun del primo grado, +che sol per pena ha la speranza cionca?». + +Questa question fec’ io; e quei «Di rado +incontra», mi rispuose, «che di noi +faccia il cammino alcun per qual io vado. + +Ver è ch’altra fïata qua giù fui, +congiurato da quella Eritón cruda +che richiamava l’ombre a’ corpi sui. + +Di poco era di me la carne nuda, +ch’ella mi fece intrar dentr’ a quel muro, +per trarne un spirto del cerchio di Giuda. + +Quell’ è ’l più basso loco e ’l più oscuro, +e ’l più lontan dal ciel che tutto gira: +ben so ’l cammin; però ti fa sicuro. + +Questa palude che ’l gran puzzo spira +cigne dintorno la città dolente, +u’ non potemo intrare omai sanz’ ira». + +E altro disse, ma non l’ho a mente; +però che l’occhio m’avea tutto tratto +ver’ l’alta torre a la cima rovente, + +dove in un punto furon dritte ratto +tre furïe infernal di sangue tinte, +che membra feminine avieno e atto, + +e con idre verdissime eran cinte; +serpentelli e ceraste avien per crine, +onde le fiere tempie erano avvinte. + +E quei, che ben conobbe le meschine +de la regina de l’etterno pianto, +«Guarda», mi disse, «le feroci Erine. + +Quest’ è Megera dal sinistro canto; +quella che piange dal destro è Aletto; +Tesifón è nel mezzo»; e tacque a tanto. + +Con l’unghie si fendea ciascuna il petto; +battiensi a palme e gridavan sì alto, +ch’i’ mi strinsi al poeta per sospetto. + +«Vegna Medusa: sì ’l farem di smalto», +dicevan tutte riguardando in giuso; +«mal non vengiammo in Tesëo l’assalto». + +«Volgiti ’n dietro e tien lo viso chiuso; +ché se ’l Gorgón si mostra e tu ’l vedessi, +nulla sarebbe di tornar mai suso». + +Così disse ’l maestro; ed elli stessi +mi volse, e non si tenne a le mie mani, +che con le sue ancor non mi chiudessi. + +O voi ch’avete li ’ntelletti sani, +mirate la dottrina che s’asconde +sotto ’l velame de li versi strani. + +E già venìa su per le torbide onde +un fracasso d’un suon, pien di spavento, +per cui tremavano amendue le sponde, + +non altrimenti fatto che d’un vento +impetüoso per li avversi ardori, +che fier la selva e sanz’ alcun rattento + +li rami schianta, abbatte e porta fori; +dinanzi polveroso va superbo, +e fa fuggir le fiere e li pastori. + +Li occhi mi sciolse e disse: «Or drizza il nerbo +del viso su per quella schiuma antica +per indi ove quel fummo è più acerbo». + +Come le rane innanzi a la nimica +biscia per l’acqua si dileguan tutte, +fin ch’a la terra ciascuna s’abbica, + +vid’ io più di mille anime distrutte +fuggir così dinanzi ad un ch’al passo +passava Stige con le piante asciutte. + +Dal volto rimovea quell’ aere grasso, +menando la sinistra innanzi spesso; +e sol di quell’ angoscia parea lasso. + +Ben m’accorsi ch’elli era da ciel messo, +e volsimi al maestro; e quei fé segno +ch’i’ stessi queto ed inchinassi ad esso. + +Ahi quanto mi parea pien di disdegno! +Venne a la porta e con una verghetta +l’aperse, che non v’ebbe alcun ritegno. + +«O cacciati del ciel, gente dispetta», +cominciò elli in su l’orribil soglia, +«ond’ esta oltracotanza in voi s’alletta? + +Perché recalcitrate a quella voglia +a cui non puote il fin mai esser mozzo, +e che più volte v’ha cresciuta doglia? + +Che giova ne le fata dar di cozzo? +Cerbero vostro, se ben vi ricorda, +ne porta ancor pelato il mento e ’l gozzo». + +Poi si rivolse per la strada lorda, +e non fé motto a noi, ma fé sembiante +d’omo cui altra cura stringa e morda + +che quella di colui che li è davante; +e noi movemmo i piedi inver’ la terra, +sicuri appresso le parole sante. + +Dentro li ’ntrammo sanz’ alcuna guerra; +e io, ch’avea di riguardar disio +la condizion che tal fortezza serra, + +com’ io fui dentro, l’occhio intorno invio: +e veggio ad ogne man grande campagna, +piena di duolo e di tormento rio. + +Sì come ad Arli, ove Rodano stagna, +sì com’ a Pola, presso del Carnaro +ch’Italia chiude e suoi termini bagna, + +fanno i sepulcri tutt’ il loco varo, +così facevan quivi d’ogne parte, +salvo che ’l modo v’era più amaro; + +ché tra li avelli fiamme erano sparte, +per le quali eran sì del tutto accesi, +che ferro più non chiede verun’ arte. + +Tutti li lor coperchi eran sospesi, +e fuor n’uscivan sì duri lamenti, +che ben parean di miseri e d’offesi. + +E io: «Maestro, quai son quelle genti +che, seppellite dentro da quell’ arche, +si fan sentir coi sospiri dolenti?». + +E quelli a me: «Qui son li eresïarche +con lor seguaci, d’ogne setta, e molto +più che non credi son le tombe carche. + +Simile qui con simile è sepolto, +e i monimenti son più e men caldi». +E poi ch’a la man destra si fu vòlto, + +passammo tra i martìri e li alti spaldi. + + + +Inferno · Canto X + + +Ora sen va per un secreto calle, +tra ’l muro de la terra e li martìri, +lo mio maestro, e io dopo le spalle. + +«O virtù somma, che per li empi giri +mi volvi», cominciai, «com’ a te piace, +parlami, e sodisfammi a’ miei disiri. + +La gente che per li sepolcri giace +potrebbesi veder? già son levati +tutt’ i coperchi, e nessun guardia face». + +E quelli a me: «Tutti saran serrati +quando di Iosafàt qui torneranno +coi corpi che là sù hanno lasciati. + +Suo cimitero da questa parte hanno +con Epicuro tutti suoi seguaci, +che l’anima col corpo morta fanno. + +Però a la dimanda che mi faci +quinc’ entro satisfatto sarà tosto, +e al disio ancor che tu mi taci». + +E io: «Buon duca, non tegno riposto +a te mio cuor se non per dicer poco, +e tu m’hai non pur mo a ciò disposto». + +«O Tosco che per la città del foco +vivo ten vai così parlando onesto, +piacciati di restare in questo loco. + +La tua loquela ti fa manifesto +di quella nobil patrïa natio, +a la qual forse fui troppo molesto». + +Subitamente questo suono uscìo +d’una de l’arche; però m’accostai, +temendo, un poco più al duca mio. + +Ed el mi disse: «Volgiti! Che fai? +Vedi là Farinata che s’è dritto: +da la cintola in sù tutto ’l vedrai». + +Io avea già il mio viso nel suo fitto; +ed el s’ergea col petto e con la fronte +com’ avesse l’inferno a gran dispitto. + +E l’animose man del duca e pronte +mi pinser tra le sepulture a lui, +dicendo: «Le parole tue sien conte». + +Com’ io al piè de la sua tomba fui, +guardommi un poco, e poi, quasi sdegnoso, +mi dimandò: «Chi fuor li maggior tui?». + +Io ch’era d’ubidir disideroso, +non gliel celai, ma tutto gliel’ apersi; +ond’ ei levò le ciglia un poco in suso; + +poi disse: «Fieramente furo avversi +a me e a miei primi e a mia parte, +sì che per due fïate li dispersi». + +«S’ei fur cacciati, ei tornar d’ogne parte», +rispuos’ io lui, «l’una e l’altra fïata; +ma i vostri non appreser ben quell’ arte». + +Allor surse a la vista scoperchiata +un’ombra, lungo questa, infino al mento: +credo che s’era in ginocchie levata. + +Dintorno mi guardò, come talento +avesse di veder s’altri era meco; +e poi che ’l sospecciar fu tutto spento, + +piangendo disse: «Se per questo cieco +carcere vai per altezza d’ingegno, +mio figlio ov’ è? e perché non è teco?». + +E io a lui: «Da me stesso non vegno: +colui ch’attende là, per qui mi mena +forse cui Guido vostro ebbe a disdegno». + +Le sue parole e ’l modo de la pena +m’avean di costui già letto il nome; +però fu la risposta così piena. + +Di sùbito drizzato gridò: «Come? +dicesti “elli ebbe”? non viv’ elli ancora? +non fiere li occhi suoi lo dolce lume?». + +Quando s’accorse d’alcuna dimora +ch’io facëa dinanzi a la risposta, +supin ricadde e più non parve fora. + +Ma quell’ altro magnanimo, a cui posta +restato m’era, non mutò aspetto, +né mosse collo, né piegò sua costa; + +e sé continüando al primo detto, +«S’elli han quell’ arte», disse, «male appresa, +ciò mi tormenta più che questo letto. + +Ma non cinquanta volte fia raccesa +la faccia de la donna che qui regge, +che tu saprai quanto quell’ arte pesa. + +E se tu mai nel dolce mondo regge, +dimmi: perché quel popolo è sì empio +incontr’ a’ miei in ciascuna sua legge?». + +Ond’ io a lui: «Lo strazio e ’l grande scempio +che fece l’Arbia colorata in rosso, +tal orazion fa far nel nostro tempio». + +Poi ch’ebbe sospirando il capo mosso, +«A ciò non fu’ io sol», disse, «né certo +sanza cagion con li altri sarei mosso. + +Ma fu’ io solo, là dove sofferto +fu per ciascun di tòrre via Fiorenza, +colui che la difesi a viso aperto». + +«Deh, se riposi mai vostra semenza», +prega’ io lui, «solvetemi quel nodo +che qui ha ’nviluppata mia sentenza. + +El par che voi veggiate, se ben odo, +dinanzi quel che ’l tempo seco adduce, +e nel presente tenete altro modo». + +«Noi veggiam, come quei c’ha mala luce, +le cose», disse, «che ne son lontano; +cotanto ancor ne splende il sommo duce. + +Quando s’appressano o son, tutto è vano +nostro intelletto; e s’altri non ci apporta, +nulla sapem di vostro stato umano. + +Però comprender puoi che tutta morta +fia nostra conoscenza da quel punto +che del futuro fia chiusa la porta». + +Allor, come di mia colpa compunto, +dissi: «Or direte dunque a quel caduto +che ’l suo nato è co’ vivi ancor congiunto; + +e s’i’ fui, dianzi, a la risposta muto, +fate i saper che ’l fei perché pensava +già ne l’error che m’avete soluto». + +E già ’l maestro mio mi richiamava; +per ch’i’ pregai lo spirto più avaccio +che mi dicesse chi con lu’ istava. + +Dissemi: «Qui con più di mille giaccio: +qua dentro è ’l secondo Federico +e ’l Cardinale; e de li altri mi taccio». + +Indi s’ascose; e io inver’ l’antico +poeta volsi i passi, ripensando +a quel parlar che mi parea nemico. + +Elli si mosse; e poi, così andando, +mi disse: «Perché se’ tu sì smarrito?». +E io li sodisfeci al suo dimando. + +«La mente tua conservi quel ch’udito +hai contra te», mi comandò quel saggio; +«e ora attendi qui», e drizzò ’l dito: + +«quando sarai dinanzi al dolce raggio +di quella il cui bell’ occhio tutto vede, +da lei saprai di tua vita il vïaggio». + +Appresso mosse a man sinistra il piede: +lasciammo il muro e gimmo inver’ lo mezzo +per un sentier ch’a una valle fiede, + +che ’nfin là sù facea spiacer suo lezzo. + + + +Inferno · Canto XI + + +In su l’estremità d’un’alta ripa +che facevan gran pietre rotte in cerchio, +venimmo sopra più crudele stipa; + +e quivi, per l’orribile soperchio +del puzzo che ’l profondo abisso gitta, +ci raccostammo, in dietro, ad un coperchio + +d’un grand’ avello, ov’ io vidi una scritta +che dicea: ‘Anastasio papa guardo, +lo qual trasse Fotin de la via dritta’. + +«Lo nostro scender conviene esser tardo, +sì che s’ausi un poco in prima il senso +al tristo fiato; e poi no i fia riguardo». + +Così ’l maestro; e io «Alcun compenso», +dissi lui, «trova che ’l tempo non passi +perduto». Ed elli: «Vedi ch’a ciò penso». + +«Figliuol mio, dentro da cotesti sassi», +cominciò poi a dir, «son tre cerchietti +di grado in grado, come que’ che lassi. + +Tutti son pien di spirti maladetti; +ma perché poi ti basti pur la vista, +intendi come e perché son costretti. + +D’ogne malizia, ch’odio in cielo acquista, +ingiuria è ’l fine, ed ogne fin cotale +o con forza o con frode altrui contrista. + +Ma perché frode è de l’uom proprio male, +più spiace a Dio; e però stan di sotto +li frodolenti, e più dolor li assale. + +Di vïolenti il primo cerchio è tutto; +ma perché si fa forza a tre persone, +in tre gironi è distinto e costrutto. + +A Dio, a sé, al prossimo si pòne +far forza, dico in loro e in lor cose, +come udirai con aperta ragione. + +Morte per forza e ferute dogliose +nel prossimo si danno, e nel suo avere +ruine, incendi e tollette dannose; + +onde omicide e ciascun che mal fiere, +guastatori e predon, tutti tormenta +lo giron primo per diverse schiere. + +Puote omo avere in sé man vïolenta +e ne’ suoi beni; e però nel secondo +giron convien che sanza pro si penta + +qualunque priva sé del vostro mondo, +biscazza e fonde la sua facultade, +e piange là dov’ esser de’ giocondo. + +Puossi far forza ne la deïtade, +col cor negando e bestemmiando quella, +e spregiando natura e sua bontade; + +e però lo minor giron suggella +del segno suo e Soddoma e Caorsa +e chi, spregiando Dio col cor, favella. + +La frode, ond’ ogne coscïenza è morsa, +può l’omo usare in colui che ’n lui fida +e in quel che fidanza non imborsa. + +Questo modo di retro par ch’incida +pur lo vinco d’amor che fa natura; +onde nel cerchio secondo s’annida + +ipocresia, lusinghe e chi affattura, +falsità, ladroneccio e simonia, +ruffian, baratti e simile lordura. + +Per l’altro modo quell’ amor s’oblia +che fa natura, e quel ch’è poi aggiunto, +di che la fede spezïal si cria; + +onde nel cerchio minore, ov’ è ’l punto +de l’universo in su che Dite siede, +qualunque trade in etterno è consunto». + +E io: «Maestro, assai chiara procede +la tua ragione, e assai ben distingue +questo baràtro e ’l popol ch’e’ possiede. + +Ma dimmi: quei de la palude pingue, +che mena il vento, e che batte la pioggia, +e che s’incontran con sì aspre lingue, + +perché non dentro da la città roggia +sono ei puniti, se Dio li ha in ira? +e se non li ha, perché sono a tal foggia?». + +Ed elli a me «Perché tanto delira», +disse, «lo ’ngegno tuo da quel che sòle? +o ver la mente dove altrove mira? + +Non ti rimembra di quelle parole +con le quai la tua Etica pertratta +le tre disposizion che ’l ciel non vole, + +incontenenza, malizia e la matta +bestialitade? e come incontenenza +men Dio offende e men biasimo accatta? + +Se tu riguardi ben questa sentenza, +e rechiti a la mente chi son quelli +che sù di fuor sostegnon penitenza, + +tu vedrai ben perché da questi felli +sien dipartiti, e perché men crucciata +la divina vendetta li martelli». + +«O sol che sani ogne vista turbata, +tu mi contenti sì quando tu solvi, +che, non men che saver, dubbiar m’aggrata. + +Ancora in dietro un poco ti rivolvi», +diss’ io, «là dove di’ ch’usura offende +la divina bontade, e ’l groppo solvi». + +«Filosofia», mi disse, «a chi la ’ntende, +nota, non pure in una sola parte, +come natura lo suo corso prende + +dal divino ’ntelletto e da sua arte; +e se tu ben la tua Fisica note, +tu troverai, non dopo molte carte, + +che l’arte vostra quella, quanto pote, +segue, come ’l maestro fa ’l discente; +sì che vostr’ arte a Dio quasi è nepote. + +Da queste due, se tu ti rechi a mente +lo Genesì dal principio, convene +prender sua vita e avanzar la gente; + +e perché l’usuriere altra via tene, +per sé natura e per la sua seguace +dispregia, poi ch’in altro pon la spene. + +Ma seguimi oramai che ’l gir mi piace; +ché i Pesci guizzan su per l’orizzonta, +e ’l Carro tutto sovra ’l Coro giace, + +e ’l balzo via là oltra si dismonta». + + + +Inferno · Canto XII + + +Era lo loco ov’ a scender la riva +venimmo, alpestro e, per quel che v’er’ anco, +tal, ch’ogne vista ne sarebbe schiva. + +Qual è quella ruina che nel fianco +di qua da Trento l’Adice percosse, +o per tremoto o per sostegno manco, + +che da cima del monte, onde si mosse, +al piano è sì la roccia discoscesa, +ch’alcuna via darebbe a chi sù fosse: + +cotal di quel burrato era la scesa; +e ’n su la punta de la rotta lacca +l’infamïa di Creti era distesa + +che fu concetta ne la falsa vacca; +e quando vide noi, sé stesso morse, +sì come quei cui l’ira dentro fiacca. + +Lo savio mio inver’ lui gridò: «Forse +tu credi che qui sia ’l duca d’Atene, +che sù nel mondo la morte ti porse? + +Pàrtiti, bestia, ché questi non vene +ammaestrato da la tua sorella, +ma vassi per veder le vostre pene». + +Qual è quel toro che si slaccia in quella +c’ha ricevuto già ’l colpo mortale, +che gir non sa, ma qua e là saltella, + +vid’ io lo Minotauro far cotale; +e quello accorto gridò: «Corri al varco; +mentre ch’e’ ’nfuria, è buon che tu ti cale». + +Così prendemmo via giù per lo scarco +di quelle pietre, che spesso moviensi +sotto i miei piedi per lo novo carco. + +Io gia pensando; e quei disse: «Tu pensi +forse a questa ruina, ch’è guardata +da quell’ ira bestial ch’i’ ora spensi. + +Or vo’ che sappi che l’altra fïata +ch’i’ discesi qua giù nel basso inferno, +questa roccia non era ancor cascata. + +Ma certo poco pria, se ben discerno, +che venisse colui che la gran preda +levò a Dite del cerchio superno, + +da tutte parti l’alta valle feda +tremò sì, ch’i’ pensai che l’universo +sentisse amor, per lo qual è chi creda + +più volte il mondo in caòsso converso; +e in quel punto questa vecchia roccia, +qui e altrove, tal fece riverso. + +Ma ficca li occhi a valle, ché s’approccia +la riviera del sangue in la qual bolle +qual che per vïolenza in altrui noccia». + +Oh cieca cupidigia e ira folle, +che sì ci sproni ne la vita corta, +e ne l’etterna poi sì mal c’immolle! + +Io vidi un’ampia fossa in arco torta, +come quella che tutto ’l piano abbraccia, +secondo ch’avea detto la mia scorta; + +e tra ’l piè de la ripa ed essa, in traccia +corrien centauri, armati di saette, +come solien nel mondo andare a caccia. + +Veggendoci calar, ciascun ristette, +e de la schiera tre si dipartiro +con archi e asticciuole prima elette; + +e l’un gridò da lungi: «A qual martiro +venite voi che scendete la costa? +Ditel costinci; se non, l’arco tiro». + +Lo mio maestro disse: «La risposta +farem noi a Chirón costà di presso: +mal fu la voglia tua sempre sì tosta». + +Poi mi tentò, e disse: «Quelli è Nesso, +che morì per la bella Deianira, +e fé di sé la vendetta elli stesso. + +E quel di mezzo, ch’al petto si mira, +è il gran Chirón, il qual nodrì Achille; +quell’ altro è Folo, che fu sì pien d’ira. + +Dintorno al fosso vanno a mille a mille, +saettando qual anima si svelle +del sangue più che sua colpa sortille». + +Noi ci appressammo a quelle fiere isnelle: +Chirón prese uno strale, e con la cocca +fece la barba in dietro a le mascelle. + +Quando s’ebbe scoperta la gran bocca, +disse a’ compagni: «Siete voi accorti +che quel di retro move ciò ch’el tocca? + +Così non soglion far li piè d’i morti». +E ’l mio buon duca, che già li er’ al petto, +dove le due nature son consorti, + +rispuose: «Ben è vivo, e sì soletto +mostrar li mi convien la valle buia; +necessità ’l ci ’nduce, e non diletto. + +Tal si partì da cantare alleluia +che mi commise quest’ officio novo: +non è ladron, né io anima fuia. + +Ma per quella virtù per cu’ io movo +li passi miei per sì selvaggia strada, +danne un de’ tuoi, a cui noi siamo a provo, + +e che ne mostri là dove si guada, +e che porti costui in su la groppa, +ché non è spirto che per l’aere vada». + +Chirón si volse in su la destra poppa, +e disse a Nesso: «Torna, e sì li guida, +e fa cansar s’altra schiera v’intoppa». + +Or ci movemmo con la scorta fida +lungo la proda del bollor vermiglio, +dove i bolliti facieno alte strida. + +Io vidi gente sotto infino al ciglio; +e ’l gran centauro disse: «E’ son tiranni +che dier nel sangue e ne l’aver di piglio. + +Quivi si piangon li spietati danni; +quivi è Alessandro, e Dïonisio fero +che fé Cicilia aver dolorosi anni. + +E quella fronte c’ha ’l pel così nero, +è Azzolino; e quell’ altro ch’è biondo, +è Opizzo da Esti, il qual per vero + +fu spento dal figliastro sù nel mondo». +Allor mi volsi al poeta, e quei disse: +«Questi ti sia or primo, e io secondo». + +Poco più oltre il centauro s’affisse +sovr’ una gente che ’nfino a la gola +parea che di quel bulicame uscisse. + +Mostrocci un’ombra da l’un canto sola, +dicendo: «Colui fesse in grembo a Dio +lo cor che ’n su Tamisi ancor si cola». + +Poi vidi gente che di fuor del rio +tenean la testa e ancor tutto ’l casso; +e di costoro assai riconobb’ io. + +Così a più a più si facea basso +quel sangue, sì che cocea pur li piedi; +e quindi fu del fosso il nostro passo. + +«Sì come tu da questa parte vedi +lo bulicame che sempre si scema», +disse ’l centauro, «voglio che tu credi + +che da quest’ altra a più a più giù prema +lo fondo suo, infin ch’el si raggiunge +ove la tirannia convien che gema. + +La divina giustizia di qua punge +quell’ Attila che fu flagello in terra, +e Pirro e Sesto; e in etterno munge + +le lagrime, che col bollor diserra, +a Rinier da Corneto, a Rinier Pazzo, +che fecero a le strade tanta guerra». + +Poi si rivolse e ripassossi ’l guazzo. + + + +Inferno · Canto XIII + + +Non era ancor di là Nesso arrivato, +quando noi ci mettemmo per un bosco +che da neun sentiero era segnato. + +Non fronda verde, ma di color fosco; +non rami schietti, ma nodosi e ’nvolti; +non pomi v’eran, ma stecchi con tòsco. + +Non han sì aspri sterpi né sì folti +quelle fiere selvagge che ’n odio hanno +tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. + +Quivi le brutte Arpie lor nidi fanno, +che cacciar de le Strofade i Troiani +con tristo annunzio di futuro danno. + +Ali hanno late, e colli e visi umani, +piè con artigli, e pennuto ’l gran ventre; +fanno lamenti in su li alberi strani. + +E ’l buon maestro «Prima che più entre, +sappi che se’ nel secondo girone», +mi cominciò a dire, «e sarai mentre + +che tu verrai ne l’orribil sabbione. +Però riguarda ben; sì vederai +cose che torrien fede al mio sermone». + +Io sentia d’ogne parte trarre guai +e non vedea persona che ’l facesse; +per ch’io tutto smarrito m’arrestai. + +Cred’ ïo ch’ei credette ch’io credesse +che tante voci uscisser, tra quei bronchi, +da gente che per noi si nascondesse. + +Però disse ’l maestro: «Se tu tronchi +qualche fraschetta d’una d’este piante, +li pensier c’hai si faran tutti monchi». + +Allor porsi la mano un poco avante +e colsi un ramicel da un gran pruno; +e ’l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?». + +Da che fatto fu poi di sangue bruno, +ricominciò a dir: «Perché mi scerpi? +non hai tu spirto di pietade alcuno? + +Uomini fummo, e or siam fatti sterpi: +ben dovrebb’ esser la tua man più pia, +se state fossimo anime di serpi». + +Come d’un stizzo verde ch’arso sia +da l’un de’ capi, che da l’altro geme +e cigola per vento che va via, + +sì de la scheggia rotta usciva insieme +parole e sangue; ond’ io lasciai la cima +cadere, e stetti come l’uom che teme. + +«S’elli avesse potuto creder prima», +rispuose ’l savio mio, «anima lesa, +ciò c’ha veduto pur con la mia rima, + +non averebbe in te la man distesa; +ma la cosa incredibile mi fece +indurlo ad ovra ch’a me stesso pesa. + +Ma dilli chi tu fosti, sì che ’n vece +d’alcun’ ammenda tua fama rinfreschi +nel mondo sù, dove tornar li lece». + +E ’l tronco: «Sì col dolce dir m’adeschi, +ch’i’ non posso tacere; e voi non gravi +perch’ ïo un poco a ragionar m’inveschi. + +Io son colui che tenni ambo le chiavi +del cor di Federigo, e che le volsi, +serrando e diserrando, sì soavi, + +che dal secreto suo quasi ogn’ uom tolsi; +fede portai al glorïoso offizio, +tanto ch’i’ ne perde’ li sonni e ’ polsi. + +La meretrice che mai da l’ospizio +di Cesare non torse li occhi putti, +morte comune e de le corti vizio, + +infiammò contra me li animi tutti; +e li ’nfiammati infiammar sì Augusto, +che ’ lieti onor tornaro in tristi lutti. + +L’animo mio, per disdegnoso gusto, +credendo col morir fuggir disdegno, +ingiusto fece me contra me giusto. + +Per le nove radici d’esto legno +vi giuro che già mai non ruppi fede +al mio segnor, che fu d’onor sì degno. + +E se di voi alcun nel mondo riede, +conforti la memoria mia, che giace +ancor del colpo che ’nvidia le diede». + +Un poco attese, e poi «Da ch’el si tace», +disse ’l poeta a me, «non perder l’ora; +ma parla, e chiedi a lui, se più ti piace». + +Ond’ ïo a lui: «Domandal tu ancora +di quel che credi ch’a me satisfaccia; +ch’i’ non potrei, tanta pietà m’accora». + +Perciò ricominciò: «Se l’om ti faccia +liberamente ciò che ’l tuo dir priega, +spirito incarcerato, ancor ti piaccia + +di dirne come l’anima si lega +in questi nocchi; e dinne, se tu puoi, +s’alcuna mai di tai membra si spiega». + +Allor soffiò il tronco forte, e poi +si convertì quel vento in cotal voce: +«Brievemente sarà risposto a voi. + +Quando si parte l’anima feroce +dal corpo ond’ ella stessa s’è disvelta, +Minòs la manda a la settima foce. + +Cade in la selva, e non l’è parte scelta; +ma là dove fortuna la balestra, +quivi germoglia come gran di spelta. + +Surge in vermena e in pianta silvestra: +l’Arpie, pascendo poi de le sue foglie, +fanno dolore, e al dolor fenestra. + +Come l’altre verrem per nostre spoglie, +ma non però ch’alcuna sen rivesta, +ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie. + +Qui le strascineremo, e per la mesta +selva saranno i nostri corpi appesi, +ciascuno al prun de l’ombra sua molesta». + +Noi eravamo ancora al tronco attesi, +credendo ch’altro ne volesse dire, +quando noi fummo d’un romor sorpresi, + +similemente a colui che venire +sente ’l porco e la caccia a la sua posta, +ch’ode le bestie, e le frasche stormire. + +Ed ecco due da la sinistra costa, +nudi e graffiati, fuggendo sì forte, +che de la selva rompieno ogne rosta. + +Quel dinanzi: «Or accorri, accorri, morte!». +E l’altro, cui pareva tardar troppo, +gridava: «Lano, sì non furo accorte + +le gambe tue a le giostre dal Toppo!». +E poi che forse li fallia la lena, +di sé e d’un cespuglio fece un groppo. + +Di rietro a loro era la selva piena +di nere cagne, bramose e correnti +come veltri ch’uscisser di catena. + +In quel che s’appiattò miser li denti, +e quel dilaceraro a brano a brano; +poi sen portar quelle membra dolenti. + +Presemi allor la mia scorta per mano, +e menommi al cespuglio che piangea +per le rotture sanguinenti in vano. + +«O Iacopo», dicea, «da Santo Andrea, +che t’è giovato di me fare schermo? +che colpa ho io de la tua vita rea?». + +Quando ’l maestro fu sovr’ esso fermo, +disse: «Chi fosti, che per tante punte +soffi con sangue doloroso sermo?». + +Ed elli a noi: «O anime che giunte +siete a veder lo strazio disonesto +c’ha le mie fronde sì da me disgiunte, + +raccoglietele al piè del tristo cesto. +I’ fui de la città che nel Batista +mutò ’l primo padrone; ond’ ei per questo + +sempre con l’arte sua la farà trista; +e se non fosse che ’n sul passo d’Arno +rimane ancor di lui alcuna vista, + +que’ cittadin che poi la rifondarno +sovra ’l cener che d’Attila rimase, +avrebber fatto lavorare indarno. + +Io fei gibetto a me de le mie case». + + + +Inferno · Canto XIV + + +Poi che la carità del natio loco +mi strinse, raunai le fronde sparte +e rende’le a colui, ch’era già fioco. + +Indi venimmo al fine ove si parte +lo secondo giron dal terzo, e dove +si vede di giustizia orribil arte. + +A ben manifestar le cose nove, +dico che arrivammo ad una landa +che dal suo letto ogne pianta rimove. + +La dolorosa selva l’è ghirlanda +intorno, come ’l fosso tristo ad essa; +quivi fermammo i passi a randa a randa. + +Lo spazzo era una rena arida e spessa, +non d’altra foggia fatta che colei +che fu da’ piè di Caton già soppressa. + +O vendetta di Dio, quanto tu dei +esser temuta da ciascun che legge +ciò che fu manifesto a li occhi mei! + +D’anime nude vidi molte gregge +che piangean tutte assai miseramente, +e parea posta lor diversa legge. + +Supin giacea in terra alcuna gente, +alcuna si sedea tutta raccolta, +e altra andava continüamente. + +Quella che giva ’ntorno era più molta, +e quella men che giacëa al tormento, +ma più al duolo avea la lingua sciolta. + +Sovra tutto ’l sabbion, d’un cader lento, +piovean di foco dilatate falde, +come di neve in alpe sanza vento. + +Quali Alessandro in quelle parti calde +d’Indïa vide sopra ’l süo stuolo +fiamme cadere infino a terra salde, + +per ch’ei provide a scalpitar lo suolo +con le sue schiere, acciò che lo vapore +mei si stingueva mentre ch’era solo: + +tale scendeva l’etternale ardore; +onde la rena s’accendea, com’ esca +sotto focile, a doppiar lo dolore. + +Sanza riposo mai era la tresca +de le misere mani, or quindi or quinci +escotendo da sé l’arsura fresca. + +I’ cominciai: «Maestro, tu che vinci +tutte le cose, fuor che ’ demon duri +ch’a l’intrar de la porta incontra uscinci, + +chi è quel grande che non par che curi +lo ’ncendio e giace dispettoso e torto, +sì che la pioggia non par che ’l marturi?». + +E quel medesmo, che si fu accorto +ch’io domandava il mio duca di lui, +gridò: «Qual io fui vivo, tal son morto. + +Se Giove stanchi ’l suo fabbro da cui +crucciato prese la folgore aguta +onde l’ultimo dì percosso fui; + +o s’elli stanchi li altri a muta a muta +in Mongibello a la focina negra, +chiamando “Buon Vulcano, aiuta, aiuta!”, + +sì com’ el fece a la pugna di Flegra, +e me saetti con tutta sua forza: +non ne potrebbe aver vendetta allegra». + +Allora il duca mio parlò di forza +tanto, ch’i’ non l’avea sì forte udito: +«O Capaneo, in ciò che non s’ammorza + +la tua superbia, se’ tu più punito; +nullo martiro, fuor che la tua rabbia, +sarebbe al tuo furor dolor compito». + +Poi si rivolse a me con miglior labbia, +dicendo: «Quei fu l’un d’i sette regi +ch’assiser Tebe; ed ebbe e par ch’elli abbia + +Dio in disdegno, e poco par che ’l pregi; +ma, com’ io dissi lui, li suoi dispetti +sono al suo petto assai debiti fregi. + +Or mi vien dietro, e guarda che non metti, +ancor, li piedi ne la rena arsiccia; +ma sempre al bosco tien li piedi stretti». + +Tacendo divenimmo là ’ve spiccia +fuor de la selva un picciol fiumicello, +lo cui rossore ancor mi raccapriccia. + +Quale del Bulicame esce ruscello +che parton poi tra lor le peccatrici, +tal per la rena giù sen giva quello. + +Lo fondo suo e ambo le pendici +fatt’ era ’n pietra, e ’ margini dallato; +per ch’io m’accorsi che ’l passo era lici. + +«Tra tutto l’altro ch’i’ t’ho dimostrato, +poscia che noi intrammo per la porta +lo cui sogliare a nessuno è negato, + +cosa non fu da li tuoi occhi scorta +notabile com’ è ’l presente rio, +che sovra sé tutte fiammelle ammorta». + +Queste parole fuor del duca mio; +per ch’io ’l pregai che mi largisse ’l pasto +di cui largito m’avëa il disio. + +«In mezzo mar siede un paese guasto», +diss’ elli allora, «che s’appella Creta, +sotto ’l cui rege fu già ’l mondo casto. + +Una montagna v’è che già fu lieta +d’acqua e di fronde, che si chiamò Ida; +or è diserta come cosa vieta. + +Rëa la scelse già per cuna fida +del suo figliuolo, e per celarlo meglio, +quando piangea, vi facea far le grida. + +Dentro dal monte sta dritto un gran veglio, +che tien volte le spalle inver’ Dammiata +e Roma guarda come süo speglio. + +La sua testa è di fin oro formata, +e puro argento son le braccia e ’l petto, +poi è di rame infino a la forcata; + +da indi in giuso è tutto ferro eletto, +salvo che ’l destro piede è terra cotta; +e sta ’n su quel, più che ’n su l’altro, eretto. + +Ciascuna parte, fuor che l’oro, è rotta +d’una fessura che lagrime goccia, +le quali, accolte, fóran quella grotta. + +Lor corso in questa valle si diroccia; +fanno Acheronte, Stige e Flegetonta; +poi sen van giù per questa stretta doccia, + +infin, là ove più non si dismonta, +fanno Cocito; e qual sia quello stagno +tu lo vedrai, però qui non si conta». + +E io a lui: «Se ’l presente rigagno +si diriva così dal nostro mondo, +perché ci appar pur a questo vivagno?». + +Ed elli a me: «Tu sai che ’l loco è tondo; +e tutto che tu sie venuto molto, +pur a sinistra, giù calando al fondo, + +non se’ ancor per tutto ’l cerchio vòlto; +per che, se cosa n’apparisce nova, +non de’ addur maraviglia al tuo volto». + +E io ancor: «Maestro, ove si trova +Flegetonta e Letè? ché de l’un taci, +e l’altro di’ che si fa d’esta piova». + +«In tutte tue question certo mi piaci», +rispuose, «ma ’l bollor de l’acqua rossa +dovea ben solver l’una che tu faci. + +Letè vedrai, ma fuor di questa fossa, +là dove vanno l’anime a lavarsi +quando la colpa pentuta è rimossa». + +Poi disse: «Omai è tempo da scostarsi +dal bosco; fa che di retro a me vegne: +li margini fan via, che non son arsi, + +e sopra loro ogne vapor si spegne». + + + +Inferno · Canto XV + + +Ora cen porta l’un de’ duri margini; +e ’l fummo del ruscel di sopra aduggia, +sì che dal foco salva l’acqua e li argini. + +Quali Fiamminghi tra Guizzante e Bruggia, +temendo ’l fiotto che ’nver’ lor s’avventa, +fanno lo schermo perché ’l mar si fuggia; + +e quali Padoan lungo la Brenta, +per difender lor ville e lor castelli, +anzi che Carentana il caldo senta: + +a tale imagine eran fatti quelli, +tutto che né sì alti né sì grossi, +qual che si fosse, lo maestro félli. + +Già eravam da la selva rimossi +tanto, ch’i’ non avrei visto dov’ era, +perch’ io in dietro rivolto mi fossi, + +quando incontrammo d’anime una schiera +che venian lungo l’argine, e ciascuna +ci riguardava come suol da sera + +guardare uno altro sotto nuova luna; +e sì ver’ noi aguzzavan le ciglia +come ’l vecchio sartor fa ne la cruna. + +Così adocchiato da cotal famiglia, +fui conosciuto da un, che mi prese +per lo lembo e gridò: «Qual maraviglia!». + +E io, quando ’l suo braccio a me distese, +ficcaï li occhi per lo cotto aspetto, +sì che ’l viso abbrusciato non difese + +la conoscenza süa al mio ’ntelletto; +e chinando la mano a la sua faccia, +rispuosi: «Siete voi qui, ser Brunetto?». + +E quelli: «O figliuol mio, non ti dispiaccia +se Brunetto Latino un poco teco +ritorna ’n dietro e lascia andar la traccia». + +I’ dissi lui: «Quanto posso, ven preco; +e se volete che con voi m’asseggia, +faròl, se piace a costui che vo seco». + +«O figliuol», disse, «qual di questa greggia +s’arresta punto, giace poi cent’ anni +sanz’ arrostarsi quando ’l foco il feggia. + +Però va oltre: i’ ti verrò a’ panni; +e poi rigiugnerò la mia masnada, +che va piangendo i suoi etterni danni». + +Io non osava scender de la strada +per andar par di lui; ma ’l capo chino +tenea com’ uom che reverente vada. + +El cominciò: «Qual fortuna o destino +anzi l’ultimo dì qua giù ti mena? +e chi è questi che mostra ’l cammino?». + +«Là sù di sopra, in la vita serena», +rispuos’ io lui, «mi smarri’ in una valle, +avanti che l’età mia fosse piena. + +Pur ier mattina le volsi le spalle: +questi m’apparve, tornand’ ïo in quella, +e reducemi a ca per questo calle». + +Ed elli a me: «Se tu segui tua stella, +non puoi fallire a glorïoso porto, +se ben m’accorsi ne la vita bella; + +e s’io non fossi sì per tempo morto, +veggendo il cielo a te così benigno, +dato t’avrei a l’opera conforto. + +Ma quello ingrato popolo maligno +che discese di Fiesole ab antico, +e tiene ancor del monte e del macigno, + +ti si farà, per tuo ben far, nimico; +ed è ragion, ché tra li lazzi sorbi +si disconvien fruttare al dolce fico. + +Vecchia fama nel mondo li chiama orbi; +gent’ è avara, invidiosa e superba: +dai lor costumi fa che tu ti forbi. + +La tua fortuna tanto onor ti serba, +che l’una parte e l’altra avranno fame +di te; ma lungi fia dal becco l’erba. + +Faccian le bestie fiesolane strame +di lor medesme, e non tocchin la pianta, +s’alcuna surge ancora in lor letame, + +in cui riviva la sementa santa +di que’ Roman che vi rimaser quando +fu fatto il nido di malizia tanta». + +«Se fosse tutto pieno il mio dimando», +rispuos’ io lui, «voi non sareste ancora +de l’umana natura posto in bando; + +ché ’n la mente m’è fitta, e or m’accora, +la cara e buona imagine paterna +di voi quando nel mondo ad ora ad ora + +m’insegnavate come l’uom s’etterna: +e quant’ io l’abbia in grado, mentr’ io vivo +convien che ne la mia lingua si scerna. + +Ciò che narrate di mio corso scrivo, +e serbolo a chiosar con altro testo +a donna che saprà, s’a lei arrivo. + +Tanto vogl’ io che vi sia manifesto, +pur che mia coscïenza non mi garra, +ch’a la Fortuna, come vuol, son presto. + +Non è nuova a li orecchi miei tal arra: +però giri Fortuna la sua rota +come le piace, e ’l villan la sua marra». + +Lo mio maestro allora in su la gota +destra si volse in dietro e riguardommi; +poi disse: «Bene ascolta chi la nota». + +Né per tanto di men parlando vommi +con ser Brunetto, e dimando chi sono +li suoi compagni più noti e più sommi. + +Ed elli a me: «Saper d’alcuno è buono; +de li altri fia laudabile tacerci, +ché ’l tempo saria corto a tanto suono. + +In somma sappi che tutti fur cherci +e litterati grandi e di gran fama, +d’un peccato medesmo al mondo lerci. + +Priscian sen va con quella turba grama, +e Francesco d’Accorso anche; e vedervi, +s’avessi avuto di tal tigna brama, + +colui potei che dal servo de’ servi +fu trasmutato d’Arno in Bacchiglione, +dove lasciò li mal protesi nervi. + +Di più direi; ma ’l venire e ’l sermone +più lungo esser non può, però ch’i’ veggio +là surger nuovo fummo del sabbione. + +Gente vien con la quale esser non deggio. +Sieti raccomandato il mio Tesoro, +nel qual io vivo ancora, e più non cheggio». + +Poi si rivolse, e parve di coloro +che corrono a Verona il drappo verde +per la campagna; e parve di costoro + +quelli che vince, non colui che perde. + + + +Inferno · Canto XVI + + +Già era in loco onde s’udia ’l rimbombo +de l’acqua che cadea ne l’altro giro, +simile a quel che l’arnie fanno rombo, + +quando tre ombre insieme si partiro, +correndo, d’una torma che passava +sotto la pioggia de l’aspro martiro. + +Venian ver’ noi, e ciascuna gridava: +«Sòstati tu ch’a l’abito ne sembri +esser alcun di nostra terra prava». + +Ahimè, che piaghe vidi ne’ lor membri, +ricenti e vecchie, da le fiamme incese! +Ancor men duol pur ch’i’ me ne rimembri. + +A le lor grida il mio dottor s’attese; +volse ’l viso ver’ me, e «Or aspetta», +disse, «a costor si vuole esser cortese. + +E se non fosse il foco che saetta +la natura del loco, i’ dicerei +che meglio stesse a te che a lor la fretta». + +Ricominciar, come noi restammo, ei +l’antico verso; e quando a noi fuor giunti, +fenno una rota di sé tutti e trei. + +Qual sogliono i campion far nudi e unti, +avvisando lor presa e lor vantaggio, +prima che sien tra lor battuti e punti, + +così rotando, ciascuno il visaggio +drizzava a me, sì che ’n contraro il collo +faceva ai piè continüo vïaggio. + +E «Se miseria d’esto loco sollo +rende in dispetto noi e nostri prieghi», +cominciò l’uno, «e ’l tinto aspetto e brollo, + +la fama nostra il tuo animo pieghi +a dirne chi tu se’, che i vivi piedi +così sicuro per lo ’nferno freghi. + +Questi, l’orme di cui pestar mi vedi, +tutto che nudo e dipelato vada, +fu di grado maggior che tu non credi: + +nepote fu de la buona Gualdrada; +Guido Guerra ebbe nome, e in sua vita +fece col senno assai e con la spada. + +L’altro, ch’appresso me la rena trita, +è Tegghiaio Aldobrandi, la cui voce +nel mondo sù dovria esser gradita. + +E io, che posto son con loro in croce, +Iacopo Rusticucci fui, e certo +la fiera moglie più ch’altro mi nuoce». + +S’i’ fossi stato dal foco coperto, +gittato mi sarei tra lor di sotto, +e credo che ’l dottor l’avria sofferto; + +ma perch’ io mi sarei brusciato e cotto, +vinse paura la mia buona voglia +che di loro abbracciar mi facea ghiotto. + +Poi cominciai: «Non dispetto, ma doglia +la vostra condizion dentro mi fisse, +tanta che tardi tutta si dispoglia, + +tosto che questo mio segnor mi disse +parole per le quali i’ mi pensai +che qual voi siete, tal gente venisse. + +Di vostra terra sono, e sempre mai +l’ovra di voi e li onorati nomi +con affezion ritrassi e ascoltai. + +Lascio lo fele e vo per dolci pomi +promessi a me per lo verace duca; +ma ’nfino al centro pria convien ch’i’ tomi». + +«Se lungamente l’anima conduca +le membra tue», rispuose quelli ancora, +«e se la fama tua dopo te luca, + +cortesia e valor dì se dimora +ne la nostra città sì come suole, +o se del tutto se n’è gita fora; + +ché Guiglielmo Borsiere, il qual si duole +con noi per poco e va là coi compagni, +assai ne cruccia con le sue parole». + +«La gente nuova e i sùbiti guadagni +orgoglio e dismisura han generata, +Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni». + +Così gridai con la faccia levata; +e i tre, che ciò inteser per risposta, +guardar l’un l’altro com’ al ver si guata. + +«Se l’altre volte sì poco ti costa», +rispuoser tutti, «il satisfare altrui, +felice te se sì parli a tua posta! + +Però, se campi d’esti luoghi bui +e torni a riveder le belle stelle, +quando ti gioverà dicere “I’ fui”, + +fa che di noi a la gente favelle». +Indi rupper la rota, e a fuggirsi +ali sembiar le gambe loro isnelle. + +Un amen non saria possuto dirsi +tosto così com’ e’ fuoro spariti; +per ch’al maestro parve di partirsi. + +Io lo seguiva, e poco eravam iti, +che ’l suon de l’acqua n’era sì vicino, +che per parlar saremmo a pena uditi. + +Come quel fiume c’ha proprio cammino +prima dal Monte Viso ’nver’ levante, +da la sinistra costa d’Apennino, + +che si chiama Acquacheta suso, avante +che si divalli giù nel basso letto, +e a Forlì di quel nome è vacante, + +rimbomba là sovra San Benedetto +de l’Alpe per cadere ad una scesa +ove dovea per mille esser recetto; + +così, giù d’una ripa discoscesa, +trovammo risonar quell’ acqua tinta, +sì che ’n poc’ ora avria l’orecchia offesa. + +Io avea una corda intorno cinta, +e con essa pensai alcuna volta +prender la lonza a la pelle dipinta. + +Poscia ch’io l’ebbi tutta da me sciolta, +sì come ’l duca m’avea comandato, +porsila a lui aggroppata e ravvolta. + +Ond’ ei si volse inver’ lo destro lato, +e alquanto di lunge da la sponda +la gittò giuso in quell’ alto burrato. + +‘E’ pur convien che novità risponda’, +dicea fra me medesmo, ‘al novo cenno +che ’l maestro con l’occhio sì seconda’. + +Ahi quanto cauti li uomini esser dienno +presso a color che non veggion pur l’ovra, +ma per entro i pensier miran col senno! + +El disse a me: «Tosto verrà di sovra +ciò ch’io attendo e che il tuo pensier sogna; +tosto convien ch’al tuo viso si scovra». + +Sempre a quel ver c’ha faccia di menzogna +de’ l’uom chiuder le labbra fin ch’el puote, +però che sanza colpa fa vergogna; + +ma qui tacer nol posso; e per le note +di questa comedìa, lettor, ti giuro, +s’elle non sien di lunga grazia vòte, + +ch’i’ vidi per quell’ aere grosso e scuro +venir notando una figura in suso, +maravigliosa ad ogne cor sicuro, + +sì come torna colui che va giuso +talora a solver l’àncora ch’aggrappa +o scoglio o altro che nel mare è chiuso, + +che ’n sù si stende e da piè si rattrappa. + + + +Inferno · Canto XVII + + +«Ecco la fiera con la coda aguzza, +che passa i monti e rompe i muri e l’armi! +Ecco colei che tutto ’l mondo appuzza!». + +Sì cominciò lo mio duca a parlarmi; +e accennolle che venisse a proda, +vicino al fin d’i passeggiati marmi. + +E quella sozza imagine di froda +sen venne, e arrivò la testa e ’l busto, +ma ’n su la riva non trasse la coda. + +La faccia sua era faccia d’uom giusto, +tanto benigna avea di fuor la pelle, +e d’un serpente tutto l’altro fusto; + +due branche avea pilose insin l’ascelle; +lo dosso e ’l petto e ambedue le coste +dipinti avea di nodi e di rotelle. + +Con più color, sommesse e sovraposte +non fer mai drappi Tartari né Turchi, +né fuor tai tele per Aragne imposte. + +Come talvolta stanno a riva i burchi, +che parte sono in acqua e parte in terra, +e come là tra li Tedeschi lurchi + +lo bivero s’assetta a far sua guerra, +così la fiera pessima si stava +su l’orlo ch’è di pietra e ’l sabbion serra. + +Nel vano tutta sua coda guizzava, +torcendo in sù la venenosa forca +ch’a guisa di scorpion la punta armava. + +Lo duca disse: «Or convien che si torca +la nostra via un poco insino a quella +bestia malvagia che colà si corca». + +Però scendemmo a la destra mammella, +e diece passi femmo in su lo stremo, +per ben cessar la rena e la fiammella. + +E quando noi a lei venuti semo, +poco più oltre veggio in su la rena +gente seder propinqua al loco scemo. + +Quivi ’l maestro «Acciò che tutta piena +esperïenza d’esto giron porti», +mi disse, «va, e vedi la lor mena. + +Li tuoi ragionamenti sian là corti; +mentre che torni, parlerò con questa, +che ne conceda i suoi omeri forti». + +Così ancor su per la strema testa +di quel settimo cerchio tutto solo +andai, dove sedea la gente mesta. + +Per li occhi fora scoppiava lor duolo; +di qua, di là soccorrien con le mani +quando a’ vapori, e quando al caldo suolo: + +non altrimenti fan di state i cani +or col ceffo or col piè, quando son morsi +o da pulci o da mosche o da tafani. + +Poi che nel viso a certi li occhi porsi, +ne’ quali ’l doloroso foco casca, +non ne conobbi alcun; ma io m’accorsi + +che dal collo a ciascun pendea una tasca +ch’avea certo colore e certo segno, +e quindi par che ’l loro occhio si pasca. + +E com’ io riguardando tra lor vegno, +in una borsa gialla vidi azzurro +che d’un leone avea faccia e contegno. + +Poi, procedendo di mio sguardo il curro, +vidine un’altra come sangue rossa, +mostrando un’oca bianca più che burro. + +E un che d’una scrofa azzurra e grossa +segnato avea lo suo sacchetto bianco, +mi disse: «Che fai tu in questa fossa? + +Or te ne va; e perché se’ vivo anco, +sappi che ’l mio vicin Vitalïano +sederà qui dal mio sinistro fianco. + +Con questi Fiorentin son padoano: +spesse fïate mi ’ntronan li orecchi +gridando: “Vegna ’l cavalier sovrano, + +che recherà la tasca con tre becchi!”». +Qui distorse la bocca e di fuor trasse +la lingua, come bue che ’l naso lecchi. + +E io, temendo no ’l più star crucciasse +lui che di poco star m’avea ’mmonito, +torna’mi in dietro da l’anime lasse. + +Trova’ il duca mio ch’era salito +già su la groppa del fiero animale, +e disse a me: «Or sie forte e ardito. + +Omai si scende per sì fatte scale; +monta dinanzi, ch’i’ voglio esser mezzo, +sì che la coda non possa far male». + +Qual è colui che sì presso ha ’l riprezzo +de la quartana, c’ha già l’unghie smorte, +e triema tutto pur guardando ’l rezzo, + +tal divenn’ io a le parole porte; +ma vergogna mi fé le sue minacce, +che innanzi a buon segnor fa servo forte. + +I’ m’assettai in su quelle spallacce; +sì volli dir, ma la voce non venne +com’ io credetti: ‘Fa che tu m’abbracce’. + +Ma esso, ch’altra volta mi sovvenne +ad altro forse, tosto ch’i’ montai +con le braccia m’avvinse e mi sostenne; + +e disse: «Gerïon, moviti omai: +le rote larghe, e lo scender sia poco; +pensa la nova soma che tu hai». + +Come la navicella esce di loco +in dietro in dietro, sì quindi si tolse; +e poi ch’al tutto si sentì a gioco, + +là ’v’ era ’l petto, la coda rivolse, +e quella tesa, come anguilla, mosse, +e con le branche l’aere a sé raccolse. + +Maggior paura non credo che fosse +quando Fetonte abbandonò li freni, +per che ’l ciel, come pare ancor, si cosse; + +né quando Icaro misero le reni +sentì spennar per la scaldata cera, +gridando il padre a lui «Mala via tieni!», + +che fu la mia, quando vidi ch’i’ era +ne l’aere d’ogne parte, e vidi spenta +ogne veduta fuor che de la fera. + +Ella sen va notando lenta lenta; +rota e discende, ma non me n’accorgo +se non che al viso e di sotto mi venta. + +Io sentia già da la man destra il gorgo +far sotto noi un orribile scroscio, +per che con li occhi ’n giù la testa sporgo. + +Allor fu’ io più timido a lo stoscio, +però ch’i’ vidi fuochi e senti’ pianti; +ond’ io tremando tutto mi raccoscio. + +E vidi poi, ché nol vedea davanti, +lo scendere e ’l girar per li gran mali +che s’appressavan da diversi canti. + +Come ’l falcon ch’è stato assai su l’ali, +che sanza veder logoro o uccello +fa dire al falconiere «Omè, tu cali!», + +discende lasso onde si move isnello, +per cento rote, e da lunge si pone +dal suo maestro, disdegnoso e fello; + +così ne puose al fondo Gerïone +al piè al piè de la stagliata rocca, +e, discarcate le nostre persone, + +si dileguò come da corda cocca. + + + +Inferno · Canto XVIII + + +Luogo è in inferno detto Malebolge, +tutto di pietra di color ferrigno, +come la cerchia che dintorno il volge. + +Nel dritto mezzo del campo maligno +vaneggia un pozzo assai largo e profondo, +di cui suo loco dicerò l’ordigno. + +Quel cinghio che rimane adunque è tondo +tra ’l pozzo e ’l piè de l’alta ripa dura, +e ha distinto in dieci valli il fondo. + +Quale, dove per guardia de le mura +più e più fossi cingon li castelli, +la parte dove son rende figura, + +tale imagine quivi facean quelli; +e come a tai fortezze da’ lor sogli +a la ripa di fuor son ponticelli, + +così da imo de la roccia scogli +movien che ricidien li argini e ’ fossi +infino al pozzo che i tronca e raccogli. + +In questo luogo, de la schiena scossi +di Gerïon, trovammoci; e ’l poeta +tenne a sinistra, e io dietro mi mossi. + +A la man destra vidi nova pieta, +novo tormento e novi frustatori, +di che la prima bolgia era repleta. + +Nel fondo erano ignudi i peccatori; +dal mezzo in qua ci venien verso ’l volto, +di là con noi, ma con passi maggiori, + +come i Roman per l’essercito molto, +l’anno del giubileo, su per lo ponte +hanno a passar la gente modo colto, + +che da l’un lato tutti hanno la fronte +verso ’l castello e vanno a Santo Pietro, +da l’altra sponda vanno verso ’l monte. + +Di qua, di là, su per lo sasso tetro +vidi demon cornuti con gran ferze, +che li battien crudelmente di retro. + +Ahi come facean lor levar le berze +a le prime percosse! già nessuno +le seconde aspettava né le terze. + +Mentr’ io andava, li occhi miei in uno +furo scontrati; e io sì tosto dissi: +«Già di veder costui non son digiuno». + +Per ch’ïo a figurarlo i piedi affissi; +e ’l dolce duca meco si ristette, +e assentio ch’alquanto in dietro gissi. + +E quel frustato celar si credette +bassando ’l viso; ma poco li valse, +ch’io dissi: «O tu che l’occhio a terra gette, + +se le fazion che porti non son false, +Venedico se’ tu Caccianemico. +Ma che ti mena a sì pungenti salse?». + +Ed elli a me: «Mal volontier lo dico; +ma sforzami la tua chiara favella, +che mi fa sovvenir del mondo antico. + +I’ fui colui che la Ghisolabella +condussi a far la voglia del marchese, +come che suoni la sconcia novella. + +E non pur io qui piango bolognese; +anzi n’è questo loco tanto pieno, +che tante lingue non son ora apprese + +a dicer ‘sipa’ tra Sàvena e Reno; +e se di ciò vuoi fede o testimonio, +rècati a mente il nostro avaro seno». + +Così parlando il percosse un demonio +de la sua scurïada, e disse: «Via, +ruffian! qui non son femmine da conio». + +I’ mi raggiunsi con la scorta mia; +poscia con pochi passi divenimmo +là ’v’ uno scoglio de la ripa uscia. + +Assai leggeramente quel salimmo; +e vòlti a destra su per la sua scheggia, +da quelle cerchie etterne ci partimmo. + +Quando noi fummo là dov’ el vaneggia +di sotto per dar passo a li sferzati, +lo duca disse: «Attienti, e fa che feggia + +lo viso in te di quest’ altri mal nati, +ai quali ancor non vedesti la faccia +però che son con noi insieme andati». + +Del vecchio ponte guardavam la traccia +che venìa verso noi da l’altra banda, +e che la ferza similmente scaccia. + +E ’l buon maestro, sanza mia dimanda, +mi disse: «Guarda quel grande che vene, +e per dolor non par lagrime spanda: + +quanto aspetto reale ancor ritene! +Quelli è Iasón, che per cuore e per senno +li Colchi del monton privati féne. + +Ello passò per l’isola di Lenno +poi che l’ardite femmine spietate +tutti li maschi loro a morte dienno. + +Ivi con segni e con parole ornate +Isifile ingannò, la giovinetta +che prima avea tutte l’altre ingannate. + +Lasciolla quivi, gravida, soletta; +tal colpa a tal martiro lui condanna; +e anche di Medea si fa vendetta. + +Con lui sen va chi da tal parte inganna; +e questo basti de la prima valle +sapere e di color che ’n sé assanna». + +Già eravam là ’ve lo stretto calle +con l’argine secondo s’incrocicchia, +e fa di quello ad un altr’ arco spalle. + +Quindi sentimmo gente che si nicchia +ne l’altra bolgia e che col muso scuffa, +e sé medesma con le palme picchia. + +Le ripe eran grommate d’una muffa, +per l’alito di giù che vi s’appasta, +che con li occhi e col naso facea zuffa. + +Lo fondo è cupo sì, che non ci basta +loco a veder sanza montare al dosso +de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta. + +Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso +vidi gente attuffata in uno sterco +che da li uman privadi parea mosso. + +E mentre ch’io là giù con l’occhio cerco, +vidi un col capo sì di merda lordo, +che non parëa s’era laico o cherco. + +Quei mi sgridò: «Perché se’ tu sì gordo +di riguardar più me che li altri brutti?». +E io a lui: «Perché, se ben ricordo, + +già t’ho veduto coi capelli asciutti, +e se’ Alessio Interminei da Lucca: +però t’adocchio più che li altri tutti». + +Ed elli allor, battendosi la zucca: +«Qua giù m’hanno sommerso le lusinghe +ond’ io non ebbi mai la lingua stucca». + +Appresso ciò lo duca «Fa che pinghe», +mi disse, «il viso un poco più avante, +sì che la faccia ben con l’occhio attinghe + +di quella sozza e scapigliata fante +che là si graffia con l’unghie merdose, +e or s’accoscia e ora è in piedi stante. + +Taïde è, la puttana che rispuose +al drudo suo quando disse “Ho io grazie +grandi apo te?”: “Anzi maravigliose!”. + +E quinci sian le nostre viste sazie». + + + +Inferno · Canto XIX + + +O Simon mago, o miseri seguaci +che le cose di Dio, che di bontate +deon essere spose, e voi rapaci + +per oro e per argento avolterate, +or convien che per voi suoni la tromba, +però che ne la terza bolgia state. + +Già eravamo, a la seguente tomba, +montati de lo scoglio in quella parte +ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba. + +O somma sapïenza, quanta è l’arte +che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, +e quanto giusto tua virtù comparte! + +Io vidi per le coste e per lo fondo +piena la pietra livida di fóri, +d’un largo tutti e ciascun era tondo. + +Non mi parean men ampi né maggiori +che que’ che son nel mio bel San Giovanni, +fatti per loco d’i battezzatori; + +l’un de li quali, ancor non è molt’ anni, +rupp’ io per un che dentro v’annegava: +e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni. + +Fuor de la bocca a ciascun soperchiava +d’un peccator li piedi e de le gambe +infino al grosso, e l’altro dentro stava. + +Le piante erano a tutti accese intrambe; +per che sì forte guizzavan le giunte, +che spezzate averien ritorte e strambe. + +Qual suole il fiammeggiar de le cose unte +muoversi pur su per la strema buccia, +tal era lì dai calcagni a le punte. + +«Chi è colui, maestro, che si cruccia +guizzando più che li altri suoi consorti», +diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?». + +Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti +là giù per quella ripa che più giace, +da lui saprai di sé e de’ suoi torti». + +E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace: +tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto +dal tuo volere, e sai quel che si tace». + +Allor venimmo in su l’argine quarto; +volgemmo e discendemmo a mano stanca +là giù nel fondo foracchiato e arto. + +Lo buon maestro ancor de la sua anca +non mi dipuose, sì mi giunse al rotto +di quel che si piangeva con la zanca. + +«O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto, +anima trista come pal commessa», +comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto». + +Io stava come ’l frate che confessa +lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto, +richiama lui per che la morte cessa. + +Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto, +se’ tu già costì ritto, Bonifazio? +Di parecchi anni mi mentì lo scritto. + +Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio +per lo qual non temesti tòrre a ’nganno +la bella donna, e poi di farne strazio?». + +Tal mi fec’ io, quai son color che stanno, +per non intender ciò ch’è lor risposto, +quasi scornati, e risponder non sanno. + +Allor Virgilio disse: «Dilli tosto: +“Non son colui, non son colui che credi”»; +e io rispuosi come a me fu imposto. + +Per che lo spirto tutti storse i piedi; +poi, sospirando e con voce di pianto, +mi disse: «Dunque che a me richiedi? + +Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto, +che tu abbi però la ripa corsa, +sappi ch’i’ fui vestito del gran manto; + +e veramente fui figliuol de l’orsa, +cupido sì per avanzar li orsatti, +che sù l’avere e qui me misi in borsa. + +Di sotto al capo mio son li altri tratti +che precedetter me simoneggiando, +per le fessure de la pietra piatti. + +Là giù cascherò io altresì quando +verrà colui ch’i’ credea che tu fossi, +allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando. + +Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi +e ch’i’ son stato così sottosopra, +ch’el non starà piantato coi piè rossi: + +ché dopo lui verrà di più laida opra, +di ver’ ponente, un pastor sanza legge, +tal che convien che lui e me ricuopra. + +Nuovo Iasón sarà, di cui si legge +ne’ Maccabei; e come a quel fu molle +suo re, così fia lui chi Francia regge». + +Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle, +ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro: +«Deh, or mi dì: quanto tesoro volle + +Nostro Segnore in prima da san Pietro +ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa? +Certo non chiese se non “Viemmi retro”. + +Né Pier né li altri tolsero a Matia +oro od argento, quando fu sortito +al loco che perdé l’anima ria. + +Però ti sta, ché tu se’ ben punito; +e guarda ben la mal tolta moneta +ch’esser ti fece contra Carlo ardito. + +E se non fosse ch’ancor lo mi vieta +la reverenza de le somme chiavi +che tu tenesti ne la vita lieta, + +io userei parole ancor più gravi; +ché la vostra avarizia il mondo attrista, +calcando i buoni e sollevando i pravi. + +Di voi pastor s’accorse il Vangelista, +quando colei che siede sopra l’acque +puttaneggiar coi regi a lui fu vista; + +quella che con le sette teste nacque, +e da le diece corna ebbe argomento, +fin che virtute al suo marito piacque. + +Fatto v’avete dio d’oro e d’argento; +e che altro è da voi a l’idolatre, +se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? + +Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, +non la tua conversion, ma quella dote +che da te prese il primo ricco patre!». + +E mentr’ io li cantava cotai note, +o ira o coscïenza che ’l mordesse, +forte spingava con ambo le piote. + +I’ credo ben ch’al mio duca piacesse, +con sì contenta labbia sempre attese +lo suon de le parole vere espresse. + +Però con ambo le braccia mi prese; +e poi che tutto su mi s’ebbe al petto, +rimontò per la via onde discese. + +Né si stancò d’avermi a sé distretto, +sì men portò sovra ’l colmo de l’arco +che dal quarto al quinto argine è tragetto. + +Quivi soavemente spuose il carco, +soave per lo scoglio sconcio ed erto +che sarebbe a le capre duro varco. + +Indi un altro vallon mi fu scoperto. + + + +Inferno · Canto XX + + +Di nova pena mi conven far versi +e dar matera al ventesimo canto +de la prima canzon, ch’è d’i sommersi. + +Io era già disposto tutto quanto +a riguardar ne lo scoperto fondo, +che si bagnava d’angoscioso pianto; + +e vidi gente per lo vallon tondo +venir, tacendo e lagrimando, al passo +che fanno le letane in questo mondo. + +Come ’l viso mi scese in lor più basso, +mirabilmente apparve esser travolto +ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso, + +ché da le reni era tornato ’l volto, +e in dietro venir li convenia, +perché ’l veder dinanzi era lor tolto. + +Forse per forza già di parlasia +si travolse così alcun del tutto; +ma io nol vidi, né credo che sia. + +Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto +di tua lezione, or pensa per te stesso +com’ io potea tener lo viso asciutto, + +quando la nostra imagine di presso +vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi +le natiche bagnava per lo fesso. + +Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi +del duro scoglio, sì che la mia scorta +mi disse: «Ancor se’ tu de li altri sciocchi? + +Qui vive la pietà quand’ è ben morta; +chi è più scellerato che colui +che al giudicio divin passion comporta? + +Drizza la testa, drizza, e vedi a cui +s’aperse a li occhi d’i Teban la terra; +per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui, + +Anfïarao? perché lasci la guerra?”. +E non restò di ruinare a valle +fino a Minòs che ciascheduno afferra. + +Mira c’ha fatto petto de le spalle; +perché volle veder troppo davante, +di retro guarda e fa retroso calle. + +Vedi Tiresia, che mutò sembiante +quando di maschio femmina divenne, +cangiandosi le membra tutte quante; + +e prima, poi, ribatter li convenne +li duo serpenti avvolti, con la verga, +che rïavesse le maschili penne. + +Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga, +che ne’ monti di Luni, dove ronca +lo Carrarese che di sotto alberga, + +ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca +per sua dimora; onde a guardar le stelle +e ’l mar non li era la veduta tronca. + +E quella che ricuopre le mammelle, +che tu non vedi, con le trecce sciolte, +e ha di là ogne pilosa pelle, + +Manto fu, che cercò per terre molte; +poscia si puose là dove nacqu’ io; +onde un poco mi piace che m’ascolte. + +Poscia che ’l padre suo di vita uscìo +e venne serva la città di Baco, +questa gran tempo per lo mondo gio. + +Suso in Italia bella giace un laco, +a piè de l’Alpe che serra Lamagna +sovra Tiralli, c’ha nome Benaco. + +Per mille fonti, credo, e più si bagna +tra Garda e Val Camonica e Pennino +de l’acqua che nel detto laco stagna. + +Loco è nel mezzo là dove ’l trentino +pastore e quel di Brescia e ’l veronese +segnar poria, s’e’ fesse quel cammino. + +Siede Peschiera, bello e forte arnese +da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi, +ove la riva ’ntorno più discese. + +Ivi convien che tutto quanto caschi +ciò che ’n grembo a Benaco star non può, +e fassi fiume giù per verdi paschi. + +Tosto che l’acqua a correr mette co, +non più Benaco, ma Mencio si chiama +fino a Governol, dove cade in Po. + +Non molto ha corso, ch’el trova una lama, +ne la qual si distende e la ’mpaluda; +e suol di state talor essere grama. + +Quindi passando la vergine cruda +vide terra, nel mezzo del pantano, +sanza coltura e d’abitanti nuda. + +Lì, per fuggire ogne consorzio umano, +ristette con suoi servi a far sue arti, +e visse, e vi lasciò suo corpo vano. + +Li uomini poi che ’ntorno erano sparti +s’accolsero a quel loco, ch’era forte +per lo pantan ch’avea da tutte parti. + +Fer la città sovra quell’ ossa morte; +e per colei che ’l loco prima elesse, +Mantüa l’appellar sanz’ altra sorte. + +Già fuor le genti sue dentro più spesse, +prima che la mattia da Casalodi +da Pinamonte inganno ricevesse. + +Però t’assenno che, se tu mai odi +originar la mia terra altrimenti, +la verità nulla menzogna frodi». + +E io: «Maestro, i tuoi ragionamenti +mi son sì certi e prendon sì mia fede, +che li altri mi sarien carboni spenti. + +Ma dimmi, de la gente che procede, +se tu ne vedi alcun degno di nota; +ché solo a ciò la mia mente rifiede». + +Allor mi disse: «Quel che da la gota +porge la barba in su le spalle brune, +fu—quando Grecia fu di maschi vòta, + +sì ch’a pena rimaser per le cune— +augure, e diede ’l punto con Calcanta +in Aulide a tagliar la prima fune. + +Euripilo ebbe nome, e così ’l canta +l’alta mia tragedìa in alcun loco: +ben lo sai tu che la sai tutta quanta. + +Quell’ altro che ne’ fianchi è così poco, +Michele Scotto fu, che veramente +de le magiche frode seppe ’l gioco. + +Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente, +ch’avere inteso al cuoio e a lo spago +ora vorrebbe, ma tardi si pente. + +Vedi le triste che lasciaron l’ago, +la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine; +fecer malie con erbe e con imago. + +Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine +d’amendue li emisperi e tocca l’onda +sotto Sobilia Caino e le spine; + +e già iernotte fu la luna tonda: +ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque +alcuna volta per la selva fonda». + +Sì mi parlava, e andavamo introcque. + + + +Inferno · Canto XXI + + +Così di ponte in ponte, altro parlando +che la mia comedìa cantar non cura, +venimmo; e tenavamo ’l colmo, quando + +restammo per veder l’altra fessura +di Malebolge e li altri pianti vani; +e vidila mirabilmente oscura. + +Quale ne l’arzanà de’ Viniziani +bolle l’inverno la tenace pece +a rimpalmare i legni lor non sani, + +ché navicar non ponno—in quella vece +chi fa suo legno novo e chi ristoppa +le coste a quel che più vïaggi fece; + +chi ribatte da proda e chi da poppa; +altri fa remi e altri volge sarte; +chi terzeruolo e artimon rintoppa—: + +tal, non per foco ma per divin’ arte, +bollia là giuso una pegola spessa, +che ’nviscava la ripa d’ogne parte. + +I’ vedea lei, ma non vedëa in essa +mai che le bolle che ’l bollor levava, +e gonfiar tutta, e riseder compressa. + +Mentr’ io là giù fisamente mirava, +lo duca mio, dicendo «Guarda, guarda!», +mi trasse a sé del loco dov’ io stava. + +Allor mi volsi come l’uom cui tarda +di veder quel che li convien fuggire +e cui paura sùbita sgagliarda, + +che, per veder, non indugia ’l partire: +e vidi dietro a noi un diavol nero +correndo su per lo scoglio venire. + +Ahi quant’ elli era ne l’aspetto fero! +e quanto mi parea ne l’atto acerbo, +con l’ali aperte e sovra i piè leggero! + +L’omero suo, ch’era aguto e superbo, +carcava un peccator con ambo l’anche, +e quei tenea de’ piè ghermito ’l nerbo. + +Del nostro ponte disse: «O Malebranche, +ecco un de li anzïan di Santa Zita! +Mettetel sotto, ch’i’ torno per anche + +a quella terra, che n’è ben fornita: +ogn’ uom v’è barattier, fuor che Bonturo; +del no, per li denar, vi si fa ita». + +Là giù ’l buttò, e per lo scoglio duro +si volse; e mai non fu mastino sciolto +con tanta fretta a seguitar lo furo. + +Quel s’attuffò, e tornò sù convolto; +ma i demon che del ponte avean coperchio, +gridar: «Qui non ha loco il Santo Volto! + +qui si nuota altrimenti che nel Serchio! +Però, se tu non vuo’ di nostri graffi, +non far sopra la pegola soverchio». + +Poi l’addentar con più di cento raffi, +disser: «Coverto convien che qui balli, +sì che, se puoi, nascosamente accaffi». + +Non altrimenti i cuoci a’ lor vassalli +fanno attuffare in mezzo la caldaia +la carne con li uncin, perché non galli. + +Lo buon maestro «Acciò che non si paia +che tu ci sia», mi disse, «giù t’acquatta +dopo uno scheggio, ch’alcun schermo t’aia; + +e per nulla offension che mi sia fatta, +non temer tu, ch’i’ ho le cose conte, +perch’ altra volta fui a tal baratta». + +Poscia passò di là dal co del ponte; +e com’ el giunse in su la ripa sesta, +mestier li fu d’aver sicura fronte. + +Con quel furore e con quella tempesta +ch’escono i cani a dosso al poverello +che di sùbito chiede ove s’arresta, + +usciron quei di sotto al ponticello, +e volser contra lui tutt’ i runcigli; +ma el gridò: «Nessun di voi sia fello! + +Innanzi che l’uncin vostro mi pigli, +traggasi avante l’un di voi che m’oda, +e poi d’arruncigliarmi si consigli». + +Tutti gridaron: «Vada Malacoda!»; +per ch’un si mosse—e li altri stetter fermi— +e venne a lui dicendo: «Che li approda?». + +«Credi tu, Malacoda, qui vedermi +esser venuto», disse ’l mio maestro, +«sicuro già da tutti vostri schermi, + +sanza voler divino e fato destro? +Lascian’ andar, ché nel cielo è voluto +ch’i’ mostri altrui questo cammin silvestro». + +Allor li fu l’orgoglio sì caduto, +ch’e’ si lasciò cascar l’uncino a’ piedi, +e disse a li altri: «Omai non sia feruto». + +E ’l duca mio a me: «O tu che siedi +tra li scheggion del ponte quatto quatto, +sicuramente omai a me ti riedi». + +Per ch’io mi mossi e a lui venni ratto; +e i diavoli si fecer tutti avanti, +sì ch’io temetti ch’ei tenesser patto; + +così vid’ ïo già temer li fanti +ch’uscivan patteggiati di Caprona, +veggendo sé tra nemici cotanti. + +I’ m’accostai con tutta la persona +lungo ’l mio duca, e non torceva li occhi +da la sembianza lor ch’era non buona. + +Ei chinavan li raffi e «Vuo’ che ’l tocchi», +diceva l’un con l’altro, «in sul groppone?». +E rispondien: «Sì, fa che gliel’ accocchi». + +Ma quel demonio che tenea sermone +col duca mio, si volse tutto presto +e disse: «Posa, posa, Scarmiglione!». + +Poi disse a noi: «Più oltre andar per questo +iscoglio non si può, però che giace +tutto spezzato al fondo l’arco sesto. + +E se l’andare avante pur vi piace, +andatevene su per questa grotta; +presso è un altro scoglio che via face. + +Ier, più oltre cinqu’ ore che quest’ otta, +mille dugento con sessanta sei +anni compié che qui la via fu rotta. + +Io mando verso là di questi miei +a riguardar s’alcun se ne sciorina; +gite con lor, che non saranno rei». + +«Tra’ti avante, Alichino, e Calcabrina», +cominciò elli a dire, «e tu, Cagnazzo; +e Barbariccia guidi la decina. + +Libicocco vegn’ oltre e Draghignazzo, +Cirïatto sannuto e Graffiacane +e Farfarello e Rubicante pazzo. + +Cercate ’ntorno le boglienti pane; +costor sian salvi infino a l’altro scheggio +che tutto intero va sovra le tane». + +«Omè, maestro, che è quel ch’i’ veggio?», +diss’ io, «deh, sanza scorta andianci soli, +se tu sa’ ir; ch’i’ per me non la cheggio. + +Se tu se’ sì accorto come suoli, +non vedi tu ch’e’ digrignan li denti +e con le ciglia ne minaccian duoli?». + +Ed elli a me: «Non vo’ che tu paventi; +lasciali digrignar pur a lor senno, +ch’e’ fanno ciò per li lessi dolenti». + +Per l’argine sinistro volta dienno; +ma prima avea ciascun la lingua stretta +coi denti, verso lor duca, per cenno; + +ed elli avea del cul fatto trombetta. + + + +Inferno · Canto XXII + + +Io vidi già cavalier muover campo, +e cominciare stormo e far lor mostra, +e talvolta partir per loro scampo; + +corridor vidi per la terra vostra, +o Aretini, e vidi gir gualdane, +fedir torneamenti e correr giostra; + +quando con trombe, e quando con campane, +con tamburi e con cenni di castella, +e con cose nostrali e con istrane; + +né già con sì diversa cennamella +cavalier vidi muover né pedoni, +né nave a segno di terra o di stella. + +Noi andavam con li diece demoni. +Ahi fiera compagnia! ma ne la chiesa +coi santi, e in taverna coi ghiottoni. + +Pur a la pegola era la mia ’ntesa, +per veder de la bolgia ogne contegno +e de la gente ch’entro v’era incesa. + +Come i dalfini, quando fanno segno +a’ marinar con l’arco de la schiena +che s’argomentin di campar lor legno, + +talor così, ad alleggiar la pena, +mostrav’ alcun de’ peccatori ’l dosso +e nascondea in men che non balena. + +E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso +stanno i ranocchi pur col muso fuori, +sì che celano i piedi e l’altro grosso, + +sì stavan d’ogne parte i peccatori; +ma come s’appressava Barbariccia, +così si ritraén sotto i bollori. + +I’ vidi, e anco il cor me n’accapriccia, +uno aspettar così, com’ elli ’ncontra +ch’una rana rimane e l’altra spiccia; + +e Graffiacan, che li era più di contra, +li arruncigliò le ’mpegolate chiome +e trassel sù, che mi parve una lontra. + +I’ sapea già di tutti quanti ’l nome, +sì li notai quando fuorono eletti, +e poi ch’e’ si chiamaro, attesi come. + +«O Rubicante, fa che tu li metti +li unghioni a dosso, sì che tu lo scuoi!», +gridavan tutti insieme i maladetti. + +E io: «Maestro mio, fa, se tu puoi, +che tu sappi chi è lo sciagurato +venuto a man de li avversari suoi». + +Lo duca mio li s’accostò allato; +domandollo ond’ ei fosse, e quei rispuose: +«I’ fui del regno di Navarra nato. + +Mia madre a servo d’un segnor mi puose, +che m’avea generato d’un ribaldo, +distruggitor di sé e di sue cose. + +Poi fui famiglia del buon re Tebaldo; +quivi mi misi a far baratteria, +di ch’io rendo ragione in questo caldo». + +E Cirïatto, a cui di bocca uscia +d’ogne parte una sanna come a porco, +li fé sentir come l’una sdruscia. + +Tra male gatte era venuto ’l sorco; +ma Barbariccia il chiuse con le braccia +e disse: «State in là, mentr’ io lo ’nforco». + +E al maestro mio volse la faccia; +«Domanda», disse, «ancor, se più disii +saper da lui, prima ch’altri ’l disfaccia». + +Lo duca dunque: «Or dì: de li altri rii +conosci tu alcun che sia latino +sotto la pece?». E quelli: «I’ mi partii, + +poco è, da un che fu di là vicino. +Così foss’ io ancor con lui coperto, +ch’i’ non temerei unghia né uncino!». + +E Libicocco «Troppo avem sofferto», +disse; e preseli ’l braccio col runciglio, +sì che, stracciando, ne portò un lacerto. + +Draghignazzo anco i volle dar di piglio +giuso a le gambe; onde ’l decurio loro +si volse intorno intorno con mal piglio. + +Quand’ elli un poco rappaciati fuoro, +a lui, ch’ancor mirava sua ferita, +domandò ’l duca mio sanza dimoro: + +«Chi fu colui da cui mala partita +di’ che facesti per venire a proda?». +Ed ei rispuose: «Fu frate Gomita, + +quel di Gallura, vasel d’ogne froda, +ch’ebbe i nemici di suo donno in mano, +e fé sì lor, che ciascun se ne loda. + +Danar si tolse e lasciolli di piano, +sì com’ e’ dice; e ne li altri offici anche +barattier fu non picciol, ma sovrano. + +Usa con esso donno Michel Zanche +di Logodoro; e a dir di Sardigna +le lingue lor non si sentono stanche. + +Omè, vedete l’altro che digrigna; +i’ direi anche, ma i’ temo ch’ello +non s’apparecchi a grattarmi la tigna». + +E ’l gran proposto, vòlto a Farfarello +che stralunava li occhi per fedire, +disse: «Fatti ’n costà, malvagio uccello!». + +«Se voi volete vedere o udire», +ricominciò lo spaürato appresso, +«Toschi o Lombardi, io ne farò venire; + +ma stieno i Malebranche un poco in cesso, +sì ch’ei non teman de le lor vendette; +e io, seggendo in questo loco stesso, + +per un ch’io son, ne farò venir sette +quand’ io suffolerò, com’ è nostro uso +di fare allor che fori alcun si mette». + +Cagnazzo a cotal motto levò ’l muso, +crollando ’l capo, e disse: «Odi malizia +ch’elli ha pensata per gittarsi giuso!». + +Ond’ ei, ch’avea lacciuoli a gran divizia, +rispuose: «Malizioso son io troppo, +quand’ io procuro a’ mia maggior trestizia». + +Alichin non si tenne e, di rintoppo +a li altri, disse a lui: «Se tu ti cali, +io non ti verrò dietro di gualoppo, + +ma batterò sovra la pece l’ali. +Lascisi ’l collo, e sia la ripa scudo, +a veder se tu sol più di noi vali». + +O tu che leggi, udirai nuovo ludo: +ciascun da l’altra costa li occhi volse, +quel prima, ch’a ciò fare era più crudo. + +Lo Navarrese ben suo tempo colse; +fermò le piante a terra, e in un punto +saltò e dal proposto lor si sciolse. + +Di che ciascun di colpa fu compunto, +ma quei più che cagion fu del difetto; +però si mosse e gridò: «Tu se’ giunto!». + +Ma poco i valse: ché l’ali al sospetto +non potero avanzar; quelli andò sotto, +e quei drizzò volando suso il petto: + +non altrimenti l’anitra di botto, +quando ’l falcon s’appressa, giù s’attuffa, +ed ei ritorna sù crucciato e rotto. + +Irato Calcabrina de la buffa, +volando dietro li tenne, invaghito +che quei campasse per aver la zuffa; + +e come ’l barattier fu disparito, +così volse li artigli al suo compagno, +e fu con lui sopra ’l fosso ghermito. + +Ma l’altro fu bene sparvier grifagno +ad artigliar ben lui, e amendue +cadder nel mezzo del bogliente stagno. + +Lo caldo sghermitor sùbito fue; +ma però di levarsi era neente, +sì avieno inviscate l’ali sue. + +Barbariccia, con li altri suoi dolente, +quattro ne fé volar da l’altra costa +con tutt’ i raffi, e assai prestamente + +di qua, di là discesero a la posta; +porser li uncini verso li ’mpaniati, +ch’eran già cotti dentro da la crosta. + +E noi lasciammo lor così ’mpacciati. + + + +Inferno · Canto XXIII + + +Taciti, soli, sanza compagnia +n’andavam l’un dinanzi e l’altro dopo, +come frati minor vanno per via. + +Vòlt’ era in su la favola d’Isopo +lo mio pensier per la presente rissa, +dov’ el parlò de la rana e del topo; + +ché più non si pareggia ‘mo’ e ‘issa’ +che l’un con l’altro fa, se ben s’accoppia +principio e fine con la mente fissa. + +E come l’un pensier de l’altro scoppia, +così nacque di quello un altro poi, +che la prima paura mi fé doppia. + +Io pensava così: ‘Questi per noi +sono scherniti con danno e con beffa +sì fatta, ch’assai credo che lor nòi. + +Se l’ira sovra ’l mal voler s’aggueffa, +ei ne verranno dietro più crudeli +che ’l cane a quella lievre ch’elli acceffa’. + +Già mi sentia tutti arricciar li peli +de la paura e stava in dietro intento, +quand’ io dissi: «Maestro, se non celi + +te e me tostamente, i’ ho pavento +d’i Malebranche. Noi li avem già dietro; +io li ’magino sì, che già li sento». + +E quei: «S’i’ fossi di piombato vetro, +l’imagine di fuor tua non trarrei +più tosto a me, che quella dentro ’mpetro. + +Pur mo venieno i tuo’ pensier tra ’ miei, +con simile atto e con simile faccia, +sì che d’intrambi un sol consiglio fei. + +S’elli è che sì la destra costa giaccia, +che noi possiam ne l’altra bolgia scendere, +noi fuggirem l’imaginata caccia». + +Già non compié di tal consiglio rendere, +ch’io li vidi venir con l’ali tese +non molto lungi, per volerne prendere. + +Lo duca mio di sùbito mi prese, +come la madre ch’al romore è desta +e vede presso a sé le fiamme accese, + +che prende il figlio e fugge e non s’arresta, +avendo più di lui che di sé cura, +tanto che solo una camiscia vesta; + +e giù dal collo de la ripa dura +supin si diede a la pendente roccia, +che l’un de’ lati a l’altra bolgia tura. + +Non corse mai sì tosto acqua per doccia +a volger ruota di molin terragno, +quand’ ella più verso le pale approccia, + +come ’l maestro mio per quel vivagno, +portandosene me sovra ’l suo petto, +come suo figlio, non come compagno. + +A pena fuoro i piè suoi giunti al letto +del fondo giù, ch’e’ furon in sul colle +sovresso noi; ma non lì era sospetto: + +ché l’alta provedenza che lor volle +porre ministri de la fossa quinta, +poder di partirs’ indi a tutti tolle. + +Là giù trovammo una gente dipinta +che giva intorno assai con lenti passi, +piangendo e nel sembiante stanca e vinta. + +Elli avean cappe con cappucci bassi +dinanzi a li occhi, fatte de la taglia +che in Clugnì per li monaci fassi. + +Di fuor dorate son, sì ch’elli abbaglia; +ma dentro tutte piombo, e gravi tanto, +che Federigo le mettea di paglia. + +Oh in etterno faticoso manto! +Noi ci volgemmo ancor pur a man manca +con loro insieme, intenti al tristo pianto; + +ma per lo peso quella gente stanca +venìa sì pian, che noi eravam nuovi +di compagnia ad ogne mover d’anca. + +Per ch’io al duca mio: «Fa che tu trovi +alcun ch’al fatto o al nome si conosca, +e li occhi, sì andando, intorno movi». + +E un che ’ntese la parola tosca, +di retro a noi gridò: «Tenete i piedi, +voi che correte sì per l’aura fosca! + +Forse ch’avrai da me quel che tu chiedi». +Onde ’l duca si volse e disse: «Aspetta, +e poi secondo il suo passo procedi». + +Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta +de l’animo, col viso, d’esser meco; +ma tardavali ’l carco e la via stretta. + +Quando fuor giunti, assai con l’occhio bieco +mi rimiraron sanza far parola; +poi si volsero in sé, e dicean seco: + +«Costui par vivo a l’atto de la gola; +e s’e’ son morti, per qual privilegio +vanno scoperti de la grave stola?». + +Poi disser me: «O Tosco, ch’al collegio +de l’ipocriti tristi se’ venuto, +dir chi tu se’ non avere in dispregio». + +E io a loro: «I’ fui nato e cresciuto +sovra ’l bel fiume d’Arno a la gran villa, +e son col corpo ch’i’ ho sempre avuto. + +Ma voi chi siete, a cui tanto distilla +quant’ i’ veggio dolor giù per le guance? +e che pena è in voi che sì sfavilla?». + +E l’un rispuose a me: «Le cappe rance +son di piombo sì grosse, che li pesi +fan così cigolar le lor bilance. + +Frati godenti fummo, e bolognesi; +io Catalano e questi Loderingo +nomati, e da tua terra insieme presi + +come suole esser tolto un uom solingo, +per conservar sua pace; e fummo tali, +ch’ancor si pare intorno dal Gardingo». + +Io cominciai: «O frati, i vostri mali . . . »; +ma più non dissi, ch’a l’occhio mi corse +un, crucifisso in terra con tre pali. + +Quando mi vide, tutto si distorse, +soffiando ne la barba con sospiri; +e ’l frate Catalan, ch’a ciò s’accorse, + +mi disse: «Quel confitto che tu miri, +consigliò i Farisei che convenia +porre un uom per lo popolo a’ martìri. + +Attraversato è, nudo, ne la via, +come tu vedi, ed è mestier ch’el senta +qualunque passa, come pesa, pria. + +E a tal modo il socero si stenta +in questa fossa, e li altri dal concilio +che fu per li Giudei mala sementa». + +Allor vid’ io maravigliar Virgilio +sovra colui ch’era disteso in croce +tanto vilmente ne l’etterno essilio. + +Poscia drizzò al frate cotal voce: +«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci +s’a la man destra giace alcuna foce + +onde noi amendue possiamo uscirci, +sanza costrigner de li angeli neri +che vegnan d’esto fondo a dipartirci». + +Rispuose adunque: «Più che tu non speri +s’appressa un sasso che da la gran cerchia +si move e varca tutt’ i vallon feri, + +salvo che ’n questo è rotto e nol coperchia; +montar potrete su per la ruina, +che giace in costa e nel fondo soperchia». + +Lo duca stette un poco a testa china; +poi disse: «Mal contava la bisogna +colui che i peccator di qua uncina». + +E ’l frate: «Io udi’ già dire a Bologna +del diavol vizi assai, tra ’ quali udi’ +ch’elli è bugiardo, e padre di menzogna». + +Appresso il duca a gran passi sen gì, +turbato un poco d’ira nel sembiante; +ond’ io da li ’ncarcati mi parti’ + +dietro a le poste de le care piante. + + + +Inferno · Canto XXIV + + +In quella parte del giovanetto anno +che ’l sole i crin sotto l’Aquario tempra +e già le notti al mezzo dì sen vanno, + +quando la brina in su la terra assempra +l’imagine di sua sorella bianca, +ma poco dura a la sua penna tempra, + +lo villanello a cui la roba manca, +si leva, e guarda, e vede la campagna +biancheggiar tutta; ond’ ei si batte l’anca, + +ritorna in casa, e qua e là si lagna, +come ’l tapin che non sa che si faccia; +poi riede, e la speranza ringavagna, + +veggendo ’l mondo aver cangiata faccia +in poco d’ora, e prende suo vincastro +e fuor le pecorelle a pascer caccia. + +Così mi fece sbigottir lo mastro +quand’ io li vidi sì turbar la fronte, +e così tosto al mal giunse lo ’mpiastro; + +ché, come noi venimmo al guasto ponte, +lo duca a me si volse con quel piglio +dolce ch’io vidi prima a piè del monte. + +Le braccia aperse, dopo alcun consiglio +eletto seco riguardando prima +ben la ruina, e diedemi di piglio. + +E come quei ch’adopera ed estima, +che sempre par che ’nnanzi si proveggia, +così, levando me sù ver’ la cima + +d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia +dicendo: «Sovra quella poi t’aggrappa; +ma tenta pria s’è tal ch’ella ti reggia». + +Non era via da vestito di cappa, +ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, +potavam sù montar di chiappa in chiappa. + +E se non fosse che da quel precinto +più che da l’altro era la costa corta, +non so di lui, ma io sarei ben vinto. + +Ma perché Malebolge inver’ la porta +del bassissimo pozzo tutta pende, +lo sito di ciascuna valle porta + +che l’una costa surge e l’altra scende; +noi pur venimmo al fine in su la punta +onde l’ultima pietra si scoscende. + +La lena m’era del polmon sì munta +quand’ io fui sù, ch’i’ non potea più oltre, +anzi m’assisi ne la prima giunta. + +«Omai convien che tu così ti spoltre», +disse ’l maestro; «ché, seggendo in piuma, +in fama non si vien, né sotto coltre; + +sanza la qual chi sua vita consuma, +cotal vestigio in terra di sé lascia, +qual fummo in aere e in acqua la schiuma. + +E però leva sù; vinci l’ambascia +con l’animo che vince ogne battaglia, +se col suo grave corpo non s’accascia. + +Più lunga scala convien che si saglia; +non basta da costoro esser partito. +Se tu mi ’ntendi, or fa sì che ti vaglia». + +Leva’mi allor, mostrandomi fornito +meglio di lena ch’i’ non mi sentia, +e dissi: «Va, ch’i’ son forte e ardito». + +Su per lo scoglio prendemmo la via, +ch’era ronchioso, stretto e malagevole, +ed erto più assai che quel di pria. + +Parlando andava per non parer fievole; +onde una voce uscì de l’altro fosso, +a parole formar disconvenevole. + +Non so che disse, ancor che sovra ’l dosso +fossi de l’arco già che varca quivi; +ma chi parlava ad ire parea mosso. + +Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi +non poteano ire al fondo per lo scuro; +per ch’io: «Maestro, fa che tu arrivi + +da l’altro cinghio e dismontiam lo muro; +ché, com’ i’ odo quinci e non intendo, +così giù veggio e neente affiguro». + +«Altra risposta», disse, «non ti rendo +se non lo far; ché la dimanda onesta +si de’ seguir con l’opera tacendo». + +Noi discendemmo il ponte da la testa +dove s’aggiugne con l’ottava ripa, +e poi mi fu la bolgia manifesta: + +e vidivi entro terribile stipa +di serpenti, e di sì diversa mena +che la memoria il sangue ancor mi scipa. + +Più non si vanti Libia con sua rena; +ché se chelidri, iaculi e faree +produce, e cencri con anfisibena, + +né tante pestilenzie né sì ree +mostrò già mai con tutta l’Etïopia +né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. + +Tra questa cruda e tristissima copia +corrëan genti nude e spaventate, +sanza sperar pertugio o elitropia: + +con serpi le man dietro avean legate; +quelle ficcavan per le ren la coda +e ’l capo, ed eran dinanzi aggroppate. + +Ed ecco a un ch’era da nostra proda, +s’avventò un serpente che ’l trafisse +là dove ’l collo a le spalle s’annoda. + +Né O sì tosto mai né I si scrisse, +com’ el s’accese e arse, e cener tutto +convenne che cascando divenisse; + +e poi che fu a terra sì distrutto, +la polver si raccolse per sé stessa +e ’n quel medesmo ritornò di butto. + +Così per li gran savi si confessa +che la fenice more e poi rinasce, +quando al cinquecentesimo anno appressa; + +erba né biado in sua vita non pasce, +ma sol d’incenso lagrime e d’amomo, +e nardo e mirra son l’ultime fasce. + +E qual è quel che cade, e non sa como, +per forza di demon ch’a terra il tira, +o d’altra oppilazion che lega l’omo, + +quando si leva, che ’ntorno si mira +tutto smarrito de la grande angoscia +ch’elli ha sofferta, e guardando sospira: + +tal era ’l peccator levato poscia. +Oh potenza di Dio, quant’ è severa, +che cotai colpi per vendetta croscia! + +Lo duca il domandò poi chi ello era; +per ch’ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, +poco tempo è, in questa gola fiera. + +Vita bestial mi piacque e non umana, +sì come a mul ch’i’ fui; son Vanni Fucci +bestia, e Pistoia mi fu degna tana». + +E ïo al duca: «Dilli che non mucci, +e domanda che colpa qua giù ’l pinse; +ch’io ’l vidi uomo di sangue e di crucci». + +E ’l peccator, che ’ntese, non s’infinse, +ma drizzò verso me l’animo e ’l volto, +e di trista vergogna si dipinse; + +poi disse: «Più mi duol che tu m’hai colto +ne la miseria dove tu mi vedi, +che quando fui de l’altra vita tolto. + +Io non posso negar quel che tu chiedi; +in giù son messo tanto perch’ io fui +ladro a la sagrestia d’i belli arredi, + +e falsamente già fu apposto altrui. +Ma perché di tal vista tu non godi, +se mai sarai di fuor da’ luoghi bui, + +apri li orecchi al mio annunzio, e odi. +Pistoia in pria d’i Neri si dimagra; +poi Fiorenza rinova gente e modi. + +Tragge Marte vapor di Val di Magra +ch’è di torbidi nuvoli involuto; +e con tempesta impetüosa e agra + +sovra Campo Picen fia combattuto; +ond’ ei repente spezzerà la nebbia, +sì ch’ogne Bianco ne sarà feruto. + +E detto l’ho perché doler ti debbia!». + + + +Inferno · Canto XXV + + +Al fine de le sue parole il ladro +le mani alzò con amendue le fiche, +gridando: «Togli, Dio, ch’a te le squadro!». + +Da indi in qua mi fuor le serpi amiche, +perch’ una li s’avvolse allora al collo, +come dicesse ‘Non vo’ che più diche’; + +e un’altra a le braccia, e rilegollo, +ribadendo sé stessa sì dinanzi, +che non potea con esse dare un crollo. + +Ahi Pistoia, Pistoia, ché non stanzi +d’incenerarti sì che più non duri, +poi che ’n mal fare il seme tuo avanzi? + +Per tutt’ i cerchi de lo ’nferno scuri +non vidi spirto in Dio tanto superbo, +non quel che cadde a Tebe giù da’ muri. + +El si fuggì che non parlò più verbo; +e io vidi un centauro pien di rabbia +venir chiamando: «Ov’ è, ov’ è l’acerbo?». + +Maremma non cred’ io che tante n’abbia, +quante bisce elli avea su per la groppa +infin ove comincia nostra labbia. + +Sovra le spalle, dietro da la coppa, +con l’ali aperte li giacea un draco; +e quello affuoca qualunque s’intoppa. + +Lo mio maestro disse: «Questi è Caco, +che, sotto ’l sasso di monte Aventino, +di sangue fece spesse volte laco. + +Non va co’ suoi fratei per un cammino, +per lo furto che frodolente fece +del grande armento ch’elli ebbe a vicino; + +onde cessar le sue opere biece +sotto la mazza d’Ercule, che forse +gliene diè cento, e non sentì le diece». + +Mentre che sì parlava, ed el trascorse, +e tre spiriti venner sotto noi, +de’ quai né io né ’l duca mio s’accorse, + +se non quando gridar: «Chi siete voi?»; +per che nostra novella si ristette, +e intendemmo pur ad essi poi. + +Io non li conoscea; ma ei seguette, +come suol seguitar per alcun caso, +che l’un nomar un altro convenette, + +dicendo: «Cianfa dove fia rimaso?»; +per ch’io, acciò che ’l duca stesse attento, +mi puosi ’l dito su dal mento al naso. + +Se tu se’ or, lettore, a creder lento +ciò ch’io dirò, non sarà maraviglia, +ché io che ’l vidi, a pena il mi consento. + +Com’ io tenea levate in lor le ciglia, +e un serpente con sei piè si lancia +dinanzi a l’uno, e tutto a lui s’appiglia. + +Co’ piè di mezzo li avvinse la pancia +e con li anterïor le braccia prese; +poi li addentò e l’una e l’altra guancia; + +li diretani a le cosce distese, +e miseli la coda tra ’mbedue +e dietro per le ren sù la ritese. + +Ellera abbarbicata mai non fue +ad alber sì, come l’orribil fiera +per l’altrui membra avviticchiò le sue. + +Poi s’appiccar, come di calda cera +fossero stati, e mischiar lor colore, +né l’un né l’altro già parea quel ch’era: + +come procede innanzi da l’ardore, +per lo papiro suso, un color bruno +che non è nero ancora e ’l bianco more. + +Li altri due ’l riguardavano, e ciascuno +gridava: «Omè, Agnel, come ti muti! +Vedi che già non se’ né due né uno». + +Già eran li due capi un divenuti, +quando n’apparver due figure miste +in una faccia, ov’ eran due perduti. + +Fersi le braccia due di quattro liste; +le cosce con le gambe e ’l ventre e ’l casso +divenner membra che non fuor mai viste. + +Ogne primaio aspetto ivi era casso: +due e nessun l’imagine perversa +parea; e tal sen gio con lento passo. + +Come ’l ramarro sotto la gran fersa +dei dì canicular, cangiando sepe, +folgore par se la via attraversa, + +sì pareva, venendo verso l’epe +de li altri due, un serpentello acceso, +livido e nero come gran di pepe; + +e quella parte onde prima è preso +nostro alimento, a l’un di lor trafisse; +poi cadde giuso innanzi lui disteso. + +Lo trafitto ’l mirò, ma nulla disse; +anzi, co’ piè fermati, sbadigliava +pur come sonno o febbre l’assalisse. + +Elli ’l serpente e quei lui riguardava; +l’un per la piaga e l’altro per la bocca +fummavan forte, e ’l fummo si scontrava. + +Taccia Lucano ormai là dov’ e’ tocca +del misero Sabello e di Nasidio, +e attenda a udir quel ch’or si scocca. + +Taccia di Cadmo e d’Aretusa Ovidio, +ché se quello in serpente e quella in fonte +converte poetando, io non lo ’nvidio; + +ché due nature mai a fronte a fronte +non trasmutò sì ch’amendue le forme +a cambiar lor matera fosser pronte. + +Insieme si rispuosero a tai norme, +che ’l serpente la coda in forca fesse, +e ’l feruto ristrinse insieme l’orme. + +Le gambe con le cosce seco stesse +s’appiccar sì, che ’n poco la giuntura +non facea segno alcun che si paresse. + +Togliea la coda fessa la figura +che si perdeva là, e la sua pelle +si facea molle, e quella di là dura. + +Io vidi intrar le braccia per l’ascelle, +e i due piè de la fiera, ch’eran corti, +tanto allungar quanto accorciavan quelle. + +Poscia li piè di rietro, insieme attorti, +diventaron lo membro che l’uom cela, +e ’l misero del suo n’avea due porti. + +Mentre che ’l fummo l’uno e l’altro vela +di color novo, e genera ’l pel suso +per l’una parte e da l’altra il dipela, + +l’un si levò e l’altro cadde giuso, +non torcendo però le lucerne empie, +sotto le quai ciascun cambiava muso. + +Quel ch’era dritto, il trasse ver’ le tempie, +e di troppa matera ch’in là venne +uscir li orecchi de le gote scempie; + +ciò che non corse in dietro e si ritenne +di quel soverchio, fé naso a la faccia +e le labbra ingrossò quanto convenne. + +Quel che giacëa, il muso innanzi caccia, +e li orecchi ritira per la testa +come face le corna la lumaccia; + +e la lingua, ch’avëa unita e presta +prima a parlar, si fende, e la forcuta +ne l’altro si richiude; e ’l fummo resta. + +L’anima ch’era fiera divenuta, +suffolando si fugge per la valle, +e l’altro dietro a lui parlando sputa. + +Poscia li volse le novelle spalle, +e disse a l’altro: «I’ vo’ che Buoso corra, +com’ ho fatt’ io, carpon per questo calle». + +Così vid’ io la settima zavorra +mutare e trasmutare; e qui mi scusi +la novità se fior la penna abborra. + +E avvegna che li occhi miei confusi +fossero alquanto e l’animo smagato, +non poter quei fuggirsi tanto chiusi, + +ch’i’ non scorgessi ben Puccio Sciancato; +ed era quel che sol, di tre compagni +che venner prima, non era mutato; + +l’altr’ era quel che tu, Gaville, piagni. + + + +Inferno · Canto XXVI + + +Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande +che per mare e per terra batti l’ali, +e per lo ’nferno tuo nome si spande! + +Tra li ladron trovai cinque cotali +tuoi cittadini onde mi ven vergogna, +e tu in grande orranza non ne sali. + +Ma se presso al mattin del ver si sogna, +tu sentirai, di qua da picciol tempo, +di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. + +E se già fosse, non saria per tempo. +Così foss’ ei, da che pur esser dee! +ché più mi graverà, com’ più m’attempo. + +Noi ci partimmo, e su per le scalee +che n’avea fatto iborni a scender pria, +rimontò ’l duca mio e trasse mee; + +e proseguendo la solinga via, +tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio +lo piè sanza la man non si spedia. + +Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio +quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, +e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, + +perché non corra che virtù nol guidi; +sì che, se stella bona o miglior cosa +m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. + +Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, +nel tempo che colui che ’l mondo schiara +la faccia sua a noi tien meno ascosa, + +come la mosca cede a la zanzara, +vede lucciole giù per la vallea, +forse colà dov’ e’ vendemmia e ara: + +di tante fiamme tutta risplendea +l’ottava bolgia, sì com’ io m’accorsi +tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. + +E qual colui che si vengiò con li orsi +vide ’l carro d’Elia al dipartire, +quando i cavalli al cielo erti levorsi, + +che nol potea sì con li occhi seguire, +ch’el vedesse altro che la fiamma sola, +sì come nuvoletta, in sù salire: + +tal si move ciascuna per la gola +del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, +e ogne fiamma un peccatore invola. + +Io stava sovra ’l ponte a veder surto, +sì che s’io non avessi un ronchion preso, +caduto sarei giù sanz’ esser urto. + +E ’l duca che mi vide tanto atteso, +disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; +catun si fascia di quel ch’elli è inceso». + +«Maestro mio», rispuos’ io, «per udirti +son io più certo; ma già m’era avviso +che così fosse, e già voleva dirti: + +chi è ’n quel foco che vien sì diviso +di sopra, che par surger de la pira +dov’ Eteòcle col fratel fu miso?». + +Rispuose a me: «Là dentro si martira +Ulisse e Dïomede, e così insieme +a la vendetta vanno come a l’ira; + +e dentro da la lor fiamma si geme +l’agguato del caval che fé la porta +onde uscì de’ Romani il gentil seme. + +Piangevisi entro l’arte per che, morta, +Deïdamìa ancor si duol d’Achille, +e del Palladio pena vi si porta». + +«S’ei posson dentro da quelle faville +parlar», diss’ io, «maestro, assai ten priego +e ripriego, che ’l priego vaglia mille, + +che non mi facci de l’attender niego +fin che la fiamma cornuta qua vegna; +vedi che del disio ver’ lei mi piego!». + +Ed elli a me: «La tua preghiera è degna +di molta loda, e io però l’accetto; +ma fa che la tua lingua si sostegna. + +Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto +ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi, +perch’ e’ fuor greci, forse del tuo detto». + +Poi che la fiamma fu venuta quivi +dove parve al mio duca tempo e loco, +in questa forma lui parlare audivi: + +«O voi che siete due dentro ad un foco, +s’io meritai di voi mentre ch’io vissi, +s’io meritai di voi assai o poco + +quando nel mondo li alti versi scrissi, +non vi movete; ma l’un di voi dica +dove, per lui, perduto a morir gissi». + +Lo maggior corno de la fiamma antica +cominciò a crollarsi mormorando, +pur come quella cui vento affatica; + +indi la cima qua e là menando, +come fosse la lingua che parlasse, +gittò voce di fuori e disse: «Quando + +mi diparti’ da Circe, che sottrasse +me più d’un anno là presso a Gaeta, +prima che sì Enëa la nomasse, + +né dolcezza di figlio, né la pieta +del vecchio padre, né ’l debito amore +lo qual dovea Penelopè far lieta, + +vincer potero dentro a me l’ardore +ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto +e de li vizi umani e del valore; + +ma misi me per l’alto mare aperto +sol con un legno e con quella compagna +picciola da la qual non fui diserto. + +L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna, +fin nel Morrocco, e l’isola d’i Sardi, +e l’altre che quel mare intorno bagna. + +Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi +quando venimmo a quella foce stretta +dov’ Ercule segnò li suoi riguardi + +acciò che l’uom più oltre non si metta; +da la man destra mi lasciai Sibilia, +da l’altra già m’avea lasciata Setta. + +“O frati”, dissi “che per cento milia +perigli siete giunti a l’occidente, +a questa tanto picciola vigilia + +d’i nostri sensi ch’è del rimanente +non vogliate negar l’esperïenza, +di retro al sol, del mondo sanza gente. + +Considerate la vostra semenza: +fatti non foste a viver come bruti, +ma per seguir virtute e canoscenza”. + +Li miei compagni fec’ io sì aguti, +con questa orazion picciola, al cammino, +che a pena poscia li avrei ritenuti; + +e volta nostra poppa nel mattino, +de’ remi facemmo ali al folle volo, +sempre acquistando dal lato mancino. + +Tutte le stelle già de l’altro polo +vedea la notte, e ’l nostro tanto basso, +che non surgëa fuor del marin suolo. + +Cinque volte racceso e tante casso +lo lume era di sotto da la luna, +poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, + +quando n’apparve una montagna, bruna +per la distanza, e parvemi alta tanto +quanto veduta non avëa alcuna. + +Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; +ché de la nova terra un turbo nacque +e percosse del legno il primo canto. + +Tre volte il fé girar con tutte l’acque; +a la quarta levar la poppa in suso +e la prora ire in giù, com’ altrui piacque, + +infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». + + + +Inferno · Canto XXVII + + +Già era dritta in sù la fiamma e queta +per non dir più, e già da noi sen gia +con la licenza del dolce poeta, + +quand’ un’altra, che dietro a lei venìa, +ne fece volger li occhi a la sua cima +per un confuso suon che fuor n’uscia. + +Come ’l bue cicilian che mugghiò prima +col pianto di colui, e ciò fu dritto, +che l’avea temperato con sua lima, + +mugghiava con la voce de l’afflitto, +sì che, con tutto che fosse di rame, +pur el pareva dal dolor trafitto; + +così, per non aver via né forame +dal principio nel foco, in suo linguaggio +si convertïan le parole grame. + +Ma poscia ch’ebber colto lor vïaggio +su per la punta, dandole quel guizzo +che dato avea la lingua in lor passaggio, + +udimmo dire: «O tu a cu’ io drizzo +la voce e che parlavi mo lombardo, +dicendo “Istra ten va, più non t’adizzo”, + +perch’ io sia giunto forse alquanto tardo, +non t’incresca restare a parlar meco; +vedi che non incresce a me, e ardo! + +Se tu pur mo in questo mondo cieco +caduto se’ di quella dolce terra +latina ond’ io mia colpa tutta reco, + +dimmi se Romagnuoli han pace o guerra; +ch’io fui d’i monti là intra Orbino +e ’l giogo di che Tever si diserra». + +Io era in giuso ancora attento e chino, +quando il mio duca mi tentò di costa, +dicendo: «Parla tu; questi è latino». + +E io, ch’avea già pronta la risposta, +sanza indugio a parlare incominciai: +«O anima che se’ là giù nascosta, + +Romagna tua non è, e non fu mai, +sanza guerra ne’ cuor de’ suoi tiranni; +ma ’n palese nessuna or vi lasciai. + +Ravenna sta come stata è molt’ anni: +l’aguglia da Polenta la si cova, +sì che Cervia ricuopre co’ suoi vanni. + +La terra che fé già la lunga prova +e di Franceschi sanguinoso mucchio, +sotto le branche verdi si ritrova. + +E ’l mastin vecchio e ’l nuovo da Verrucchio, +che fecer di Montagna il mal governo, +là dove soglion fan d’i denti succhio. + +Le città di Lamone e di Santerno +conduce il lïoncel dal nido bianco, +che muta parte da la state al verno. + +E quella cu’ il Savio bagna il fianco, +così com’ ella sie’ tra ’l piano e ’l monte, +tra tirannia si vive e stato franco. + +Ora chi se’, ti priego che ne conte; +non esser duro più ch’altri sia stato, +se ’l nome tuo nel mondo tegna fronte». + +Poscia che ’l foco alquanto ebbe rugghiato +al modo suo, l’aguta punta mosse +di qua, di là, e poi diè cotal fiato: + +«S’i’ credesse che mia risposta fosse +a persona che mai tornasse al mondo, +questa fiamma staria sanza più scosse; + +ma però che già mai di questo fondo +non tornò vivo alcun, s’i’ odo il vero, +sanza tema d’infamia ti rispondo. + +Io fui uom d’arme, e poi fui cordigliero, +credendomi, sì cinto, fare ammenda; +e certo il creder mio venìa intero, + +se non fosse il gran prete, a cui mal prenda!, +che mi rimise ne le prime colpe; +e come e quare, voglio che m’intenda. + +Mentre ch’io forma fui d’ossa e di polpe +che la madre mi diè, l’opere mie +non furon leonine, ma di volpe. + +Li accorgimenti e le coperte vie +io seppi tutte, e sì menai lor arte, +ch’al fine de la terra il suono uscie. + +Quando mi vidi giunto in quella parte +di mia etade ove ciascun dovrebbe +calar le vele e raccoglier le sarte, + +ciò che pria mi piacëa, allor m’increbbe, +e pentuto e confesso mi rendei; +ahi miser lasso! e giovato sarebbe. + +Lo principe d’i novi Farisei, +avendo guerra presso a Laterano, +e non con Saracin né con Giudei, + +ché ciascun suo nimico era cristiano, +e nessun era stato a vincer Acri +né mercatante in terra di Soldano, + +né sommo officio né ordini sacri +guardò in sé, né in me quel capestro +che solea fare i suoi cinti più macri. + +Ma come Costantin chiese Silvestro +d’entro Siratti a guerir de la lebbre, +così mi chiese questi per maestro + +a guerir de la sua superba febbre; +domandommi consiglio, e io tacetti +perché le sue parole parver ebbre. + +E’ poi ridisse: “Tuo cuor non sospetti; +finor t’assolvo, e tu m’insegna fare +sì come Penestrino in terra getti. + +Lo ciel poss’ io serrare e diserrare, +come tu sai; però son due le chiavi +che ’l mio antecessor non ebbe care”. + +Allor mi pinser li argomenti gravi +là ’ve ’l tacer mi fu avviso ’l peggio, +e dissi: “Padre, da che tu mi lavi + +di quel peccato ov’ io mo cader deggio, +lunga promessa con l’attender corto +ti farà trïunfar ne l’alto seggio”. + +Francesco venne poi, com’ io fu’ morto, +per me; ma un d’i neri cherubini +li disse: “Non portar: non mi far torto. + +Venir se ne dee giù tra ’ miei meschini +perché diede ’l consiglio frodolente, +dal quale in qua stato li sono a’ crini; + +ch’assolver non si può chi non si pente, +né pentere e volere insieme puossi +per la contradizion che nol consente”. + +Oh me dolente! come mi riscossi +quando mi prese dicendomi: “Forse +tu non pensavi ch’io löico fossi!”. + +A Minòs mi portò; e quelli attorse +otto volte la coda al dosso duro; +e poi che per gran rabbia la si morse, + +disse: “Questi è d’i rei del foco furo”; +per ch’io là dove vedi son perduto, +e sì vestito, andando, mi rancuro». + +Quand’ elli ebbe ’l suo dir così compiuto, +la fiamma dolorando si partio, +torcendo e dibattendo ’l corno aguto. + +Noi passamm’ oltre, e io e ’l duca mio, +su per lo scoglio infino in su l’altr’ arco +che cuopre ’l fosso in che si paga il fio + +a quei che scommettendo acquistan carco. + + + +Inferno · Canto XXVIII + + +Chi poria mai pur con parole sciolte +dicer del sangue e de le piaghe a pieno +ch’i’ ora vidi, per narrar più volte? + +Ogne lingua per certo verria meno +per lo nostro sermone e per la mente +c’hanno a tanto comprender poco seno. + +S’el s’aunasse ancor tutta la gente +che già, in su la fortunata terra +di Puglia, fu del suo sangue dolente + +per li Troiani e per la lunga guerra +che de l’anella fé sì alte spoglie, +come Livïo scrive, che non erra, + +con quella che sentio di colpi doglie +per contastare a Ruberto Guiscardo; +e l’altra il cui ossame ancor s’accoglie + +a Ceperan, là dove fu bugiardo +ciascun Pugliese, e là da Tagliacozzo, +dove sanz’ arme vinse il vecchio Alardo; + +e qual forato suo membro e qual mozzo +mostrasse, d’aequar sarebbe nulla +il modo de la nona bolgia sozzo. + +Già veggia, per mezzul perdere o lulla, +com’ io vidi un, così non si pertugia, +rotto dal mento infin dove si trulla. + +Tra le gambe pendevan le minugia; +la corata pareva e ’l tristo sacco +che merda fa di quel che si trangugia. + +Mentre che tutto in lui veder m’attacco, +guardommi e con le man s’aperse il petto, +dicendo: «Or vedi com’ io mi dilacco! + +vedi come storpiato è Mäometto! +Dinanzi a me sen va piangendo Alì, +fesso nel volto dal mento al ciuffetto. + +E tutti li altri che tu vedi qui, +seminator di scandalo e di scisma +fuor vivi, e però son fessi così. + +Un diavolo è qua dietro che n’accisma +sì crudelmente, al taglio de la spada +rimettendo ciascun di questa risma, + +quand’ avem volta la dolente strada; +però che le ferite son richiuse +prima ch’altri dinanzi li rivada. + +Ma tu chi se’ che ’n su lo scoglio muse, +forse per indugiar d’ire a la pena +ch’è giudicata in su le tue accuse?». + +«Né morte ’l giunse ancor, né colpa ’l mena», +rispuose ’l mio maestro, «a tormentarlo; +ma per dar lui esperïenza piena, + +a me, che morto son, convien menarlo +per lo ’nferno qua giù di giro in giro; +e quest’ è ver così com’ io ti parlo». + +Più fuor di cento che, quando l’udiro, +s’arrestaron nel fosso a riguardarmi +per maraviglia, oblïando il martiro. + +«Or dì a fra Dolcin dunque che s’armi, +tu che forse vedra’ il sole in breve, +s’ello non vuol qui tosto seguitarmi, + +sì di vivanda, che stretta di neve +non rechi la vittoria al Noarese, +ch’altrimenti acquistar non saria leve». + +Poi che l’un piè per girsene sospese, +Mäometto mi disse esta parola; +indi a partirsi in terra lo distese. + +Un altro, che forata avea la gola +e tronco ’l naso infin sotto le ciglia, +e non avea mai ch’una orecchia sola, + +ristato a riguardar per maraviglia +con li altri, innanzi a li altri aprì la canna, +ch’era di fuor d’ogne parte vermiglia, + +e disse: «O tu cui colpa non condanna +e cu’ io vidi su in terra latina, +se troppa simiglianza non m’inganna, + +rimembriti di Pier da Medicina, +se mai torni a veder lo dolce piano +che da Vercelli a Marcabò dichina. + +E fa saper a’ due miglior da Fano, +a messer Guido e anco ad Angiolello, +che, se l’antiveder qui non è vano, + +gittati saran fuor di lor vasello +e mazzerati presso a la Cattolica +per tradimento d’un tiranno fello. + +Tra l’isola di Cipri e di Maiolica +non vide mai sì gran fallo Nettuno, +non da pirate, non da gente argolica. + +Quel traditor che vede pur con l’uno, +e tien la terra che tale qui meco +vorrebbe di vedere esser digiuno, + +farà venirli a parlamento seco; +poi farà sì, ch’al vento di Focara +non sarà lor mestier voto né preco». + +E io a lui: «Dimostrami e dichiara, +se vuo’ ch’i’ porti sù di te novella, +chi è colui da la veduta amara». + +Allor puose la mano a la mascella +d’un suo compagno e la bocca li aperse, +gridando: «Questi è desso, e non favella. + +Questi, scacciato, il dubitar sommerse +in Cesare, affermando che ’l fornito +sempre con danno l’attender sofferse». + +Oh quanto mi pareva sbigottito +con la lingua tagliata ne la strozza +Curïo, ch’a dir fu così ardito! + +E un ch’avea l’una e l’altra man mozza, +levando i moncherin per l’aura fosca, +sì che ’l sangue facea la faccia sozza, + +gridò: «Ricordera’ti anche del Mosca, +che disse, lasso!, “Capo ha cosa fatta”, +che fu mal seme per la gente tosca». + +E io li aggiunsi: «E morte di tua schiatta»; +per ch’elli, accumulando duol con duolo, +sen gio come persona trista e matta. + +Ma io rimasi a riguardar lo stuolo, +e vidi cosa ch’io avrei paura, +sanza più prova, di contarla solo; + +se non che coscïenza m’assicura, +la buona compagnia che l’uom francheggia +sotto l’asbergo del sentirsi pura. + +Io vidi certo, e ancor par ch’io ’l veggia, +un busto sanza capo andar sì come +andavan li altri de la trista greggia; + +e ’l capo tronco tenea per le chiome, +pesol con mano a guisa di lanterna: +e quel mirava noi e dicea: «Oh me!». + +Di sé facea a sé stesso lucerna, +ed eran due in uno e uno in due; +com’ esser può, quei sa che sì governa. + +Quando diritto al piè del ponte fue, +levò ’l braccio alto con tutta la testa +per appressarne le parole sue, + +che fuoro: «Or vedi la pena molesta, +tu che, spirando, vai veggendo i morti: +vedi s’alcuna è grande come questa. + +E perché tu di me novella porti, +sappi ch’i’ son Bertram dal Bornio, quelli +che diedi al re giovane i ma’ conforti. + +Io feci il padre e ’l figlio in sé ribelli; +Achitofèl non fé più d’Absalone +e di Davìd coi malvagi punzelli. + +Perch’ io parti’ così giunte persone, +partito porto il mio cerebro, lasso!, +dal suo principio ch’è in questo troncone. + +Così s’osserva in me lo contrapasso». + + + +Inferno · Canto XXIX + + +La molta gente e le diverse piaghe +avean le luci mie sì inebrïate, +che de lo stare a piangere eran vaghe. + +Ma Virgilio mi disse: «Che pur guate? +perché la vista tua pur si soffolge +là giù tra l’ombre triste smozzicate? + +Tu non hai fatto sì a l’altre bolge; +pensa, se tu annoverar le credi, +che miglia ventidue la valle volge. + +E già la luna è sotto i nostri piedi; +lo tempo è poco omai che n’è concesso, +e altro è da veder che tu non vedi». + +«Se tu avessi», rispuos’ io appresso, +«atteso a la cagion per ch’io guardava, +forse m’avresti ancor lo star dimesso». + +Parte sen giva, e io retro li andava, +lo duca, già faccendo la risposta, +e soggiugnendo: «Dentro a quella cava + +dov’ io tenea or li occhi sì a posta, +credo ch’un spirto del mio sangue pianga +la colpa che là giù cotanto costa». + +Allor disse ’l maestro: «Non si franga +lo tuo pensier da qui innanzi sovr’ ello. +Attendi ad altro, ed ei là si rimanga; + +ch’io vidi lui a piè del ponticello +mostrarti e minacciar forte col dito, +e udi’ ’l nominar Geri del Bello. + +Tu eri allor sì del tutto impedito +sovra colui che già tenne Altaforte, +che non guardasti in là, sì fu partito». + +«O duca mio, la vïolenta morte +che non li è vendicata ancor», diss’ io, +«per alcun che de l’onta sia consorte, + +fece lui disdegnoso; ond’ el sen gio +sanza parlarmi, sì com’ ïo estimo: +e in ciò m’ha el fatto a sé più pio». + +Così parlammo infino al loco primo +che de lo scoglio l’altra valle mostra, +se più lume vi fosse, tutto ad imo. + +Quando noi fummo sor l’ultima chiostra +di Malebolge, sì che i suoi conversi +potean parere a la veduta nostra, + +lamenti saettaron me diversi, +che di pietà ferrati avean li strali; +ond’ io li orecchi con le man copersi. + +Qual dolor fora, se de li spedali +di Valdichiana tra ’l luglio e ’l settembre +e di Maremma e di Sardigna i mali + +fossero in una fossa tutti ’nsembre, +tal era quivi, e tal puzzo n’usciva +qual suol venir de le marcite membre. + +Noi discendemmo in su l’ultima riva +del lungo scoglio, pur da man sinistra; +e allor fu la mia vista più viva + +giù ver’ lo fondo, la ’ve la ministra +de l’alto Sire infallibil giustizia +punisce i falsador che qui registra. + +Non credo ch’a veder maggior tristizia +fosse in Egina il popol tutto infermo, +quando fu l’aere sì pien di malizia, + +che li animali, infino al picciol vermo, +cascaron tutti, e poi le genti antiche, +secondo che i poeti hanno per fermo, + +si ristorar di seme di formiche; +ch’era a veder per quella oscura valle +languir li spirti per diverse biche. + +Qual sovra ’l ventre e qual sovra le spalle +l’un de l’altro giacea, e qual carpone +si trasmutava per lo tristo calle. + +Passo passo andavam sanza sermone, +guardando e ascoltando li ammalati, +che non potean levar le lor persone. + +Io vidi due sedere a sé poggiati, +com’ a scaldar si poggia tegghia a tegghia, +dal capo al piè di schianze macolati; + +e non vidi già mai menare stregghia +a ragazzo aspettato dal segnorso, +né a colui che mal volontier vegghia, + +come ciascun menava spesso il morso +de l’unghie sopra sé per la gran rabbia +del pizzicor, che non ha più soccorso; + +e sì traevan giù l’unghie la scabbia, +come coltel di scardova le scaglie +o d’altro pesce che più larghe l’abbia. + +«O tu che con le dita ti dismaglie», +cominciò ’l duca mio a l’un di loro, +«e che fai d’esse talvolta tanaglie, + +dinne s’alcun Latino è tra costoro +che son quinc’ entro, se l’unghia ti basti +etternalmente a cotesto lavoro». + +«Latin siam noi, che tu vedi sì guasti +qui ambedue», rispuose l’un piangendo; +«ma tu chi se’ che di noi dimandasti?». + +E ’l duca disse: «I’ son un che discendo +con questo vivo giù di balzo in balzo, +e di mostrar lo ’nferno a lui intendo». + +Allor si ruppe lo comun rincalzo; +e tremando ciascuno a me si volse +con altri che l’udiron di rimbalzo. + +Lo buon maestro a me tutto s’accolse, +dicendo: «Dì a lor ciò che tu vuoli»; +e io incominciai, poscia ch’ei volse: + +«Se la vostra memoria non s’imboli +nel primo mondo da l’umane menti, +ma s’ella viva sotto molti soli, + +ditemi chi voi siete e di che genti; +la vostra sconcia e fastidiosa pena +di palesarvi a me non vi spaventi». + +«Io fui d’Arezzo, e Albero da Siena», +rispuose l’un, «mi fé mettere al foco; +ma quel per ch’io mori’ qui non mi mena. + +Vero è ch’i’ dissi lui, parlando a gioco: +“I’ mi saprei levar per l’aere a volo”; +e quei, ch’avea vaghezza e senno poco, + +volle ch’i’ li mostrassi l’arte; e solo +perch’ io nol feci Dedalo, mi fece +ardere a tal che l’avea per figliuolo. + +Ma ne l’ultima bolgia de le diece +me per l’alchìmia che nel mondo usai +dannò Minòs, a cui fallar non lece». + +E io dissi al poeta: «Or fu già mai +gente sì vana come la sanese? +Certo non la francesca sì d’assai!». + +Onde l’altro lebbroso, che m’intese, +rispuose al detto mio: «Tra’mene Stricca +che seppe far le temperate spese, + +e Niccolò che la costuma ricca +del garofano prima discoverse +ne l’orto dove tal seme s’appicca; + +e tra’ne la brigata in che disperse +Caccia d’Ascian la vigna e la gran fonda, +e l’Abbagliato suo senno proferse. + +Ma perché sappi chi sì ti seconda +contra i Sanesi, aguzza ver’ me l’occhio, +sì che la faccia mia ben ti risponda: + +sì vedrai ch’io son l’ombra di Capocchio, +che falsai li metalli con l’alchìmia; +e te dee ricordar, se ben t’adocchio, + +com’ io fui di natura buona scimia». + + + +Inferno · Canto XXX + + +Nel tempo che Iunone era crucciata +per Semelè contra ’l sangue tebano, +come mostrò una e altra fïata, + +Atamante divenne tanto insano, +che veggendo la moglie con due figli +andar carcata da ciascuna mano, + +gridò: «Tendiam le reti, sì ch’io pigli +la leonessa e ’ leoncini al varco»; +e poi distese i dispietati artigli, + +prendendo l’un ch’avea nome Learco, +e rotollo e percosselo ad un sasso; +e quella s’annegò con l’altro carco. + +E quando la fortuna volse in basso +l’altezza de’ Troian che tutto ardiva, +sì che ’nsieme col regno il re fu casso, + +Ecuba trista, misera e cattiva, +poscia che vide Polissena morta, +e del suo Polidoro in su la riva + +del mar si fu la dolorosa accorta, +forsennata latrò sì come cane; +tanto il dolor le fé la mente torta. + +Ma né di Tebe furie né troiane +si vider mäi in alcun tanto crude, +non punger bestie, nonché membra umane, + +quant’ io vidi in due ombre smorte e nude, +che mordendo correvan di quel modo +che ’l porco quando del porcil si schiude. + +L’una giunse a Capocchio, e in sul nodo +del collo l’assannò, sì che, tirando, +grattar li fece il ventre al fondo sodo. + +E l’Aretin che rimase, tremando +mi disse: «Quel folletto è Gianni Schicchi, +e va rabbioso altrui così conciando». + +«Oh», diss’ io lui, «se l’altro non ti ficchi +li denti a dosso, non ti sia fatica +a dir chi è, pria che di qui si spicchi». + +Ed elli a me: «Quell’ è l’anima antica +di Mirra scellerata, che divenne +al padre, fuor del dritto amore, amica. + +Questa a peccar con esso così venne, +falsificando sé in altrui forma, +come l’altro che là sen va, sostenne, + +per guadagnar la donna de la torma, +falsificare in sé Buoso Donati, +testando e dando al testamento norma». + +E poi che i due rabbiosi fuor passati +sovra cu’ io avea l’occhio tenuto, +rivolsilo a guardar li altri mal nati. + +Io vidi un, fatto a guisa di lëuto, +pur ch’elli avesse avuta l’anguinaia +tronca da l’altro che l’uomo ha forcuto. + +La grave idropesì, che sì dispaia +le membra con l’omor che mal converte, +che ’l viso non risponde a la ventraia, + +faceva lui tener le labbra aperte +come l’etico fa, che per la sete +l’un verso ’l mento e l’altro in sù rinverte. + +«O voi che sanz’ alcuna pena siete, +e non so io perché, nel mondo gramo», +diss’ elli a noi, «guardate e attendete + +a la miseria del maestro Adamo; +io ebbi, vivo, assai di quel ch’i’ volli, +e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo. + +Li ruscelletti che d’i verdi colli +del Casentin discendon giuso in Arno, +faccendo i lor canali freddi e molli, + +sempre mi stanno innanzi, e non indarno, +ché l’imagine lor vie più m’asciuga +che ’l male ond’ io nel volto mi discarno. + +La rigida giustizia che mi fruga +tragge cagion del loco ov’ io peccai +a metter più li miei sospiri in fuga. + +Ivi è Romena, là dov’ io falsai +la lega suggellata del Batista; +per ch’io il corpo sù arso lasciai. + +Ma s’io vedessi qui l’anima trista +di Guido o d’Alessandro o di lor frate, +per Fonte Branda non darei la vista. + +Dentro c’è l’una già, se l’arrabbiate +ombre che vanno intorno dicon vero; +ma che mi val, c’ho le membra legate? + +S’io fossi pur di tanto ancor leggero +ch’i’ potessi in cent’ anni andare un’oncia, +io sarei messo già per lo sentiero, + +cercando lui tra questa gente sconcia, +con tutto ch’ella volge undici miglia, +e men d’un mezzo di traverso non ci ha. + +Io son per lor tra sì fatta famiglia; +e’ m’indussero a batter li fiorini +ch’avevan tre carati di mondiglia». + +E io a lui: «Chi son li due tapini +che fumman come man bagnate ’l verno, +giacendo stretti a’ tuoi destri confini?». + +«Qui li trovai—e poi volta non dierno—», +rispuose, «quando piovvi in questo greppo, +e non credo che dieno in sempiterno. + +L’una è la falsa ch’accusò Gioseppo; +l’altr’ è ’l falso Sinon greco di Troia: +per febbre aguta gittan tanto leppo». + +E l’un di lor, che si recò a noia +forse d’esser nomato sì oscuro, +col pugno li percosse l’epa croia. + +Quella sonò come fosse un tamburo; +e mastro Adamo li percosse il volto +col braccio suo, che non parve men duro, + +dicendo a lui: «Ancor che mi sia tolto +lo muover per le membra che son gravi, +ho io il braccio a tal mestiere sciolto». + +Ond’ ei rispuose: «Quando tu andavi +al fuoco, non l’avei tu così presto; +ma sì e più l’avei quando coniavi». + +E l’idropico: «Tu di’ ver di questo: +ma tu non fosti sì ver testimonio +là ’ve del ver fosti a Troia richesto». + +«S’io dissi falso, e tu falsasti il conio», +disse Sinon; «e son qui per un fallo, +e tu per più ch’alcun altro demonio!». + +«Ricorditi, spergiuro, del cavallo», +rispuose quel ch’avëa infiata l’epa; +«e sieti reo che tutto il mondo sallo!». + +«E te sia rea la sete onde ti crepa», +disse ’l Greco, «la lingua, e l’acqua marcia +che ’l ventre innanzi a li occhi sì t’assiepa!». + +Allora il monetier: «Così si squarcia +la bocca tua per tuo mal come suole; +ché, s’i’ ho sete e omor mi rinfarcia, + +tu hai l’arsura e ’l capo che ti duole, +e per leccar lo specchio di Narcisso, +non vorresti a ’nvitar molte parole». + +Ad ascoltarli er’ io del tutto fisso, +quando ’l maestro mi disse: «Or pur mira, +che per poco che teco non mi risso!». + +Quand’ io ’l senti’ a me parlar con ira, +volsimi verso lui con tal vergogna, +ch’ancor per la memoria mi si gira. + +Qual è colui che suo dannaggio sogna, +che sognando desidera sognare, +sì che quel ch’è, come non fosse, agogna, + +tal mi fec’ io, non possendo parlare, +che disïava scusarmi, e scusava +me tuttavia, e nol mi credea fare. + +«Maggior difetto men vergogna lava», +disse ’l maestro, «che ’l tuo non è stato; +però d’ogne trestizia ti disgrava. + +E fa ragion ch’io ti sia sempre allato, +se più avvien che fortuna t’accoglia +dove sien genti in simigliante piato: + +ché voler ciò udire è bassa voglia». + + + +Inferno · Canto XXXI + + +Una medesma lingua pria mi morse, +sì che mi tinse l’una e l’altra guancia, +e poi la medicina mi riporse; + +così od’ io che solea far la lancia +d’Achille e del suo padre esser cagione +prima di trista e poi di buona mancia. + +Noi demmo il dosso al misero vallone +su per la ripa che ’l cinge dintorno, +attraversando sanza alcun sermone. + +Quiv’ era men che notte e men che giorno, +sì che ’l viso m’andava innanzi poco; +ma io senti’ sonare un alto corno, + +tanto ch’avrebbe ogne tuon fatto fioco, +che, contra sé la sua via seguitando, +dirizzò li occhi miei tutti ad un loco. + +Dopo la dolorosa rotta, quando +Carlo Magno perdé la santa gesta, +non sonò sì terribilmente Orlando. + +Poco portäi in là volta la testa, +che me parve veder molte alte torri; +ond’ io: «Maestro, dì, che terra è questa?». + +Ed elli a me: «Però che tu trascorri +per le tenebre troppo da la lungi, +avvien che poi nel maginare abborri. + +Tu vedrai ben, se tu là ti congiungi, +quanto ’l senso s’inganna di lontano; +però alquanto più te stesso pungi». + +Poi caramente mi prese per mano +e disse: «Pria che noi siam più avanti, +acciò che ’l fatto men ti paia strano, + +sappi che non son torri, ma giganti, +e son nel pozzo intorno da la ripa +da l’umbilico in giuso tutti quanti». + +Come quando la nebbia si dissipa, +lo sguardo a poco a poco raffigura +ciò che cela ’l vapor che l’aere stipa, + +così forando l’aura grossa e scura, +più e più appressando ver’ la sponda, +fuggiemi errore e cresciemi paura; + +però che, come su la cerchia tonda +Montereggion di torri si corona, +così la proda che ’l pozzo circonda + +torreggiavan di mezza la persona +li orribili giganti, cui minaccia +Giove del cielo ancora quando tuona. + +E io scorgeva già d’alcun la faccia, +le spalle e ’l petto e del ventre gran parte, +e per le coste giù ambo le braccia. + +Natura certo, quando lasciò l’arte +di sì fatti animali, assai fé bene +per tòrre tali essecutori a Marte. + +E s’ella d’elefanti e di balene +non si pente, chi guarda sottilmente, +più giusta e più discreta la ne tene; + +ché dove l’argomento de la mente +s’aggiugne al mal volere e a la possa, +nessun riparo vi può far la gente. + +La faccia sua mi parea lunga e grossa +come la pina di San Pietro a Roma, +e a sua proporzione eran l’altre ossa; + +sì che la ripa, ch’era perizoma +dal mezzo in giù, ne mostrava ben tanto +di sovra, che di giugnere a la chioma + +tre Frison s’averien dato mal vanto; +però ch’i’ ne vedea trenta gran palmi +dal loco in giù dov’ omo affibbia ’l manto. + +«Raphèl maì amècche zabì almi», +cominciò a gridar la fiera bocca, +cui non si convenia più dolci salmi. + +E ’l duca mio ver’ lui: «Anima sciocca, +tienti col corno, e con quel ti disfoga +quand’ ira o altra passïon ti tocca! + +Cércati al collo, e troverai la soga +che ’l tien legato, o anima confusa, +e vedi lui che ’l gran petto ti doga». + +Poi disse a me: «Elli stessi s’accusa; +questi è Nembrotto per lo cui mal coto +pur un linguaggio nel mondo non s’usa. + +Lasciànlo stare e non parliamo a vòto; +ché così è a lui ciascun linguaggio +come ’l suo ad altrui, ch’a nullo è noto». + +Facemmo adunque più lungo vïaggio, +vòlti a sinistra; e al trar d’un balestro +trovammo l’altro assai più fero e maggio. + +A cigner lui qual che fosse ’l maestro, +non so io dir, ma el tenea soccinto +dinanzi l’altro e dietro il braccio destro + +d’una catena che ’l tenea avvinto +dal collo in giù, sì che ’n su lo scoperto +si ravvolgëa infino al giro quinto. + +«Questo superbo volle esser esperto +di sua potenza contra ’l sommo Giove», +disse ’l mio duca, «ond’ elli ha cotal merto. + +Fïalte ha nome, e fece le gran prove +quando i giganti fer paura a’ dèi; +le braccia ch’el menò, già mai non move». + +E io a lui: «S’esser puote, io vorrei +che de lo smisurato Brïareo +esperïenza avesser li occhi mei». + +Ond’ ei rispuose: «Tu vedrai Anteo +presso di qui che parla ed è disciolto, +che ne porrà nel fondo d’ogne reo. + +Quel che tu vuo’ veder, più là è molto +ed è legato e fatto come questo, +salvo che più feroce par nel volto». + +Non fu tremoto già tanto rubesto, +che scotesse una torre così forte, +come Fïalte a scuotersi fu presto. + +Allor temett’ io più che mai la morte, +e non v’era mestier più che la dotta, +s’io non avessi viste le ritorte. + +Noi procedemmo più avante allotta, +e venimmo ad Anteo, che ben cinque alle, +sanza la testa, uscia fuor de la grotta. + +«O tu che ne la fortunata valle +che fece Scipïon di gloria reda, +quand’ Anibàl co’ suoi diede le spalle, + +recasti già mille leon per preda, +e che, se fossi stato a l’alta guerra +de’ tuoi fratelli, ancor par che si creda + +ch’avrebber vinto i figli de la terra: +mettine giù, e non ten vegna schifo, +dove Cocito la freddura serra. + +Non ci fare ire a Tizio né a Tifo: +questi può dar di quel che qui si brama; +però ti china e non torcer lo grifo. + +Ancor ti può nel mondo render fama, +ch’el vive, e lunga vita ancor aspetta +se ’nnanzi tempo grazia a sé nol chiama». + +Così disse ’l maestro; e quelli in fretta +le man distese, e prese ’l duca mio, +ond’ Ercule sentì già grande stretta. + +Virgilio, quando prender si sentio, +disse a me: «Fatti qua, sì ch’io ti prenda»; +poi fece sì ch’un fascio era elli e io. + +Qual pare a riguardar la Carisenda +sotto ’l chinato, quando un nuvol vada +sovr’ essa sì, ched ella incontro penda: + +tal parve Antëo a me che stava a bada +di vederlo chinare, e fu tal ora +ch’i’ avrei voluto ir per altra strada. + +Ma lievemente al fondo che divora +Lucifero con Giuda, ci sposò; +né, sì chinato, lì fece dimora, + +e come albero in nave si levò. + + + +Inferno · Canto XXXII + + +S’ïo avessi le rime aspre e chiocce, +come si converrebbe al tristo buco +sovra ’l qual pontan tutte l’altre rocce, + +io premerei di mio concetto il suco +più pienamente; ma perch’ io non l’abbo, +non sanza tema a dicer mi conduco; + +ché non è impresa da pigliare a gabbo +discriver fondo a tutto l’universo, +né da lingua che chiami mamma o babbo. + +Ma quelle donne aiutino il mio verso +ch’aiutaro Anfïone a chiuder Tebe, +sì che dal fatto il dir non sia diverso. + +Oh sovra tutte mal creata plebe +che stai nel loco onde parlare è duro, +mei foste state qui pecore o zebe! + +Come noi fummo giù nel pozzo scuro +sotto i piè del gigante assai più bassi, +e io mirava ancora a l’alto muro, + +dicere udi’mi: «Guarda come passi: +va sì, che tu non calchi con le piante +le teste de’ fratei miseri lassi». + +Per ch’io mi volsi, e vidimi davante +e sotto i piedi un lago che per gelo +avea di vetro e non d’acqua sembiante. + +Non fece al corso suo sì grosso velo +di verno la Danoia in Osterlicchi, +né Tanaï là sotto ’l freddo cielo, + +com’ era quivi; che se Tambernicchi +vi fosse sù caduto, o Pietrapana, +non avria pur da l’orlo fatto cricchi. + +E come a gracidar si sta la rana +col muso fuor de l’acqua, quando sogna +di spigolar sovente la villana, + +livide, insin là dove appar vergogna +eran l’ombre dolenti ne la ghiaccia, +mettendo i denti in nota di cicogna. + +Ognuna in giù tenea volta la faccia; +da bocca il freddo, e da li occhi il cor tristo +tra lor testimonianza si procaccia. + +Quand’ io m’ebbi dintorno alquanto visto, +volsimi a’ piedi, e vidi due sì stretti, +che ’l pel del capo avieno insieme misto. + +«Ditemi, voi che sì strignete i petti», +diss’ io, «chi siete?». E quei piegaro i colli; +e poi ch’ebber li visi a me eretti, + +li occhi lor, ch’eran pria pur dentro molli, +gocciar su per le labbra, e ’l gelo strinse +le lagrime tra essi e riserrolli. + +Con legno legno spranga mai non cinse +forte così; ond’ ei come due becchi +cozzaro insieme, tanta ira li vinse. + +E un ch’avea perduti ambo li orecchi +per la freddura, pur col viso in giùe, +disse: «Perché cotanto in noi ti specchi? + +Se vuoi saper chi son cotesti due, +la valle onde Bisenzo si dichina +del padre loro Alberto e di lor fue. + +D’un corpo usciro; e tutta la Caina +potrai cercare, e non troverai ombra +degna più d’esser fitta in gelatina: + +non quelli a cui fu rotto il petto e l’ombra +con esso un colpo per la man d’Artù; +non Focaccia; non questi che m’ingombra + +col capo sì, ch’i’ non veggio oltre più, +e fu nomato Sassol Mascheroni; +se tosco se’, ben sai omai chi fu. + +E perché non mi metti in più sermoni, +sappi ch’i’ fu’ il Camiscion de’ Pazzi; +e aspetto Carlin che mi scagioni». + +Poscia vid’ io mille visi cagnazzi +fatti per freddo; onde mi vien riprezzo, +e verrà sempre, de’ gelati guazzi. + +E mentre ch’andavamo inver’ lo mezzo +al quale ogne gravezza si rauna, +e io tremava ne l’etterno rezzo; + +se voler fu o destino o fortuna, +non so; ma, passeggiando tra le teste, +forte percossi ’l piè nel viso ad una. + +Piangendo mi sgridò: «Perché mi peste? +se tu non vieni a crescer la vendetta +di Montaperti, perché mi moleste?». + +E io: «Maestro mio, or qui m’aspetta, +sì ch’io esca d’un dubbio per costui; +poi mi farai, quantunque vorrai, fretta». + +Lo duca stette, e io dissi a colui +che bestemmiava duramente ancora: +«Qual se’ tu che così rampogni altrui?». + +«Or tu chi se’ che vai per l’Antenora, +percotendo», rispuose, «altrui le gote, +sì che, se fossi vivo, troppo fora?». + +«Vivo son io, e caro esser ti puote», +fu mia risposta, «se dimandi fama, +ch’io metta il nome tuo tra l’altre note». + +Ed elli a me: «Del contrario ho io brama. +Lèvati quinci e non mi dar più lagna, +ché mal sai lusingar per questa lama!». + +Allor lo presi per la cuticagna +e dissi: «El converrà che tu ti nomi, +o che capel qui sù non ti rimagna». + +Ond’ elli a me: «Perché tu mi dischiomi, +né ti dirò ch’io sia, né mosterrolti, +se mille fiate in sul capo mi tomi». + +Io avea già i capelli in mano avvolti, +e tratti glien’ avea più d’una ciocca, +latrando lui con li occhi in giù raccolti, + +quando un altro gridò: «Che hai tu, Bocca? +non ti basta sonar con le mascelle, +se tu non latri? qual diavol ti tocca?». + +«Omai», diss’ io, «non vo’ che più favelle, +malvagio traditor; ch’a la tua onta +io porterò di te vere novelle». + +«Va via», rispuose, «e ciò che tu vuoi conta; +ma non tacer, se tu di qua entro eschi, +di quel ch’ebbe or così la lingua pronta. + +El piange qui l’argento de’ Franceschi: +“Io vidi”, potrai dir, “quel da Duera +là dove i peccatori stanno freschi”. + +Se fossi domandato “Altri chi v’era?”, +tu hai dallato quel di Beccheria +di cui segò Fiorenza la gorgiera. + +Gianni de’ Soldanier credo che sia +più là con Ganellone e Tebaldello, +ch’aprì Faenza quando si dormia». + +Noi eravam partiti già da ello, +ch’io vidi due ghiacciati in una buca, +sì che l’un capo a l’altro era cappello; + +e come ’l pan per fame si manduca, +così ’l sovran li denti a l’altro pose +là ’ve ’l cervel s’aggiugne con la nuca: + +non altrimenti Tidëo si rose +le tempie a Menalippo per disdegno, +che quei faceva il teschio e l’altre cose. + +«O tu che mostri per sì bestial segno +odio sovra colui che tu ti mangi, +dimmi ’l perché», diss’ io, «per tal convegno, + +che se tu a ragion di lui ti piangi, +sappiendo chi voi siete e la sua pecca, +nel mondo suso ancora io te ne cangi, + +se quella con ch’io parlo non si secca». + + + +Inferno · Canto XXXIII + + +La bocca sollevò dal fiero pasto +quel peccator, forbendola a’ capelli +del capo ch’elli avea di retro guasto. + +Poi cominciò: «Tu vuo’ ch’io rinovelli +disperato dolor che ’l cor mi preme +già pur pensando, pria ch’io ne favelli. + +Ma se le mie parole esser dien seme +che frutti infamia al traditor ch’i’ rodo, +parlar e lagrimar vedrai insieme. + +Io non so chi tu se’ né per che modo +venuto se’ qua giù; ma fiorentino +mi sembri veramente quand’ io t’odo. + +Tu dei saper ch’i’ fui conte Ugolino, +e questi è l’arcivescovo Ruggieri: +or ti dirò perché i son tal vicino. + +Che per l’effetto de’ suo’ mai pensieri, +fidandomi di lui, io fossi preso +e poscia morto, dir non è mestieri; + +però quel che non puoi avere inteso, +cioè come la morte mia fu cruda, +udirai, e saprai s’e’ m’ha offeso. + +Breve pertugio dentro da la Muda, +la qual per me ha ’l titol de la fame, +e che conviene ancor ch’altrui si chiuda, + +m’avea mostrato per lo suo forame +più lune già, quand’ io feci ’l mal sonno +che del futuro mi squarciò ’l velame. + +Questi pareva a me maestro e donno, +cacciando il lupo e ’ lupicini al monte +per che i Pisan veder Lucca non ponno. + +Con cagne magre, studïose e conte +Gualandi con Sismondi e con Lanfranchi +s’avea messi dinanzi da la fronte. + +In picciol corso mi parieno stanchi +lo padre e ’ figli, e con l’agute scane +mi parea lor veder fender li fianchi. + +Quando fui desto innanzi la dimane, +pianger senti’ fra ’l sonno i miei figliuoli +ch’eran con meco, e dimandar del pane. + +Ben se’ crudel, se tu già non ti duoli +pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava; +e se non piangi, di che pianger suoli? + +Già eran desti, e l’ora s’appressava +che ’l cibo ne solëa essere addotto, +e per suo sogno ciascun dubitava; + +e io senti’ chiavar l’uscio di sotto +a l’orribile torre; ond’ io guardai +nel viso a’ mie’ figliuoi sanza far motto. + +Io non piangëa, sì dentro impetrai: +piangevan elli; e Anselmuccio mio +disse: “Tu guardi sì, padre! che hai?”. + +Perciò non lagrimai né rispuos’ io +tutto quel giorno né la notte appresso, +infin che l’altro sol nel mondo uscìo. + +Come un poco di raggio si fu messo +nel doloroso carcere, e io scorsi +per quattro visi il mio aspetto stesso, + +ambo le man per lo dolor mi morsi; +ed ei, pensando ch’io ’l fessi per voglia +di manicar, di sùbito levorsi + +e disser: “Padre, assai ci fia men doglia +se tu mangi di noi: tu ne vestisti +queste misere carni, e tu le spoglia”. + +Queta’mi allor per non farli più tristi; +lo dì e l’altro stemmo tutti muti; +ahi dura terra, perché non t’apristi? + +Poscia che fummo al quarto dì venuti, +Gaddo mi si gittò disteso a’ piedi, +dicendo: “Padre mio, ché non m’aiuti?”. + +Quivi morì; e come tu mi vedi, +vid’ io cascar li tre ad uno ad uno +tra ’l quinto dì e ’l sesto; ond’ io mi diedi, + +già cieco, a brancolar sovra ciascuno, +e due dì li chiamai, poi che fur morti. +Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno». + +Quand’ ebbe detto ciò, con li occhi torti +riprese ’l teschio misero co’ denti, +che furo a l’osso, come d’un can, forti. + +Ahi Pisa, vituperio de le genti +del bel paese là dove ’l sì suona, +poi che i vicini a te punir son lenti, + +muovasi la Capraia e la Gorgona, +e faccian siepe ad Arno in su la foce, +sì ch’elli annieghi in te ogne persona! + +Che se ’l conte Ugolino aveva voce +d’aver tradita te de le castella, +non dovei tu i figliuoi porre a tal croce. + +Innocenti facea l’età novella, +novella Tebe, Uguiccione e ’l Brigata +e li altri due che ’l canto suso appella. + +Noi passammo oltre, là ’ve la gelata +ruvidamente un’altra gente fascia, +non volta in giù, ma tutta riversata. + +Lo pianto stesso lì pianger non lascia, +e ’l duol che truova in su li occhi rintoppo, +si volge in entro a far crescer l’ambascia; + +ché le lagrime prime fanno groppo, +e sì come visiere di cristallo, +rïempion sotto ’l ciglio tutto il coppo. + +E avvegna che, sì come d’un callo, +per la freddura ciascun sentimento +cessato avesse del mio viso stallo, + +già mi parea sentire alquanto vento; +per ch’io: «Maestro mio, questo chi move? +non è qua giù ogne vapore spento?». + +Ond’ elli a me: «Avaccio sarai dove +di ciò ti farà l’occhio la risposta, +veggendo la cagion che ’l fiato piove». + +E un de’ tristi de la fredda crosta +gridò a noi: «O anime crudeli +tanto che data v’è l’ultima posta, + +levatemi dal viso i duri veli, +sì ch’ïo sfoghi ’l duol che ’l cor m’impregna, +un poco, pria che ’l pianto si raggeli». + +Per ch’io a lui: «Se vuo’ ch’i’ ti sovvegna, +dimmi chi se’, e s’io non ti disbrigo, +al fondo de la ghiaccia ir mi convegna». + +Rispuose adunque: «I’ son frate Alberigo; +i’ son quel da le frutta del mal orto, +che qui riprendo dattero per figo». + +«Oh», diss’ io lui, «or se’ tu ancor morto?». +Ed elli a me: «Come ’l mio corpo stea +nel mondo sù, nulla scïenza porto. + +Cotal vantaggio ha questa Tolomea, +che spesse volte l’anima ci cade +innanzi ch’Atropòs mossa le dea. + +E perché tu più volentier mi rade +le ’nvetrïate lagrime dal volto, +sappie che, tosto che l’anima trade + +come fec’ ïo, il corpo suo l’è tolto +da un demonio, che poscia il governa +mentre che ’l tempo suo tutto sia vòlto. + +Ella ruina in sì fatta cisterna; +e forse pare ancor lo corpo suso +de l’ombra che di qua dietro mi verna. + +Tu ’l dei saper, se tu vien pur mo giuso: +elli è ser Branca Doria, e son più anni +poscia passati ch’el fu sì racchiuso». + +«Io credo», diss’ io lui, «che tu m’inganni; +ché Branca Doria non morì unquanche, +e mangia e bee e dorme e veste panni». + +«Nel fosso sù», diss’ el, «de’ Malebranche, +là dove bolle la tenace pece, +non era ancora giunto Michel Zanche, + +che questi lasciò il diavolo in sua vece +nel corpo suo, ed un suo prossimano +che ’l tradimento insieme con lui fece. + +Ma distendi oggimai in qua la mano; +aprimi li occhi». E io non gliel’ apersi; +e cortesia fu lui esser villano. + +Ahi Genovesi, uomini diversi +d’ogne costume e pien d’ogne magagna, +perché non siete voi del mondo spersi? + +Ché col peggiore spirto di Romagna +trovai di voi un tal, che per sua opra +in anima in Cocito già si bagna, + +e in corpo par vivo ancor di sopra. + + + +Inferno · Canto XXXIV + + +«Vexilla regis prodeunt inferni +verso di noi; però dinanzi mira», +disse ’l maestro mio, «se tu ’l discerni». + +Come quando una grossa nebbia spira, +o quando l’emisperio nostro annotta, +par di lungi un molin che ’l vento gira, + +veder mi parve un tal dificio allotta; +poi per lo vento mi ristrinsi retro +al duca mio, ché non lì era altra grotta. + +Già era, e con paura il metto in metro, +là dove l’ombre tutte eran coperte, +e trasparien come festuca in vetro. + +Altre sono a giacere; altre stanno erte, +quella col capo e quella con le piante; +altra, com’ arco, il volto a’ piè rinverte. + +Quando noi fummo fatti tanto avante, +ch’al mio maestro piacque di mostrarmi +la creatura ch’ebbe il bel sembiante, + +d’innanzi mi si tolse e fé restarmi, +«Ecco Dite», dicendo, «ed ecco il loco +ove convien che di fortezza t’armi». + +Com’ io divenni allor gelato e fioco, +nol dimandar, lettor, ch’i’ non lo scrivo, +però ch’ogne parlar sarebbe poco. + +Io non mori’ e non rimasi vivo; +pensa oggimai per te, s’hai fior d’ingegno, +qual io divenni, d’uno e d’altro privo. + +Lo ’mperador del doloroso regno +da mezzo ’l petto uscia fuor de la ghiaccia; +e più con un gigante io mi convegno, + +che i giganti non fan con le sue braccia: +vedi oggimai quant’ esser dee quel tutto +ch’a così fatta parte si confaccia. + +S’el fu sì bel com’ elli è ora brutto, +e contra ’l suo fattore alzò le ciglia, +ben dee da lui procedere ogne lutto. + +Oh quanto parve a me gran maraviglia +quand’ io vidi tre facce a la sua testa! +L’una dinanzi, e quella era vermiglia; + +l’altr’ eran due, che s’aggiugnieno a questa +sovresso ’l mezzo di ciascuna spalla, +e sé giugnieno al loco de la cresta: + +e la destra parea tra bianca e gialla; +la sinistra a vedere era tal, quali +vegnon di là onde ’l Nilo s’avvalla. + +Sotto ciascuna uscivan due grand’ ali, +quanto si convenia a tanto uccello: +vele di mar non vid’ io mai cotali. + +Non avean penne, ma di vispistrello +era lor modo; e quelle svolazzava, +sì che tre venti si movean da ello: + +quindi Cocito tutto s’aggelava. +Con sei occhi piangëa, e per tre menti +gocciava ’l pianto e sanguinosa bava. + +Da ogne bocca dirompea co’ denti +un peccatore, a guisa di maciulla, +sì che tre ne facea così dolenti. + +A quel dinanzi il mordere era nulla +verso ’l graffiar, che talvolta la schiena +rimanea de la pelle tutta brulla. + +«Quell’ anima là sù c’ha maggior pena», +disse ’l maestro, «è Giuda Scarïotto, +che ’l capo ha dentro e fuor le gambe mena. + +De li altri due c’hanno il capo di sotto, +quel che pende dal nero ceffo è Bruto: +vedi come si storce, e non fa motto!; + +e l’altro è Cassio, che par sì membruto. +Ma la notte risurge, e oramai +è da partir, ché tutto avem veduto». + +Com’ a lui piacque, il collo li avvinghiai; +ed el prese di tempo e loco poste, +e quando l’ali fuoro aperte assai, + +appigliò sé a le vellute coste; +di vello in vello giù discese poscia +tra ’l folto pelo e le gelate croste. + +Quando noi fummo là dove la coscia +si volge, a punto in sul grosso de l’anche, +lo duca, con fatica e con angoscia, + +volse la testa ov’ elli avea le zanche, +e aggrappossi al pel com’ om che sale, +sì che ’n inferno i’ credea tornar anche. + +«Attienti ben, ché per cotali scale», +disse ’l maestro, ansando com’ uom lasso, +«conviensi dipartir da tanto male». + +Poi uscì fuor per lo fóro d’un sasso +e puose me in su l’orlo a sedere; +appresso porse a me l’accorto passo. + +Io levai li occhi e credetti vedere +Lucifero com’ io l’avea lasciato, +e vidili le gambe in sù tenere; + +e s’io divenni allora travagliato, +la gente grossa il pensi, che non vede +qual è quel punto ch’io avea passato. + +«Lèvati sù», disse ’l maestro, «in piede: +la via è lunga e ’l cammino è malvagio, +e già il sole a mezza terza riede». + +Non era camminata di palagio +là ’v’ eravam, ma natural burella +ch’avea mal suolo e di lume disagio. + +«Prima ch’io de l’abisso mi divella, +maestro mio», diss’ io quando fui dritto, +«a trarmi d’erro un poco mi favella: + +ov’ è la ghiaccia? e questi com’ è fitto +sì sottosopra? e come, in sì poc’ ora, +da sera a mane ha fatto il sol tragitto?». + +Ed elli a me: «Tu imagini ancora +d’esser di là dal centro, ov’ io mi presi +al pel del vermo reo che ’l mondo fóra. + +Di là fosti cotanto quant’ io scesi; +quand’ io mi volsi, tu passasti ’l punto +al qual si traggon d’ogne parte i pesi. + +E se’ or sotto l’emisperio giunto +ch’è contraposto a quel che la gran secca +coverchia, e sotto ’l cui colmo consunto + +fu l’uom che nacque e visse sanza pecca; +tu haï i piedi in su picciola spera +che l’altra faccia fa de la Giudecca. + +Qui è da man, quando di là è sera; +e questi, che ne fé scala col pelo, +fitto è ancora sì come prim’ era. + +Da questa parte cadde giù dal cielo; +e la terra, che pria di qua si sporse, +per paura di lui fé del mar velo, + +e venne a l’emisperio nostro; e forse +per fuggir lui lasciò qui loco vòto +quella ch’appar di qua, e sù ricorse». + +Luogo è là giù da Belzebù remoto +tanto quanto la tomba si distende, +che non per vista, ma per suono è noto + +d’un ruscelletto che quivi discende +per la buca d’un sasso, ch’elli ha roso, +col corso ch’elli avvolge, e poco pende. + +Lo duca e io per quel cammino ascoso +intrammo a ritornar nel chiaro mondo; +e sanza cura aver d’alcun riposo, + +salimmo sù, el primo e io secondo, +tanto ch’i’ vidi de le cose belle +che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. + +E quindi uscimmo a riveder le stelle. + + + + + +PURGATORIO + + + + +Purgatorio · Canto I + + +Per correr miglior acque alza le vele +omai la navicella del mio ingegno, +che lascia dietro a sé mar sì crudele; + +e canterò di quel secondo regno +dove l’umano spirito si purga +e di salire al ciel diventa degno. + +Ma qui la morta poesì resurga, +o sante Muse, poi che vostro sono; +e qui Calïopè alquanto surga, + +seguitando il mio canto con quel suono +di cui le Piche misere sentiro +lo colpo tal, che disperar perdono. + +Dolce color d’orïental zaffiro, +che s’accoglieva nel sereno aspetto +del mezzo, puro infino al primo giro, + +a li occhi miei ricominciò diletto, +tosto ch’io usci’ fuor de l’aura morta +che m’avea contristati li occhi e ’l petto. + +Lo bel pianeto che d’amar conforta +faceva tutto rider l’orïente, +velando i Pesci ch’erano in sua scorta. + +I’ mi volsi a man destra, e puosi mente +a l’altro polo, e vidi quattro stelle +non viste mai fuor ch’a la prima gente. + +Goder pareva ’l ciel di lor fiammelle: +oh settentrïonal vedovo sito, +poi che privato se’ di mirar quelle! + +Com’ io da loro sguardo fui partito, +un poco me volgendo a l ’altro polo, +là onde ’l Carro già era sparito, + +vidi presso di me un veglio solo, +degno di tanta reverenza in vista, +che più non dee a padre alcun figliuolo. + +Lunga la barba e di pel bianco mista +portava, a’ suoi capelli simigliante, +de’ quai cadeva al petto doppia lista. + +Li raggi de le quattro luci sante +fregiavan sì la sua faccia di lume, +ch’i’ ’l vedea come ’l sol fosse davante. + +«Chi siete voi che contro al cieco fiume +fuggita avete la pregione etterna?», +diss’ el, movendo quelle oneste piume. + +«Chi v’ha guidati, o che vi fu lucerna, +uscendo fuor de la profonda notte +che sempre nera fa la valle inferna? + +Son le leggi d’abisso così rotte? +o è mutato in ciel novo consiglio, +che, dannati, venite a le mie grotte?». + +Lo duca mio allor mi diè di piglio, +e con parole e con mani e con cenni +reverenti mi fé le gambe e ’l ciglio. + +Poscia rispuose lui: «Da me non venni: +donna scese del ciel, per li cui prieghi +de la mia compagnia costui sovvenni. + +Ma da ch’è tuo voler che più si spieghi +di nostra condizion com’ ell’ è vera, +esser non puote il mio che a te si nieghi. + +Questi non vide mai l’ultima sera; +ma per la sua follia le fu sì presso, +che molto poco tempo a volger era. + +Sì com’ io dissi, fui mandato ad esso +per lui campare; e non lì era altra via +che questa per la quale i’ mi son messo. + +Mostrata ho lui tutta la gente ria; +e ora intendo mostrar quelli spirti +che purgan sé sotto la tua balìa. + +Com’ io l’ho tratto, saria lungo a dirti; +de l’alto scende virtù che m’aiuta +conducerlo a vederti e a udirti. + +Or ti piaccia gradir la sua venuta: +libertà va cercando, ch’è sì cara, +come sa chi per lei vita rifiuta. + +Tu ’l sai, ché non ti fu per lei amara +in Utica la morte, ove lasciasti +la vesta ch’al gran dì sarà sì chiara. + +Non son li editti etterni per noi guasti, +ché questi vive e Minòs me non lega; +ma son del cerchio ove son li occhi casti + +di Marzia tua, che ’n vista ancor ti priega, +o santo petto, che per tua la tegni: +per lo suo amore adunque a noi ti piega. + +Lasciane andar per li tuoi sette regni; +grazie riporterò di te a lei, +se d’esser mentovato là giù degni». + +«Marzïa piacque tanto a li occhi miei +mentre ch’i’ fu’ di là», diss’ elli allora, +«che quante grazie volse da me, fei. + +Or che di là dal mal fiume dimora, +più muover non mi può, per quella legge +che fatta fu quando me n’usci’ fora. + +Ma se donna del ciel ti move e regge, +come tu di’, non c’è mestier lusinghe: +bastisi ben che per lei mi richegge. + +Va dunque, e fa che tu costui ricinghe +d’un giunco schietto e che li lavi ’l viso, +sì ch’ogne sucidume quindi stinghe; + +ché non si converria, l’occhio sorpriso +d’alcuna nebbia, andar dinanzi al primo +ministro, ch’è di quei di paradiso. + +Questa isoletta intorno ad imo ad imo, +là giù colà dove la batte l’onda, +porta di giunchi sovra ’l molle limo: + +null’ altra pianta che facesse fronda +o indurasse, vi puote aver vita, +però ch’a le percosse non seconda. + +Poscia non sia di qua vostra reddita; +lo sol vi mosterrà, che surge omai, +prendere il monte a più lieve salita». + +Così sparì; e io sù mi levai +sanza parlare, e tutto mi ritrassi +al duca mio, e li occhi a lui drizzai. + +El cominciò: «Figliuol, segui i miei passi: +volgianci in dietro, ché di qua dichina +questa pianura a’ suoi termini bassi». + +L’alba vinceva l’ora mattutina +che fuggia innanzi, sì che di lontano +conobbi il tremolar de la marina. + +Noi andavam per lo solingo piano +com’ om che torna a la perduta strada, +che ’nfino ad essa li pare ire in vano. + +Quando noi fummo là ’ve la rugiada +pugna col sole, per essere in parte +dove, ad orezza, poco si dirada, + +ambo le mani in su l’erbetta sparte +soavemente ’l mio maestro pose: +ond’ io, che fui accorto di sua arte, + +porsi ver’ lui le guance lagrimose; +ivi mi fece tutto discoverto +quel color che l’inferno mi nascose. + +Venimmo poi in sul lito diserto, +che mai non vide navicar sue acque +omo, che di tornar sia poscia esperto. + +Quivi mi cinse sì com’ altrui piacque: +oh maraviglia! ché qual elli scelse +l’umile pianta, cotal si rinacque + +subitamente là onde l’avelse. + + + +Purgatorio · Canto II + + +Già era ’l sole a l’orizzonte giunto +lo cui meridïan cerchio coverchia +Ierusalèm col suo più alto punto; + +e la notte, che opposita a lui cerchia, +uscia di Gange fuor con le Bilance, +che le caggion di man quando soverchia; + +sì che le bianche e le vermiglie guance, +là dov’ i’ era, de la bella Aurora +per troppa etate divenivan rance. + +Noi eravam lunghesso mare ancora, +come gente che pensa a suo cammino, +che va col cuore e col corpo dimora. + +Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino, +per li grossi vapor Marte rosseggia +giù nel ponente sovra ’l suol marino, + +cotal m’apparve, s’io ancor lo veggia, +un lume per lo mar venir sì ratto, +che ’l muover suo nessun volar pareggia. + +Dal qual com’ io un poco ebbi ritratto +l’occhio per domandar lo duca mio, +rividil più lucente e maggior fatto. + +Poi d’ogne lato ad esso m’appario +un non sapeva che bianco, e di sotto +a poco a poco un altro a lui uscìo. + +Lo mio maestro ancor non facea motto, +mentre che i primi bianchi apparver ali; +allor che ben conobbe il galeotto, + +gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali. +Ecco l’angel di Dio: piega le mani; +omai vedrai di sì fatti officiali. + +Vedi che sdegna li argomenti umani, +sì che remo non vuol, né altro velo +che l’ali sue, tra liti sì lontani. + +Vedi come l’ha dritte verso ’l cielo, +trattando l’aere con l’etterne penne, +che non si mutan come mortal pelo». + +Poi, come più e più verso noi venne +l’uccel divino, più chiaro appariva: +per che l’occhio da presso nol sostenne, + +ma chinail giuso; e quei sen venne a riva +con un vasello snelletto e leggero, +tanto che l’acqua nulla ne ’nghiottiva. + +Da poppa stava il celestial nocchiero, +tal che faria beato pur descripto; +e più di cento spirti entro sediero. + +‘In exitu Isräel de Aegypto’ +cantavan tutti insieme ad una voce +con quanto di quel salmo è poscia scripto. + +Poi fece il segno lor di santa croce; +ond’ ei si gittar tutti in su la piaggia: +ed el sen gì, come venne, veloce. + +La turba che rimase lì, selvaggia +parea del loco, rimirando intorno +come colui che nove cose assaggia. + +Da tutte parti saettava il giorno +lo sol, ch’avea con le saette conte +di mezzo ’l ciel cacciato Capricorno, + +quando la nova gente alzò la fronte +ver’ noi, dicendo a noi: «Se voi sapete, +mostratene la via di gire al monte». + +E Virgilio rispuose: «Voi credete +forse che siamo esperti d’esto loco; +ma noi siam peregrin come voi siete. + +Dianzi venimmo, innanzi a voi un poco, +per altra via, che fu sì aspra e forte, +che lo salire omai ne parrà gioco». + +L’anime, che si fuor di me accorte, +per lo spirare, ch’i’ era ancor vivo, +maravigliando diventaro smorte. + +E come a messagger che porta ulivo +tragge la gente per udir novelle, +e di calcar nessun si mostra schivo, + +così al viso mio s’affisar quelle +anime fortunate tutte quante, +quasi oblïando d’ire a farsi belle. + +Io vidi una di lor trarresi avante +per abbracciarmi con sì grande affetto, +che mosse me a far lo somigliante. + +Ohi ombre vane, fuor che ne l’aspetto! +tre volte dietro a lei le mani avvinsi, +e tante mi tornai con esse al petto. + +Di maraviglia, credo, mi dipinsi; +per che l’ombra sorrise e si ritrasse, +e io, seguendo lei, oltre mi pinsi. + +Soavemente disse ch’io posasse; +allor conobbi chi era, e pregai +che, per parlarmi, un poco s’arrestasse. + +Rispuosemi: «Così com’ io t’amai +nel mortal corpo, così t’amo sciolta: +però m’arresto; ma tu perché vai?». + +«Casella mio, per tornar altra volta +là dov’ io son, fo io questo vïaggio», +diss’ io; «ma a te com’ è tanta ora tolta?». + +Ed elli a me: «Nessun m’è fatto oltraggio, +se quei che leva quando e cui li piace, +più volte m’ha negato esto passaggio; + +ché di giusto voler lo suo si face: +veramente da tre mesi elli ha tolto +chi ha voluto intrar, con tutta pace. + +Ond’ io, ch’era ora a la marina vòlto +dove l’acqua di Tevero s’insala, +benignamente fu’ da lui ricolto. + +A quella foce ha elli or dritta l’ala, +però che sempre quivi si ricoglie +qual verso Acheronte non si cala». + +E io: «Se nuova legge non ti toglie +memoria o uso a l’amoroso canto +che mi solea quetar tutte mie doglie, + +di ciò ti piaccia consolare alquanto +l’anima mia, che, con la sua persona +venendo qui, è affannata tanto!». + +‘Amor che ne la mente mi ragiona’ +cominciò elli allor sì dolcemente, +che la dolcezza ancor dentro mi suona. + +Lo mio maestro e io e quella gente +ch’eran con lui parevan sì contenti, +come a nessun toccasse altro la mente. + +Noi eravam tutti fissi e attenti +a le sue note; ed ecco il veglio onesto +gridando: «Che è ciò, spiriti lenti? + +qual negligenza, quale stare è questo? +Correte al monte a spogliarvi lo scoglio +ch’esser non lascia a voi Dio manifesto». + +Come quando, cogliendo biado o loglio, +li colombi adunati a la pastura, +queti, sanza mostrar l’usato orgoglio, + +se cosa appare ond’ elli abbian paura, +subitamente lasciano star l’esca, +perch’ assaliti son da maggior cura; + +così vid’ io quella masnada fresca +lasciar lo canto, e fuggir ver’ la costa, +com’ om che va, né sa dove rïesca; + +né la nostra partita fu men tosta. + + + +Purgatorio · Canto III + + +Avvegna che la subitana fuga +dispergesse color per la campagna, +rivolti al monte ove ragion ne fruga, + +i’ mi ristrinsi a la fida compagna: +e come sare’ io sanza lui corso? +chi m’avria tratto su per la montagna? + +El mi parea da sé stesso rimorso: +o dignitosa coscïenza e netta, +come t’è picciol fallo amaro morso! + +Quando li piedi suoi lasciar la fretta, +che l’onestade ad ogn’ atto dismaga, +la mente mia, che prima era ristretta, + +lo ’ntento rallargò, sì come vaga, +e diedi ’l viso mio incontr’ al poggio +che ’nverso ’l ciel più alto si dislaga. + +Lo sol, che dietro fiammeggiava roggio, +rotto m’era dinanzi a la figura, +ch’avëa in me de’ suoi raggi l’appoggio. + +Io mi volsi dallato con paura +d’essere abbandonato, quand’ io vidi +solo dinanzi a me la terra oscura; + +e ’l mio conforto: «Perché pur diffidi?», +a dir mi cominciò tutto rivolto; +«non credi tu me teco e ch’io ti guidi? + +Vespero è già colà dov’ è sepolto +lo corpo dentro al quale io facea ombra; +Napoli l’ha, e da Brandizio è tolto. + +Ora, se innanzi a me nulla s’aombra, +non ti maravigliar più che d’i cieli +che l’uno a l’altro raggio non ingombra. + +A sofferir tormenti, caldi e geli +simili corpi la Virtù dispone +che, come fa, non vuol ch’a noi si sveli. + +Matto è chi spera che nostra ragione +possa trascorrer la infinita via +che tiene una sustanza in tre persone. + +State contenti, umana gente, al quia; +ché, se potuto aveste veder tutto, +mestier non era parturir Maria; + +e disïar vedeste sanza frutto +tai che sarebbe lor disio quetato, +ch’etternalmente è dato lor per lutto: + +io dico d’Aristotile e di Plato +e di molt’ altri»; e qui chinò la fronte, +e più non disse, e rimase turbato. + +Noi divenimmo intanto a piè del monte; +quivi trovammo la roccia sì erta, +che ’ndarno vi sarien le gambe pronte. + +Tra Lerice e Turbìa la più diserta, +la più rotta ruina è una scala, +verso di quella, agevole e aperta. + +«Or chi sa da qual man la costa cala», +disse ’l maestro mio fermando ’l passo, +«sì che possa salir chi va sanz’ ala?». + +E mentre ch’e’ tenendo ’l viso basso +essaminava del cammin la mente, +e io mirava suso intorno al sasso, + +da man sinistra m’apparì una gente +d’anime, che movieno i piè ver’ noi, +e non pareva, sì venïan lente. + +«Leva», diss’ io, «maestro, li occhi tuoi: +ecco di qua chi ne darà consiglio, +se tu da te medesmo aver nol puoi». + +Guardò allora, e con libero piglio +rispuose: «Andiamo in là, ch’ei vegnon piano; +e tu ferma la spene, dolce figlio». + +Ancora era quel popol di lontano, +i’ dico dopo i nostri mille passi, +quanto un buon gittator trarria con mano, + +quando si strinser tutti ai duri massi +de l’alta ripa, e stetter fermi e stretti +com’ a guardar, chi va dubbiando, stassi. + +«O ben finiti, o già spiriti eletti», +Virgilio incominciò, «per quella pace +ch’i’ credo che per voi tutti s’aspetti, + +ditene dove la montagna giace, +sì che possibil sia l’andare in suso; +ché perder tempo a chi più sa più spiace». + +Come le pecorelle escon del chiuso +a una, a due, a tre, e l’altre stanno +timidette atterrando l’occhio e ’l muso; + +e ciò che fa la prima, e l’altre fanno, +addossandosi a lei, s’ella s’arresta, +semplici e quete, e lo ’mperché non sanno; + +sì vid’ io muovere a venir la testa +di quella mandra fortunata allotta, +pudica in faccia e ne l’andare onesta. + +Come color dinanzi vider rotta +la luce in terra dal mio destro canto, +sì che l’ombra era da me a la grotta, + +restaro, e trasser sé in dietro alquanto, +e tutti li altri che venieno appresso, +non sappiendo ’l perché, fenno altrettanto. + +«Sanza vostra domanda io vi confesso +che questo è corpo uman che voi vedete; +per che ’l lume del sole in terra è fesso. + +Non vi maravigliate, ma credete +che non sanza virtù che da ciel vegna +cerchi di soverchiar questa parete». + +Così ’l maestro; e quella gente degna +«Tornate», disse, «intrate innanzi dunque», +coi dossi de le man faccendo insegna. + +E un di loro incominciò: «Chiunque +tu se’, così andando, volgi ’l viso: +pon mente se di là mi vedesti unque». + +Io mi volsi ver’ lui e guardail fiso: +biondo era e bello e di gentile aspetto, +ma l’un de’ cigli un colpo avea diviso. + +Quand’ io mi fui umilmente disdetto +d’averlo visto mai, el disse: «Or vedi»; +e mostrommi una piaga a sommo ’l petto. + +Poi sorridendo disse: «Io son Manfredi, +nepote di Costanza imperadrice; +ond’ io ti priego che, quando tu riedi, + +vadi a mia bella figlia, genitrice +de l’onor di Cicilia e d’Aragona, +e dichi ’l vero a lei, s’altro si dice. + +Poscia ch’io ebbi rotta la persona +di due punte mortali, io mi rendei, +piangendo, a quei che volontier perdona. + +Orribil furon li peccati miei; +ma la bontà infinita ha sì gran braccia, +che prende ciò che si rivolge a lei. + +Se ’l pastor di Cosenza, che a la caccia +di me fu messo per Clemente allora, +avesse in Dio ben letta questa faccia, + +l’ossa del corpo mio sarieno ancora +in co del ponte presso a Benevento, +sotto la guardia de la grave mora. + +Or le bagna la pioggia e move il vento +di fuor dal regno, quasi lungo ’l Verde, +dov’ e’ le trasmutò a lume spento. + +Per lor maladizion sì non si perde, +che non possa tornar, l’etterno amore, +mentre che la speranza ha fior del verde. + +Vero è che quale in contumacia more +di Santa Chiesa, ancor ch’al fin si penta, +star li convien da questa ripa in fore, + +per ognun tempo ch’elli è stato, trenta, +in sua presunzïon, se tal decreto +più corto per buon prieghi non diventa. + +Vedi oggimai se tu mi puoi far lieto, +revelando a la mia buona Costanza +come m’hai visto, e anco esto divieto; + +ché qui per quei di là molto s’avanza». + + + +Purgatorio · Canto IV + + +Quando per dilettanze o ver per doglie, +che alcuna virtù nostra comprenda, +l’anima bene ad essa si raccoglie, + +par ch’a nulla potenza più intenda; +e questo è contra quello error che crede +ch’un’anima sovr’ altra in noi s’accenda. + +E però, quando s’ode cosa o vede +che tegna forte a sé l’anima volta, +vassene ’l tempo e l’uom non se n’avvede; + +ch’altra potenza è quella che l’ascolta, +e altra è quella c’ha l’anima intera: +questa è quasi legata e quella è sciolta. + +Di ciò ebb’ io esperïenza vera, +udendo quello spirto e ammirando; +ché ben cinquanta gradi salito era + +lo sole, e io non m’era accorto, quando +venimmo ove quell’ anime ad una +gridaro a noi: «Qui è vostro dimando». + +Maggiore aperta molte volte impruna +con una forcatella di sue spine +l’uom de la villa quando l’uva imbruna, + +che non era la calla onde salìne +lo duca mio, e io appresso, soli, +come da noi la schiera si partìne. + +Vassi in Sanleo e discendesi in Noli, +montasi su in Bismantova e ’n Cacume +con esso i piè; ma qui convien ch’om voli; + +dico con l’ale snelle e con le piume +del gran disio, di retro a quel condotto +che speranza mi dava e facea lume. + +Noi salavam per entro ’l sasso rotto, +e d’ogne lato ne stringea lo stremo, +e piedi e man volea il suol di sotto. + +Poi che noi fummo in su l’orlo suppremo +de l’alta ripa, a la scoperta piaggia, +«Maestro mio», diss’ io, «che via faremo?». + +Ed elli a me: «Nessun tuo passo caggia; +pur su al monte dietro a me acquista, +fin che n’appaia alcuna scorta saggia». + +Lo sommo er’ alto che vincea la vista, +e la costa superba più assai +che da mezzo quadrante a centro lista. + +Io era lasso, quando cominciai: +«O dolce padre, volgiti, e rimira +com’ io rimango sol, se non restai». + +«Figliuol mio», disse, «infin quivi ti tira», +additandomi un balzo poco in sùe +che da quel lato il poggio tutto gira. + +Sì mi spronaron le parole sue, +ch’i’ mi sforzai carpando appresso lui, +tanto che ’l cinghio sotto i piè mi fue. + +A seder ci ponemmo ivi ambedui +vòlti a levante ond’ eravam saliti, +che suole a riguardar giovare altrui. + +Li occhi prima drizzai ai bassi liti; +poscia li alzai al sole, e ammirava +che da sinistra n’eravam feriti. + +Ben s’avvide il poeta ch’ïo stava +stupido tutto al carro de la luce, +ove tra noi e Aquilone intrava. + +Ond’ elli a me: «Se Castore e Poluce +fossero in compagnia di quello specchio +che sù e giù del suo lume conduce, + +tu vedresti il Zodïaco rubecchio +ancora a l’Orse più stretto rotare, +se non uscisse fuor del cammin vecchio. + +Come ciò sia, se ’l vuoi poter pensare, +dentro raccolto, imagina Sïòn +con questo monte in su la terra stare + +sì, ch’amendue hanno un solo orizzòn +e diversi emisperi; onde la strada +che mal non seppe carreggiar Fetòn, + +vedrai come a costui convien che vada +da l’un, quando a colui da l’altro fianco, +se lo ’ntelletto tuo ben chiaro bada». + +«Certo, maestro mio,» diss’ io, «unquanco +non vid’ io chiaro sì com’ io discerno +là dove mio ingegno parea manco, + +che ’l mezzo cerchio del moto superno, +che si chiama Equatore in alcun’ arte, +e che sempre riman tra ’l sole e ’l verno, + +per la ragion che di’, quinci si parte +verso settentrïon, quanto li Ebrei +vedevan lui verso la calda parte. + +Ma se a te piace, volontier saprei +quanto avemo ad andar; ché ’l poggio sale +più che salir non posson li occhi miei». + +Ed elli a me: «Questa montagna è tale, +che sempre al cominciar di sotto è grave; +e quant’ om più va sù, e men fa male. + +Però, quand’ ella ti parrà soave +tanto, che sù andar ti fia leggero +com’ a seconda giù andar per nave, + +allor sarai al fin d’esto sentiero; +quivi di riposar l’affanno aspetta. +Più non rispondo, e questo so per vero». + +E com’ elli ebbe sua parola detta, +una voce di presso sonò: «Forse +che di sedere in pria avrai distretta!». + +Al suon di lei ciascun di noi si torse, +e vedemmo a mancina un gran petrone, +del qual né io né ei prima s’accorse. + +Là ci traemmo; e ivi eran persone +che si stavano a l’ombra dietro al sasso +come l’uom per negghienza a star si pone. + +E un di lor, che mi sembiava lasso, +sedeva e abbracciava le ginocchia, +tenendo ’l viso giù tra esse basso. + +«O dolce segnor mio», diss’ io, «adocchia +colui che mostra sé più negligente +che se pigrizia fosse sua serocchia». + +Allor si volse a noi e puose mente, +movendo ’l viso pur su per la coscia, +e disse: «Or va tu sù, che se’ valente!». + +Conobbi allor chi era, e quella angoscia +che m’avacciava un poco ancor la lena, +non m’impedì l’andare a lui; e poscia + +ch’a lui fu’ giunto, alzò la testa a pena, +dicendo: «Hai ben veduto come ’l sole +da l’omero sinistro il carro mena?». + +Li atti suoi pigri e le corte parole +mosser le labbra mie un poco a riso; +poi cominciai: «Belacqua, a me non dole + +di te omai; ma dimmi: perché assiso +quiritto se’? attendi tu iscorta, +o pur lo modo usato t’ha’ ripriso?». + +Ed elli: «O frate, andar in sù che porta? +ché non mi lascerebbe ire a’ martìri +l’angel di Dio che siede in su la porta. + +Prima convien che tanto il ciel m’aggiri +di fuor da essa, quanto fece in vita, +per ch’io ’ndugiai al fine i buon sospiri, + +se orazïone in prima non m’aita +che surga sù di cuor che in grazia viva; +l’altra che val, che ’n ciel non è udita?». + +E già il poeta innanzi mi saliva, +e dicea: «Vienne omai; vedi ch’è tocco +meridïan dal sole e a la riva + +cuopre la notte già col piè Morrocco». + + + +Purgatorio · Canto V + + +Io era già da quell’ ombre partito, +e seguitava l’orme del mio duca, +quando di retro a me, drizzando ’l dito, + +una gridò: «Ve’ che non par che luca +lo raggio da sinistra a quel di sotto, +e come vivo par che si conduca!». + +Li occhi rivolsi al suon di questo motto, +e vidile guardar per maraviglia +pur me, pur me, e ’l lume ch’era rotto. + +«Perché l’animo tuo tanto s’impiglia», +disse ’l maestro, «che l’andare allenti? +che ti fa ciò che quivi si pispiglia? + +Vien dietro a me, e lascia dir le genti: +sta come torre ferma, che non crolla +già mai la cima per soffiar di venti; + +ché sempre l’omo in cui pensier rampolla +sovra pensier, da sé dilunga il segno, +perché la foga l’un de l’altro insolla». + +Che potea io ridir, se non «Io vegno»? +Dissilo, alquanto del color consperso +che fa l’uom di perdon talvolta degno. + +E ’ntanto per la costa di traverso +venivan genti innanzi a noi un poco, +cantando ‘Miserere’ a verso a verso. + +Quando s’accorser ch’i’ non dava loco +per lo mio corpo al trapassar d’i raggi, +mutar lor canto in un «oh!» lungo e roco; + +e due di loro, in forma di messaggi, +corsero incontr’ a noi e dimandarne: +«Di vostra condizion fatene saggi». + +E ’l mio maestro: «Voi potete andarne +e ritrarre a color che vi mandaro +che ’l corpo di costui è vera carne. + +Se per veder la sua ombra restaro, +com’ io avviso, assai è lor risposto: +fàccianli onore, ed esser può lor caro». + +Vapori accesi non vid’ io sì tosto +di prima notte mai fender sereno, +né, sol calando, nuvole d’agosto, + +che color non tornasser suso in meno; +e, giunti là, con li altri a noi dier volta, +come schiera che scorre sanza freno. + +«Questa gente che preme a noi è molta, +e vegnonti a pregar», disse ’l poeta: +«però pur va, e in andando ascolta». + +«O anima che vai per esser lieta +con quelle membra con le quai nascesti», +venian gridando, «un poco il passo queta. + +Guarda s’alcun di noi unqua vedesti, +sì che di lui di là novella porti: +deh, perché vai? deh, perché non t’arresti? + +Noi fummo tutti già per forza morti, +e peccatori infino a l’ultima ora; +quivi lume del ciel ne fece accorti, + +sì che, pentendo e perdonando, fora +di vita uscimmo a Dio pacificati, +che del disio di sé veder n’accora». + +E io: «Perché ne’ vostri visi guati, +non riconosco alcun; ma s’a voi piace +cosa ch’io possa, spiriti ben nati, + +voi dite, e io farò per quella pace +che, dietro a’ piedi di sì fatta guida, +di mondo in mondo cercar mi si face». + +E uno incominciò: «Ciascun si fida +del beneficio tuo sanza giurarlo, +pur che ’l voler nonpossa non ricida. + +Ond’ io, che solo innanzi a li altri parlo, +ti priego, se mai vedi quel paese +che siede tra Romagna e quel di Carlo, + +che tu mi sie di tuoi prieghi cortese +in Fano, sì che ben per me s’adori +pur ch’i’ possa purgar le gravi offese. + +Quindi fu’ io; ma li profondi fóri +ond’ uscì ’l sangue in sul quale io sedea, +fatti mi fuoro in grembo a li Antenori, + +là dov’ io più sicuro esser credea: +quel da Esti il fé far, che m’avea in ira +assai più là che dritto non volea. + +Ma s’io fosse fuggito inver’ la Mira, +quando fu’ sovragiunto ad Orïaco, +ancor sarei di là dove si spira. + +Corsi al palude, e le cannucce e ’l braco +m’impigliar sì ch’i’ caddi; e lì vid’ io +de le mie vene farsi in terra laco». + +Poi disse un altro: «Deh, se quel disio +si compia che ti tragge a l’alto monte, +con buona pïetate aiuta il mio! + +Io fui di Montefeltro, io son Bonconte; +Giovanna o altri non ha di me cura; +per ch’io vo tra costor con bassa fronte». + +E io a lui: «Qual forza o qual ventura +ti travïò sì fuor di Campaldino, +che non si seppe mai tua sepultura?». + +«Oh!», rispuos’ elli, «a piè del Casentino +traversa un’acqua c’ha nome l’Archiano, +che sovra l’Ermo nasce in Apennino. + +Là ’ve ’l vocabol suo diventa vano, +arriva’ io forato ne la gola, +fuggendo a piede e sanguinando il piano. + +Quivi perdei la vista e la parola; +nel nome di Maria fini’, e quivi +caddi, e rimase la mia carne sola. + +Io dirò vero, e tu ’l ridì tra ’ vivi: +l’angel di Dio mi prese, e quel d’inferno +gridava: “O tu del ciel, perché mi privi? + +Tu te ne porti di costui l’etterno +per una lagrimetta che ’l mi toglie; +ma io farò de l’altro altro governo!”. + +Ben sai come ne l’aere si raccoglie +quell’ umido vapor che in acqua riede, +tosto che sale dove ’l freddo il coglie. + +Giunse quel mal voler che pur mal chiede +con lo ’ntelletto, e mosse il fummo e ’l vento +per la virtù che sua natura diede. + +Indi la valle, come ’l dì fu spento, +da Pratomagno al gran giogo coperse +di nebbia; e ’l ciel di sopra fece intento, + +sì che ’l pregno aere in acqua si converse; +la pioggia cadde, e a’ fossati venne +di lei ciò che la terra non sofferse; + +e come ai rivi grandi si convenne, +ver’ lo fiume real tanto veloce +si ruinò, che nulla la ritenne. + +Lo corpo mio gelato in su la foce +trovò l’Archian rubesto; e quel sospinse +ne l’Arno, e sciolse al mio petto la croce + +ch’i’ fe’ di me quando ’l dolor mi vinse; +voltòmmi per le ripe e per lo fondo, +poi di sua preda mi coperse e cinse». + +«Deh, quando tu sarai tornato al mondo +e riposato de la lunga via», +seguitò ’l terzo spirito al secondo, + +«ricorditi di me, che son la Pia; +Siena mi fé, disfecemi Maremma: +salsi colui che ’nnanellata pria + +disposando m’avea con la sua gemma». + + + +Purgatorio · Canto VI + + +Quando si parte il gioco de la zara, +colui che perde si riman dolente, +repetendo le volte, e tristo impara; + +con l’altro se ne va tutta la gente; +qual va dinanzi, e qual di dietro il prende, +e qual dallato li si reca a mente; + +el non s’arresta, e questo e quello intende; +a cui porge la man, più non fa pressa; +e così da la calca si difende. + +Tal era io in quella turba spessa, +volgendo a loro, e qua e là, la faccia, +e promettendo mi sciogliea da essa. + +Quiv’ era l’Aretin che da le braccia +fiere di Ghin di Tacco ebbe la morte, +e l’altro ch’annegò correndo in caccia. + +Quivi pregava con le mani sporte +Federigo Novello, e quel da Pisa +che fé parer lo buon Marzucco forte. + +Vidi conte Orso e l’anima divisa +dal corpo suo per astio e per inveggia, +com’ e’ dicea, non per colpa commisa; + +Pier da la Broccia dico; e qui proveggia, +mentr’ è di qua, la donna di Brabante, +sì che però non sia di peggior greggia. + +Come libero fui da tutte quante +quell’ ombre che pregar pur ch’altri prieghi, +sì che s’avacci lor divenir sante, + +io cominciai: «El par che tu mi nieghi, +o luce mia, espresso in alcun testo +che decreto del cielo orazion pieghi; + +e questa gente prega pur di questo: +sarebbe dunque loro speme vana, +o non m’è ’l detto tuo ben manifesto?». + +Ed elli a me: «La mia scrittura è piana; +e la speranza di costor non falla, +se ben si guarda con la mente sana; + +ché cima di giudicio non s’avvalla +perché foco d’amor compia in un punto +ciò che de’ sodisfar chi qui s’astalla; + +e là dov’ io fermai cotesto punto, +non s’ammendava, per pregar, difetto, +perché ’l priego da Dio era disgiunto. + +Veramente a così alto sospetto +non ti fermar, se quella nol ti dice +che lume fia tra ’l vero e lo ’ntelletto. + +Non so se ’ntendi: io dico di Beatrice; +tu la vedrai di sopra, in su la vetta +di questo monte, ridere e felice». + +E io: «Segnore, andiamo a maggior fretta, +ché già non m’affatico come dianzi, +e vedi omai che ’l poggio l’ombra getta». + +«Noi anderem con questo giorno innanzi», +rispuose, «quanto più potremo omai; +ma ’l fatto è d’altra forma che non stanzi. + +Prima che sie là sù, tornar vedrai +colui che già si cuopre de la costa, +sì che ’ suoi raggi tu romper non fai. + +Ma vedi là un’anima che, posta +sola soletta, inverso noi riguarda: +quella ne ’nsegnerà la via più tosta». + +Venimmo a lei: o anima lombarda, +come ti stavi altera e disdegnosa +e nel mover de li occhi onesta e tarda! + +Ella non ci dicëa alcuna cosa, +ma lasciavane gir, solo sguardando +a guisa di leon quando si posa. + +Pur Virgilio si trasse a lei, pregando +che ne mostrasse la miglior salita; +e quella non rispuose al suo dimando, + +ma di nostro paese e de la vita +ci ’nchiese; e ’l dolce duca incominciava +«Mantüa . . . », e l’ombra, tutta in sé romita, + +surse ver’ lui del loco ove pria stava, +dicendo: «O Mantoano, io son Sordello +de la tua terra!»; e l’un l’altro abbracciava. + +Ahi serva Italia, di dolore ostello, +nave sanza nocchiere in gran tempesta, +non donna di province, ma bordello! + +Quell’ anima gentil fu così presta, +sol per lo dolce suon de la sua terra, +di fare al cittadin suo quivi festa; + +e ora in te non stanno sanza guerra +li vivi tuoi, e l’un l’altro si rode +di quei ch’un muro e una fossa serra. + +Cerca, misera, intorno da le prode +le tue marine, e poi ti guarda in seno, +s’alcuna parte in te di pace gode. + +Che val perché ti racconciasse il freno +Iustinïano, se la sella è vòta? +Sanz’ esso fora la vergogna meno. + +Ahi gente che dovresti esser devota, +e lasciar seder Cesare in la sella, +se bene intendi ciò che Dio ti nota, + +guarda come esta fiera è fatta fella +per non esser corretta da li sproni, +poi che ponesti mano a la predella. + +O Alberto tedesco ch’abbandoni +costei ch’è fatta indomita e selvaggia, +e dovresti inforcar li suoi arcioni, + +giusto giudicio da le stelle caggia +sovra ’l tuo sangue, e sia novo e aperto, +tal che ’l tuo successor temenza n’aggia! + +Ch’avete tu e ’l tuo padre sofferto, +per cupidigia di costà distretti, +che ’l giardin de lo ’mperio sia diserto. + +Vieni a veder Montecchi e Cappelletti, +Monaldi e Filippeschi, uom sanza cura: +color già tristi, e questi con sospetti! + +Vien, crudel, vieni, e vedi la pressura +d’i tuoi gentili, e cura lor magagne; +e vedrai Santafior com’ è oscura! + +Vieni a veder la tua Roma che piagne +vedova e sola, e dì e notte chiama: +«Cesare mio, perché non m’accompagne?». + +Vieni a veder la gente quanto s’ama! +e se nulla di noi pietà ti move, +a vergognar ti vien de la tua fama. + +E se licito m’è, o sommo Giove +che fosti in terra per noi crucifisso, +son li giusti occhi tuoi rivolti altrove? + +O è preparazion che ne l’abisso +del tuo consiglio fai per alcun bene +in tutto de l’accorger nostro scisso? + +Ché le città d’Italia tutte piene +son di tiranni, e un Marcel diventa +ogne villan che parteggiando viene. + +Fiorenza mia, ben puoi esser contenta +di questa digression che non ti tocca, +mercé del popol tuo che si argomenta. + +Molti han giustizia in cuore, e tardi scocca +per non venir sanza consiglio a l’arco; +ma il popol tuo l’ha in sommo de la bocca. + +Molti rifiutan lo comune incarco; +ma il popol tuo solicito risponde +sanza chiamare, e grida: «I’ mi sobbarco!». + +Or ti fa lieta, ché tu hai ben onde: +tu ricca, tu con pace e tu con senno! +S’io dico ’l ver, l’effetto nol nasconde. + +Atene e Lacedemona, che fenno +l’antiche leggi e furon sì civili, +fecero al viver bene un picciol cenno + +verso di te, che fai tanto sottili +provedimenti, ch’a mezzo novembre +non giugne quel che tu d’ottobre fili. + +Quante volte, del tempo che rimembre, +legge, moneta, officio e costume +hai tu mutato, e rinovate membre! + +E se ben ti ricordi e vedi lume, +vedrai te somigliante a quella inferma +che non può trovar posa in su le piume, + +ma con dar volta suo dolore scherma. + + + +Purgatorio · Canto VII + + +Poscia che l’accoglienze oneste e liete +furo iterate tre e quattro volte, +Sordel si trasse, e disse: «Voi, chi siete?». + +«Anzi che a questo monte fosser volte +l’anime degne di salire a Dio, +fur l’ossa mie per Ottavian sepolte. + +Io son Virgilio; e per null’ altro rio +lo ciel perdei che per non aver fé». +Così rispuose allora il duca mio. + +Qual è colui che cosa innanzi sé +sùbita vede ond’ e’ si maraviglia, +che crede e non, dicendo «Ella è . . . non è . . . », + +tal parve quelli; e poi chinò le ciglia, +e umilmente ritornò ver’ lui, +e abbracciòl là ’ve ’l minor s’appiglia. + +«O gloria di Latin», disse, «per cui +mostrò ciò che potea la lingua nostra, +o pregio etterno del loco ond’ io fui, + +qual merito o qual grazia mi ti mostra? +S’io son d’udir le tue parole degno, +dimmi se vien d’inferno, e di qual chiostra». + +«Per tutt’ i cerchi del dolente regno», +rispuose lui, «son io di qua venuto; +virtù del ciel mi mosse, e con lei vegno. + +Non per far, ma per non fare ho perduto +a veder l’alto Sol che tu disiri +e che fu tardi per me conosciuto. + +Luogo è là giù non tristo di martìri, +ma di tenebre solo, ove i lamenti +non suonan come guai, ma son sospiri. + +Quivi sto io coi pargoli innocenti +dai denti morsi de la morte avante +che fosser da l’umana colpa essenti; + +quivi sto io con quei che le tre sante +virtù non si vestiro, e sanza vizio +conobber l’altre e seguir tutte quante. + +Ma se tu sai e puoi, alcuno indizio +dà noi per che venir possiam più tosto +là dove purgatorio ha dritto inizio». + +Rispuose: «Loco certo non c’è posto; +licito m’è andar suso e intorno; +per quanto ir posso, a guida mi t’accosto. + +Ma vedi già come dichina il giorno, +e andar sù di notte non si puote; +però è buon pensar di bel soggiorno. + +Anime sono a destra qua remote; +se mi consenti, io ti merrò ad esse, +e non sanza diletto ti fier note». + +«Com’ è ciò?», fu risposto. «Chi volesse +salir di notte, fora elli impedito +d’altrui, o non sarria ché non potesse?». + +E ’l buon Sordello in terra fregò ’l dito, +dicendo: «Vedi? sola questa riga +non varcheresti dopo ’l sol partito: + +non però ch’altra cosa desse briga, +che la notturna tenebra, ad ir suso; +quella col nonpoder la voglia intriga. + +Ben si poria con lei tornare in giuso +e passeggiar la costa intorno errando, +mentre che l’orizzonte il dì tien chiuso». + +Allora il mio segnor, quasi ammirando, +«Menane», disse, «dunque là ’ve dici +ch’aver si può diletto dimorando». + +Poco allungati c’eravam di lici, +quand’ io m’accorsi che ’l monte era scemo, +a guisa che i vallon li sceman quici. + +«Colà», disse quell’ ombra, «n’anderemo +dove la costa face di sé grembo; +e là il novo giorno attenderemo». + +Tra erto e piano era un sentiero schembo, +che ne condusse in fianco de la lacca, +là dove più ch’a mezzo muore il lembo. + +Oro e argento fine, cocco e biacca, +indaco, legno lucido e sereno, +fresco smeraldo in l’ora che si fiacca, + +da l’erba e da li fior, dentr’ a quel seno +posti, ciascun saria di color vinto, +come dal suo maggiore è vinto il meno. + +Non avea pur natura ivi dipinto, +ma di soavità di mille odori +vi facea uno incognito e indistinto. + +‘Salve, Regina’ in sul verde e ’n su’ fiori +quindi seder cantando anime vidi, +che per la valle non parean di fuori. + +«Prima che ’l poco sole omai s’annidi», +cominciò ’l Mantoan che ci avea vòlti, +«tra color non vogliate ch’io vi guidi. + +Di questo balzo meglio li atti e ’ volti +conoscerete voi di tutti quanti, +che ne la lama giù tra essi accolti. + +Colui che più siede alto e fa sembianti +d’aver negletto ciò che far dovea, +e che non move bocca a li altrui canti, + +Rodolfo imperador fu, che potea +sanar le piaghe c’hanno Italia morta, +sì che tardi per altri si ricrea. + +L’altro che ne la vista lui conforta, +resse la terra dove l’acqua nasce +che Molta in Albia, e Albia in mar ne porta: + +Ottacchero ebbe nome, e ne le fasce +fu meglio assai che Vincislao suo figlio +barbuto, cui lussuria e ozio pasce. + +E quel nasetto che stretto a consiglio +par con colui c’ha sì benigno aspetto, +morì fuggendo e disfiorando il giglio: + +guardate là come si batte il petto! +L’altro vedete c’ha fatto a la guancia +de la sua palma, sospirando, letto. + +Padre e suocero son del mal di Francia: +sanno la vita sua viziata e lorda, +e quindi viene il duol che sì li lancia. + +Quel che par sì membruto e che s’accorda, +cantando, con colui dal maschio naso, +d’ogne valor portò cinta la corda; + +e se re dopo lui fosse rimaso +lo giovanetto che retro a lui siede, +ben andava il valor di vaso in vaso, + +che non si puote dir de l’altre rede; +Iacomo e Federigo hanno i reami; +del retaggio miglior nessun possiede. + +Rade volte risurge per li rami +l’umana probitate; e questo vole +quei che la dà, perché da lui si chiami. + +Anche al nasuto vanno mie parole +non men ch’a l’altro, Pier, che con lui canta, +onde Puglia e Proenza già si dole. + +Tant’ è del seme suo minor la pianta, +quanto, più che Beatrice e Margherita, +Costanza di marito ancor si vanta. + +Vedete il re de la semplice vita +seder là solo, Arrigo d’Inghilterra: +questi ha ne’ rami suoi migliore uscita. + +Quel che più basso tra costor s’atterra, +guardando in suso, è Guiglielmo marchese, +per cui e Alessandria e la sua guerra + +fa pianger Monferrato e Canavese». + + + +Purgatorio · Canto VIII + + +Era già l’ora che volge il disio +ai navicanti e ’ntenerisce il core +lo dì c’han detto ai dolci amici addio; + +e che lo novo peregrin d’amore +punge, se ode squilla di lontano +che paia il giorno pianger che si more; + +quand’ io incominciai a render vano +l’udire e a mirare una de l’alme +surta, che l’ascoltar chiedea con mano. + +Ella giunse e levò ambo le palme, +ficcando li occhi verso l’orïente, +come dicesse a Dio: ‘D’altro non calme’. + +‘Te lucis ante’ sì devotamente +le uscìo di bocca e con sì dolci note, +che fece me a me uscir di mente; + +e l’altre poi dolcemente e devote +seguitar lei per tutto l’inno intero, +avendo li occhi a le superne rote. + +Aguzza qui, lettor, ben li occhi al vero, +ché ’l velo è ora ben tanto sottile, +certo che ’l trapassar dentro è leggero. + +Io vidi quello essercito gentile +tacito poscia riguardare in sùe, +quasi aspettando, palido e umìle; + +e vidi uscir de l’alto e scender giùe +due angeli con due spade affocate, +tronche e private de le punte sue. + +Verdi come fogliette pur mo nate +erano in veste, che da verdi penne +percosse traean dietro e ventilate. + +L’un poco sovra noi a star si venne, +e l’altro scese in l’opposita sponda, +sì che la gente in mezzo si contenne. + +Ben discernëa in lor la testa bionda; +ma ne la faccia l’occhio si smarria, +come virtù ch’a troppo si confonda. + +«Ambo vegnon del grembo di Maria», +disse Sordello, «a guardia de la valle, +per lo serpente che verrà vie via». + +Ond’ io, che non sapeva per qual calle, +mi volsi intorno, e stretto m’accostai, +tutto gelato, a le fidate spalle. + +E Sordello anco: «Or avvalliamo omai +tra le grandi ombre, e parleremo ad esse; +grazïoso fia lor vedervi assai». + +Solo tre passi credo ch’i’ scendesse, +e fui di sotto, e vidi un che mirava +pur me, come conoscer mi volesse. + +Temp’ era già che l’aere s’annerava, +ma non sì che tra li occhi suoi e ’ miei +non dichiarisse ciò che pria serrava. + +Ver’ me si fece, e io ver’ lui mi fei: +giudice Nin gentil, quanto mi piacque +quando ti vidi non esser tra ’ rei! + +Nullo bel salutar tra noi si tacque; +poi dimandò: «Quant’ è che tu venisti +a piè del monte per le lontane acque?». + +«Oh!», diss’ io lui, «per entro i luoghi tristi +venni stamane, e sono in prima vita, +ancor che l’altra, sì andando, acquisti». + +E come fu la mia risposta udita, +Sordello ed elli in dietro si raccolse +come gente di sùbito smarrita. + +L’uno a Virgilio e l’altro a un si volse +che sedea lì, gridando: «Sù, Currado! +vieni a veder che Dio per grazia volse». + +Poi, vòlto a me: «Per quel singular grado +che tu dei a colui che sì nasconde +lo suo primo perché, che non lì è guado, + +quando sarai di là da le larghe onde, +dì a Giovanna mia che per me chiami +là dove a li ’nnocenti si risponde. + +Non credo che la sua madre più m’ami, +poscia che trasmutò le bianche bende, +le quai convien che, misera!, ancor brami. + +Per lei assai di lieve si comprende +quanto in femmina foco d’amor dura, +se l’occhio o ’l tatto spesso non l’accende. + +Non le farà sì bella sepultura +la vipera che Melanesi accampa, +com’ avria fatto il gallo di Gallura». + +Così dicea, segnato de la stampa, +nel suo aspetto, di quel dritto zelo +che misuratamente in core avvampa. + +Li occhi miei ghiotti andavan pur al cielo, +pur là dove le stelle son più tarde, +sì come rota più presso a lo stelo. + +E ’l duca mio: «Figliuol, che là sù guarde?». +E io a lui: «A quelle tre facelle +di che ’l polo di qua tutto quanto arde». + +Ond’ elli a me: «Le quattro chiare stelle +che vedevi staman, son di là basse, +e queste son salite ov’ eran quelle». + +Com’ ei parlava, e Sordello a sé il trasse +dicendo: «Vedi là ’l nostro avversaro»; +e drizzò il dito perché ’n là guardasse. + +Da quella parte onde non ha riparo +la picciola vallea, era una biscia, +forse qual diede ad Eva il cibo amaro. + +Tra l’erba e ’ fior venìa la mala striscia, +volgendo ad ora ad or la testa, e ’l dosso +leccando come bestia che si liscia. + +Io non vidi, e però dicer non posso, +come mosser li astor celestïali; +ma vidi bene e l’uno e l’altro mosso. + +Sentendo fender l’aere a le verdi ali, +fuggì ’l serpente, e li angeli dier volta, +suso a le poste rivolando iguali. + +L’ombra che s’era al giudice raccolta +quando chiamò, per tutto quello assalto +punto non fu da me guardare sciolta. + +«Se la lucerna che ti mena in alto +truovi nel tuo arbitrio tanta cera +quant’ è mestiere infino al sommo smalto», + +cominciò ella, «se novella vera +di Val di Magra o di parte vicina +sai, dillo a me, che già grande là era. + +Fui chiamato Currado Malaspina; +non son l’antico, ma di lui discesi; +a’ miei portai l’amor che qui raffina». + +«Oh!», diss’ io lui, «per li vostri paesi +già mai non fui; ma dove si dimora +per tutta Europa ch’ei non sien palesi? + +La fama che la vostra casa onora, +grida i segnori e grida la contrada, +sì che ne sa chi non vi fu ancora; + +e io vi giuro, s’io di sopra vada, +che vostra gente onrata non si sfregia +del pregio de la borsa e de la spada. + +Uso e natura sì la privilegia, +che, perché il capo reo il mondo torca, +sola va dritta e ’l mal cammin dispregia». + +Ed elli: «Or va; che ’l sol non si ricorca +sette volte nel letto che ’l Montone +con tutti e quattro i piè cuopre e inforca, + +che cotesta cortese oppinïone +ti fia chiavata in mezzo de la testa +con maggior chiovi che d’altrui sermone, + +se corso di giudicio non s’arresta». + + + +Purgatorio · Canto IX + + +La concubina di Titone antico +già s’imbiancava al balco d’orïente, +fuor de le braccia del suo dolce amico; + +di gemme la sua fronte era lucente, +poste in figura del freddo animale +che con la coda percuote la gente; + +e la notte, de’ passi con che sale, +fatti avea due nel loco ov’ eravamo, +e ’l terzo già chinava in giuso l’ale; + +quand’ io, che meco avea di quel d’Adamo, +vinto dal sonno, in su l’erba inchinai +là ’ve già tutti e cinque sedavamo. + +Ne l’ora che comincia i tristi lai +la rondinella presso a la mattina, +forse a memoria de’ suo’ primi guai, + +e che la mente nostra, peregrina +più da la carne e men da’ pensier presa, +a le sue visïon quasi è divina, + +in sogno mi parea veder sospesa +un’aguglia nel ciel con penne d’oro, +con l’ali aperte e a calare intesa; + +ed esser mi parea là dove fuoro +abbandonati i suoi da Ganimede, +quando fu ratto al sommo consistoro. + +Fra me pensava: ‘Forse questa fiede +pur qui per uso, e forse d’altro loco +disdegna di portarne suso in piede’. + +Poi mi parea che, poi rotata un poco, +terribil come folgor discendesse, +e me rapisse suso infino al foco. + +Ivi parea che ella e io ardesse; +e sì lo ’ncendio imaginato cosse, +che convenne che ’l sonno si rompesse. + +Non altrimenti Achille si riscosse, +li occhi svegliati rivolgendo in giro +e non sappiendo là dove si fosse, + +quando la madre da Chirón a Schiro +trafuggò lui dormendo in le sue braccia, +là onde poi li Greci il dipartiro; + +che mi scoss’ io, sì come da la faccia +mi fuggì ’l sonno, e diventa’ ismorto, +come fa l’uom che, spaventato, agghiaccia. + +Dallato m’era solo il mio conforto, +e ’l sole er’ alto già più che due ore, +e ’l viso m’era a la marina torto. + +«Non aver tema», disse il mio segnore; +«fatti sicur, ché noi semo a buon punto; +non stringer, ma rallarga ogne vigore. + +Tu se’ omai al purgatorio giunto: +vedi là il balzo che ’l chiude dintorno; +vedi l’entrata là ’ve par digiunto. + +Dianzi, ne l’alba che procede al giorno, +quando l’anima tua dentro dormia, +sovra li fiori ond’ è là giù addorno + +venne una donna, e disse: “I’ son Lucia; +lasciatemi pigliar costui che dorme; +sì l’agevolerò per la sua via”. + +Sordel rimase e l’altre genti forme; +ella ti tolse, e come ’l dì fu chiaro, +sen venne suso; e io per le sue orme. + +Qui ti posò, ma pria mi dimostraro +li occhi suoi belli quella intrata aperta; +poi ella e ’l sonno ad una se n’andaro». + +A guisa d’uom che ’n dubbio si raccerta +e che muta in conforto sua paura, +poi che la verità li è discoperta, + +mi cambia’ io; e come sanza cura +vide me ’l duca mio, su per lo balzo +si mosse, e io di rietro inver’ l’altura. + +Lettor, tu vedi ben com’ io innalzo +la mia matera, e però con più arte +non ti maravigliar s’io la rincalzo. + +Noi ci appressammo, ed eravamo in parte +che là dove pareami prima rotto, +pur come un fesso che muro diparte, + +vidi una porta, e tre gradi di sotto +per gire ad essa, di color diversi, +e un portier ch’ancor non facea motto. + +E come l’occhio più e più v’apersi, +vidil seder sovra ’l grado sovrano, +tal ne la faccia ch’io non lo soffersi; + +e una spada nuda avëa in mano, +che reflettëa i raggi sì ver’ noi, +ch’io drizzava spesso il viso in vano. + +«Dite costinci: che volete voi?», +cominciò elli a dire, «ov’ è la scorta? +Guardate che ’l venir sù non vi nòi». + +«Donna del ciel, di queste cose accorta», +rispuose ’l mio maestro a lui, «pur dianzi +ne disse: “Andate là: quivi è la porta”». + +«Ed ella i passi vostri in bene avanzi», +ricominciò il cortese portinaio: +«Venite dunque a’ nostri gradi innanzi». + +Là ne venimmo; e lo scaglion primaio +bianco marmo era sì pulito e terso, +ch’io mi specchiai in esso qual io paio. + +Era il secondo tinto più che perso, +d’una petrina ruvida e arsiccia, +crepata per lo lungo e per traverso. + +Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia, +porfido mi parea, sì fiammeggiante +come sangue che fuor di vena spiccia. + +Sovra questo tenëa ambo le piante +l’angel di Dio sedendo in su la soglia +che mi sembiava pietra di diamante. + +Per li tre gradi sù di buona voglia +mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi +umilemente che ’l serrame scioglia». + +Divoto mi gittai a’ santi piedi; +misericordia chiesi e ch’el m’aprisse, +ma tre volte nel petto pria mi diedi. + +Sette P ne la fronte mi descrisse +col punton de la spada, e «Fa che lavi, +quando se’ dentro, queste piaghe» disse. + +Cenere, o terra che secca si cavi, +d’un color fora col suo vestimento; +e di sotto da quel trasse due chiavi. + +L’una era d’oro e l’altra era d’argento; +pria con la bianca e poscia con la gialla +fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento. + +«Quandunque l’una d’este chiavi falla, +che non si volga dritta per la toppa», +diss’ elli a noi, «non s’apre questa calla. + +Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa +d’arte e d’ingegno avanti che diserri, +perch’ ella è quella che ’l nodo digroppa. + +Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri +anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, +pur che la gente a’ piedi mi s’atterri». + +Poi pinse l’uscio a la porta sacrata, +dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti +che di fuor torna chi ’n dietro si guata». + +E quando fuor ne’ cardini distorti +li spigoli di quella regge sacra, +che di metallo son sonanti e forti, + +non rugghiò sì né si mostrò sì acra +Tarpëa, come tolto le fu il buono +Metello, per che poi rimase macra. + +Io mi rivolsi attento al primo tuono, +e ‘Te Deum laudamus’ mi parea +udire in voce mista al dolce suono. + +Tale imagine a punto mi rendea +ciò ch’io udiva, qual prender si suole +quando a cantar con organi si stea; + +ch’or sì or no s’intendon le parole. + + + +Purgatorio · Canto X + + +Poi fummo dentro al soglio de la porta +che ’l mal amor de l’anime disusa, +perché fa parer dritta la via torta, + +sonando la senti’ esser richiusa; +e s’io avesse li occhi vòlti ad essa, +qual fora stata al fallo degna scusa? + +Noi salavam per una pietra fessa, +che si moveva e d’una e d’altra parte, +sì come l’onda che fugge e s’appressa. + +«Qui si conviene usare un poco d’arte», +cominciò ’l duca mio, «in accostarsi +or quinci, or quindi al lato che si parte». + +E questo fece i nostri passi scarsi, +tanto che pria lo scemo de la luna +rigiunse al letto suo per ricorcarsi, + +che noi fossimo fuor di quella cruna; +ma quando fummo liberi e aperti +sù dove il monte in dietro si rauna, + +ïo stancato e amendue incerti +di nostra via, restammo in su un piano +solingo più che strade per diserti. + +Da la sua sponda, ove confina il vano, +al piè de l’alta ripa che pur sale, +misurrebbe in tre volte un corpo umano; + +e quanto l’occhio mio potea trar d’ale, +or dal sinistro e or dal destro fianco, +questa cornice mi parea cotale. + +Là sù non eran mossi i piè nostri anco, +quand’ io conobbi quella ripa intorno +che dritto di salita aveva manco, + +esser di marmo candido e addorno +d’intagli sì, che non pur Policleto, +ma la natura lì avrebbe scorno. + +L’angel che venne in terra col decreto +de la molt’ anni lagrimata pace, +ch’aperse il ciel del suo lungo divieto, + +dinanzi a noi pareva sì verace +quivi intagliato in un atto soave, +che non sembiava imagine che tace. + +Giurato si saria ch’el dicesse ‘Ave!’; +perché iv’ era imaginata quella +ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; + +e avea in atto impressa esta favella +‘Ecce ancilla Deï’, propriamente +come figura in cera si suggella. + +«Non tener pur ad un loco la mente», +disse ’l dolce maestro, che m’avea +da quella parte onde ’l cuore ha la gente. + +Per ch’i’ mi mossi col viso, e vedea +di retro da Maria, da quella costa +onde m’era colui che mi movea, + +un’altra storia ne la roccia imposta; +per ch’io varcai Virgilio, e fe’mi presso, +acciò che fosse a li occhi miei disposta. + +Era intagliato lì nel marmo stesso +lo carro e ’ buoi, traendo l’arca santa, +per che si teme officio non commesso. + +Dinanzi parea gente; e tutta quanta, +partita in sette cori, a’ due mie’ sensi +faceva dir l’un ‘No’, l’altro ‘Sì, canta’. + +Similemente al fummo de li ’ncensi +che v’era imaginato, li occhi e ’l naso +e al sì e al no discordi fensi. + +Lì precedeva al benedetto vaso, +trescando alzato, l’umile salmista, +e più e men che re era in quel caso. + +Di contra, effigïata ad una vista +d’un gran palazzo, Micòl ammirava +sì come donna dispettosa e trista. + +I’ mossi i piè del loco dov’ io stava, +per avvisar da presso un’altra istoria, +che di dietro a Micòl mi biancheggiava. + +Quiv’ era storïata l’alta gloria +del roman principato, il cui valore +mosse Gregorio a la sua gran vittoria; + +i’ dico di Traiano imperadore; +e una vedovella li era al freno, +di lagrime atteggiata e di dolore. + +Intorno a lui parea calcato e pieno +di cavalieri, e l’aguglie ne l’oro +sovr’ essi in vista al vento si movieno. + +La miserella intra tutti costoro +pareva dir: «Segnor, fammi vendetta +di mio figliuol ch’è morto, ond’ io m’accoro»; + +ed elli a lei rispondere: «Or aspetta +tanto ch’i’ torni»; e quella: «Segnor mio», +come persona in cui dolor s’affretta, + +«se tu non torni?»; ed ei: «Chi fia dov’ io, +la ti farà»; ed ella: «L’altrui bene +a te che fia, se ’l tuo metti in oblio?»; + +ond’ elli: «Or ti conforta; ch’ei convene +ch’i’ solva il mio dovere anzi ch’i’ mova: +giustizia vuole e pietà mi ritene». + +Colui che mai non vide cosa nova +produsse esto visibile parlare, +novello a noi perché qui non si trova. + +Mentr’ io mi dilettava di guardare +l’imagini di tante umilitadi, +e per lo fabbro loro a veder care, + +«Ecco di qua, ma fanno i passi radi», +mormorava il poeta, «molte genti: +questi ne ’nvïeranno a li alti gradi». + +Li occhi miei, ch’a mirare eran contenti +per veder novitadi ond’ e’ son vaghi, +volgendosi ver’ lui non furon lenti. + +Non vo’ però, lettor, che tu ti smaghi +di buon proponimento per udire +come Dio vuol che ’l debito si paghi. + +Non attender la forma del martìre: +pensa la succession; pensa ch’al peggio +oltre la gran sentenza non può ire. + +Io cominciai: «Maestro, quel ch’io veggio +muovere a noi, non mi sembian persone, +e non so che, sì nel veder vaneggio». + +Ed elli a me: «La grave condizione +di lor tormento a terra li rannicchia, +sì che ’ miei occhi pria n’ebber tencione. + +Ma guarda fiso là, e disviticchia +col viso quel che vien sotto a quei sassi: +già scorger puoi come ciascun si picchia». + +O superbi cristian, miseri lassi, +che, de la vista de la mente infermi, +fidanza avete ne’ retrosi passi, + +non v’accorgete voi che noi siam vermi +nati a formar l’angelica farfalla, +che vola a la giustizia sanza schermi? + +Di che l’animo vostro in alto galla, +poi siete quasi antomata in difetto, +sì come vermo in cui formazion falla? + +Come per sostentar solaio o tetto, +per mensola talvolta una figura +si vede giugner le ginocchia al petto, + +la qual fa del non ver vera rancura +nascere ’n chi la vede; così fatti +vid’ io color, quando puosi ben cura. + +Vero è che più e meno eran contratti +secondo ch’avien più e meno a dosso; +e qual più pazïenza avea ne li atti, + +piangendo parea dicer: ‘Più non posso’. + + + +Purgatorio · Canto XI + + +«O Padre nostro, che ne’ cieli stai, +non circunscritto, ma per più amore +ch’ai primi effetti di là sù tu hai, + +laudato sia ’l tuo nome e ’l tuo valore +da ogne creatura, com’ è degno +di render grazie al tuo dolce vapore. + +Vegna ver’ noi la pace del tuo regno, +ché noi ad essa non potem da noi, +s’ella non vien, con tutto nostro ingegno. + +Come del suo voler li angeli tuoi +fan sacrificio a te, cantando osanna, +così facciano li uomini de’ suoi. + +Dà oggi a noi la cotidiana manna, +sanza la qual per questo aspro diserto +a retro va chi più di gir s’affanna. + +E come noi lo mal ch’avem sofferto +perdoniamo a ciascuno, e tu perdona +benigno, e non guardar lo nostro merto. + +Nostra virtù che di legger s’adona, +non spermentar con l’antico avversaro, +ma libera da lui che sì la sprona. + +Quest’ ultima preghiera, segnor caro, +già non si fa per noi, ché non bisogna, +ma per color che dietro a noi restaro». + +Così a sé e noi buona ramogna +quell’ ombre orando, andavan sotto ’l pondo, +simile a quel che talvolta si sogna, + +disparmente angosciate tutte a tondo +e lasse su per la prima cornice, +purgando la caligine del mondo. + +Se di là sempre ben per noi si dice, +di qua che dire e far per lor si puote +da quei c’hanno al voler buona radice? + +Ben si de’ loro atar lavar le note +che portar quinci, sì che, mondi e lievi, +possano uscire a le stellate ruote. + +«Deh, se giustizia e pietà vi disgrievi +tosto, sì che possiate muover l’ala, +che secondo il disio vostro vi lievi, + +mostrate da qual mano inver’ la scala +si va più corto; e se c’è più d’un varco, +quel ne ’nsegnate che men erto cala; + +ché questi che vien meco, per lo ’ncarco +de la carne d’Adamo onde si veste, +al montar sù, contra sua voglia, è parco». + +Le lor parole, che rendero a queste +che dette avea colui cu’ io seguiva, +non fur da cui venisser manifeste; + +ma fu detto: «A man destra per la riva +con noi venite, e troverete il passo +possibile a salir persona viva. + +E s’io non fossi impedito dal sasso +che la cervice mia superba doma, +onde portar convienmi il viso basso, + +cotesti, ch’ancor vive e non si noma, +guardere’ io, per veder s’i’ ’l conosco, +e per farlo pietoso a questa soma. + +Io fui latino e nato d’un gran Tosco: +Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre; +non so se ’l nome suo già mai fu vosco. + +L’antico sangue e l’opere leggiadre +d’i miei maggior mi fer sì arrogante, +che, non pensando a la comune madre, + +ogn’ uomo ebbi in despetto tanto avante, +ch’io ne mori’, come i Sanesi sanno, +e sallo in Campagnatico ogne fante. + +Io sono Omberto; e non pur a me danno +superbia fa, ché tutti miei consorti +ha ella tratti seco nel malanno. + +E qui convien ch’io questo peso porti +per lei, tanto che a Dio si sodisfaccia, +poi ch’io nol fe’ tra ’ vivi, qui tra ’ morti». + +Ascoltando chinai in giù la faccia; +e un di lor, non questi che parlava, +si torse sotto il peso che li ’mpaccia, + +e videmi e conobbemi e chiamava, +tenendo li occhi con fatica fisi +a me che tutto chin con loro andava. + +«Oh!», diss’ io lui, «non se’ tu Oderisi, +l’onor d’Agobbio e l’onor di quell’ arte +ch’alluminar chiamata è in Parisi?». + +«Frate», diss’ elli, «più ridon le carte +che pennelleggia Franco Bolognese; +l’onore è tutto or suo, e mio in parte. + +Ben non sare’ io stato sì cortese +mentre ch’io vissi, per lo gran disio +de l’eccellenza ove mio core intese. + +Di tal superbia qui si paga il fio; +e ancor non sarei qui, se non fosse +che, possendo peccar, mi volsi a Dio. + +Oh vana gloria de l’umane posse! +com’ poco verde in su la cima dura, +se non è giunta da l’etati grosse! + +Credette Cimabue ne la pittura +tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, +sì che la fama di colui è scura. + +Così ha tolto l’uno a l’altro Guido +la gloria de la lingua; e forse è nato +chi l’uno e l’altro caccerà del nido. + +Non è il mondan romore altro ch’un fiato +di vento, ch’or vien quinci e or vien quindi, +e muta nome perché muta lato. + +Che voce avrai tu più, se vecchia scindi +da te la carne, che se fossi morto +anzi che tu lasciassi il ‘pappo’ e ’l ‘dindi’, + +pria che passin mill’ anni? ch’è più corto +spazio a l’etterno, ch’un muover di ciglia +al cerchio che più tardi in cielo è torto. + +Colui che del cammin sì poco piglia +dinanzi a me, Toscana sonò tutta; +e ora a pena in Siena sen pispiglia, + +ond’ era sire quando fu distrutta +la rabbia fiorentina, che superba +fu a quel tempo sì com’ ora è putta. + +La vostra nominanza è color d’erba, +che viene e va, e quei la discolora +per cui ella esce de la terra acerba». + +E io a lui: «Tuo vero dir m’incora +bona umiltà, e gran tumor m’appiani; +ma chi è quei di cui tu parlavi ora?». + +«Quelli è», rispuose, «Provenzan Salvani; +ed è qui perché fu presuntüoso +a recar Siena tutta a le sue mani. + +Ito è così e va, sanza riposo, +poi che morì; cotal moneta rende +a sodisfar chi è di là troppo oso». + +E io: «Se quello spirito ch’attende, +pria che si penta, l’orlo de la vita, +qua giù dimora e qua sù non ascende, + +se buona orazïon lui non aita, +prima che passi tempo quanto visse, +come fu la venuta lui largita?». + +«Quando vivea più glorïoso», disse, +«liberamente nel Campo di Siena, +ogne vergogna diposta, s’affisse; + +e lì, per trar l’amico suo di pena, +ch’e’ sostenea ne la prigion di Carlo, +si condusse a tremar per ogne vena. + +Più non dirò, e scuro so che parlo; +ma poco tempo andrà, che ’ tuoi vicini +faranno sì che tu potrai chiosarlo. + +Quest’ opera li tolse quei confini». + + + +Purgatorio · Canto XII + + +Di pari, come buoi che vanno a giogo, +m’andava io con quell’ anima carca, +fin che ’l sofferse il dolce pedagogo. + +Ma quando disse: «Lascia lui e varca; +ché qui è buono con l’ali e coi remi, +quantunque può, ciascun pinger sua barca»; + +dritto sì come andar vuolsi rife’mi +con la persona, avvegna che i pensieri +mi rimanessero e chinati e scemi. + +Io m’era mosso, e seguia volontieri +del mio maestro i passi, e amendue +già mostravam com’ eravam leggeri; + +ed el mi disse: «Volgi li occhi in giùe: +buon ti sarà, per tranquillar la via, +veder lo letto de le piante tue». + +Come, perché di lor memoria sia, +sovra i sepolti le tombe terragne +portan segnato quel ch’elli eran pria, + +onde lì molte volte si ripiagne +per la puntura de la rimembranza, +che solo a’ pïi dà de le calcagne; + +sì vid’ io lì, ma di miglior sembianza +secondo l’artificio, figurato +quanto per via di fuor del monte avanza. + +Vedea colui che fu nobil creato +più ch’altra creatura, giù dal cielo +folgoreggiando scender, da l’un lato. + +Vedëa Brïareo fitto dal telo +celestïal giacer, da l’altra parte, +grave a la terra per lo mortal gelo. + +Vedea Timbreo, vedea Pallade e Marte, +armati ancora, intorno al padre loro, +mirar le membra d’i Giganti sparte. + +Vedea Nembròt a piè del gran lavoro +quasi smarrito, e riguardar le genti +che ’n Sennaàr con lui superbi fuoro. + +O Nïobè, con che occhi dolenti +vedea io te segnata in su la strada, +tra sette e sette tuoi figliuoli spenti! + +O Saùl, come in su la propria spada +quivi parevi morto in Gelboè, +che poi non sentì pioggia né rugiada! + +O folle Aragne, sì vedea io te +già mezza ragna, trista in su li stracci +de l’opera che mal per te si fé. + +O Roboàm, già non par che minacci +quivi ’l tuo segno; ma pien di spavento +nel porta un carro, sanza ch’altri il cacci. + +Mostrava ancor lo duro pavimento +come Almeon a sua madre fé caro +parer lo sventurato addornamento. + +Mostrava come i figli si gittaro +sovra Sennacherìb dentro dal tempio, +e come, morto lui, quivi il lasciaro. + +Mostrava la ruina e ’l crudo scempio +che fé Tamiri, quando disse a Ciro: +«Sangue sitisti, e io di sangue t’empio». + +Mostrava come in rotta si fuggiro +li Assiri, poi che fu morto Oloferne, +e anche le reliquie del martiro. + +Vedeva Troia in cenere e in caverne; +o Ilïón, come te basso e vile +mostrava il segno che lì si discerne! + +Qual di pennel fu maestro o di stile +che ritraesse l’ombre e ’ tratti ch’ivi +mirar farieno uno ingegno sottile? + +Morti li morti e i vivi parean vivi: +non vide mei di me chi vide il vero, +quant’ io calcai, fin che chinato givi. + +Or superbite, e via col viso altero, +figliuoli d’Eva, e non chinate il volto +sì che veggiate il vostro mal sentero! + +Più era già per noi del monte vòlto +e del cammin del sole assai più speso +che non stimava l’animo non sciolto, + +quando colui che sempre innanzi atteso +andava, cominciò: «Drizza la testa; +non è più tempo di gir sì sospeso. + +Vedi colà un angel che s’appresta +per venir verso noi; vedi che torna +dal servigio del dì l’ancella sesta. + +Di reverenza il viso e li atti addorna, +sì che i diletti lo ’nvïarci in suso; +pensa che questo dì mai non raggiorna!». + +Io era ben del suo ammonir uso +pur di non perder tempo, sì che ’n quella +materia non potea parlarmi chiuso. + +A noi venìa la creatura bella, +biancovestito e ne la faccia quale +par tremolando mattutina stella. + +Le braccia aperse, e indi aperse l’ale; +disse: «Venite: qui son presso i gradi, +e agevolemente omai si sale. + +A questo invito vegnon molto radi: +o gente umana, per volar sù nata, +perché a poco vento così cadi?». + +Menocci ove la roccia era tagliata; +quivi mi batté l’ali per la fronte; +poi mi promise sicura l’andata. + +Come a man destra, per salire al monte +dove siede la chiesa che soggioga +la ben guidata sopra Rubaconte, + +si rompe del montar l’ardita foga +per le scalee che si fero ad etade +ch’era sicuro il quaderno e la doga; + +così s’allenta la ripa che cade +quivi ben ratta da l’altro girone; +ma quinci e quindi l’alta pietra rade. + +Noi volgendo ivi le nostre persone, +‘Beati pauperes spiritu!’ voci +cantaron sì, che nol diria sermone. + +Ahi quanto son diverse quelle foci +da l’infernali! ché quivi per canti +s’entra, e là giù per lamenti feroci. + +Già montavam su per li scaglion santi, +ed esser mi parea troppo più lieve +che per lo pian non mi parea davanti. + +Ond’ io: «Maestro, dì, qual cosa greve +levata s’è da me, che nulla quasi +per me fatica, andando, si riceve?». + +Rispuose: «Quando i P che son rimasi +ancor nel volto tuo presso che stinti, +saranno, com’ è l’un, del tutto rasi, + +fier li tuoi piè dal buon voler sì vinti, +che non pur non fatica sentiranno, +ma fia diletto loro esser sù pinti». + +Allor fec’ io come color che vanno +con cosa in capo non da lor saputa, +se non che ’ cenni altrui sospecciar fanno; + +per che la mano ad accertar s’aiuta, +e cerca e truova e quello officio adempie +che non si può fornir per la veduta; + +e con le dita de la destra scempie +trovai pur sei le lettere che ’ncise +quel da le chiavi a me sovra le tempie: + +a che guardando, il mio duca sorrise. + + + +Purgatorio · Canto XIII + + +Noi eravamo al sommo de la scala, +dove secondamente si risega +lo monte che salendo altrui dismala. + +Ivi così una cornice lega +dintorno il poggio, come la primaia; +se non che l’arco suo più tosto piega. + +Ombra non lì è né segno che si paia: +parsi la ripa e parsi la via schietta +col livido color de la petraia. + +«Se qui per dimandar gente s’aspetta», +ragionava il poeta, «io temo forse +che troppo avrà d’indugio nostra eletta». + +Poi fisamente al sole li occhi porse; +fece del destro lato a muover centro, +e la sinistra parte di sé torse. + +«O dolce lume a cui fidanza i’ entro +per lo novo cammin, tu ne conduci», +dicea, «come condur si vuol quinc’ entro. + +Tu scaldi il mondo, tu sovr’ esso luci; +s’altra ragione in contrario non ponta, +esser dien sempre li tuoi raggi duci». + +Quanto di qua per un migliaio si conta, +tanto di là eravam noi già iti, +con poco tempo, per la voglia pronta; + +e verso noi volar furon sentiti, +non però visti, spiriti parlando +a la mensa d’amor cortesi inviti. + +La prima voce che passò volando +‘Vinum non habent’ altamente disse, +e dietro a noi l’andò reïterando. + +E prima che del tutto non si udisse +per allungarsi, un’altra ‘I’ sono Oreste’ +passò gridando, e anco non s’affisse. + +«Oh!», diss’ io, «padre, che voci son queste?». +E com’ io domandai, ecco la terza +dicendo: ‘Amate da cui male aveste’. + +E ’l buon maestro: «Questo cinghio sferza +la colpa de la invidia, e però sono +tratte d’amor le corde de la ferza. + +Lo fren vuol esser del contrario suono; +credo che l’udirai, per mio avviso, +prima che giunghi al passo del perdono. + +Ma ficca li occhi per l’aere ben fiso, +e vedrai gente innanzi a noi sedersi, +e ciascun è lungo la grotta assiso». + +Allora più che prima li occhi apersi; +guarda’mi innanzi, e vidi ombre con manti +al color de la pietra non diversi. + +E poi che fummo un poco più avanti, +udia gridar: ‘Maria, òra per noi’: +gridar ‘Michele’ e ‘Pietro’ e ‘Tutti santi’. + +Non credo che per terra vada ancoi +omo sì duro, che non fosse punto +per compassion di quel ch’i’ vidi poi; + +ché, quando fui sì presso di lor giunto, +che li atti loro a me venivan certi, +per li occhi fui di grave dolor munto. + +Di vil ciliccio mi parean coperti, +e l’un sofferia l’altro con la spalla, +e tutti da la ripa eran sofferti. + +Così li ciechi a cui la roba falla, +stanno a’ perdoni a chieder lor bisogna, +e l’uno il capo sopra l’altro avvalla, + +perché ’n altrui pietà tosto si pogna, +non pur per lo sonar de le parole, +ma per la vista che non meno agogna. + +E come a li orbi non approda il sole, +così a l’ombre quivi, ond’ io parlo ora, +luce del ciel di sé largir non vole; + +ché a tutti un fil di ferro i cigli fóra +e cusce sì, come a sparvier selvaggio +si fa però che queto non dimora. + +A me pareva, andando, fare oltraggio, +veggendo altrui, non essendo veduto: +per ch’io mi volsi al mio consiglio saggio. + +Ben sapev’ ei che volea dir lo muto; +e però non attese mia dimanda, +ma disse: «Parla, e sie breve e arguto». + +Virgilio mi venìa da quella banda +de la cornice onde cader si puote, +perché da nulla sponda s’inghirlanda; + +da l’altra parte m’eran le divote +ombre, che per l’orribile costura +premevan sì, che bagnavan le gote. + +Volsimi a loro e: «O gente sicura», +incominciai, «di veder l’alto lume +che ’l disio vostro solo ha in sua cura, + +se tosto grazia resolva le schiume +di vostra coscïenza sì che chiaro +per essa scenda de la mente il fiume, + +ditemi, ché mi fia grazioso e caro, +s’anima è qui tra voi che sia latina; +e forse lei sarà buon s’i’ l’apparo». + +«O frate mio, ciascuna è cittadina +d’una vera città; ma tu vuo’ dire +che vivesse in Italia peregrina». + +Questo mi parve per risposta udire +più innanzi alquanto che là dov’ io stava, +ond’ io mi feci ancor più là sentire. + +Tra l’altre vidi un’ombra ch’aspettava +in vista; e se volesse alcun dir ‘Come?’, +lo mento a guisa d’orbo in sù levava. + +«Spirto», diss’ io, «che per salir ti dome, +se tu se’ quelli che mi rispondesti, +fammiti conto o per luogo o per nome». + +«Io fui sanese», rispuose, «e con questi +altri rimendo qui la vita ria, +lagrimando a colui che sé ne presti. + +Savia non fui, avvegna che Sapìa +fossi chiamata, e fui de li altrui danni +più lieta assai che di ventura mia. + +E perché tu non creda ch’io t’inganni, +odi s’i’ fui, com’ io ti dico, folle, +già discendendo l’arco d’i miei anni. + +Eran li cittadin miei presso a Colle +in campo giunti co’ loro avversari, +e io pregava Iddio di quel ch’e’ volle. + +Rotti fuor quivi e vòlti ne li amari +passi di fuga; e veggendo la caccia, +letizia presi a tutte altre dispari, + +tanto ch’io volsi in sù l’ardita faccia, +gridando a Dio: “Omai più non ti temo!”, +come fé ’l merlo per poca bonaccia. + +Pace volli con Dio in su lo stremo +de la mia vita; e ancor non sarebbe +lo mio dover per penitenza scemo, + +se ciò non fosse, ch’a memoria m’ebbe +Pier Pettinaio in sue sante orazioni, +a cui di me per caritate increbbe. + +Ma tu chi se’, che nostre condizioni +vai dimandando, e porti li occhi sciolti, +sì com’ io credo, e spirando ragioni?». + +«Li occhi», diss’ io, «mi fieno ancor qui tolti, +ma picciol tempo, ché poca è l’offesa +fatta per esser con invidia vòlti. + +Troppa è più la paura ond’ è sospesa +l’anima mia del tormento di sotto, +che già lo ’ncarco di là giù mi pesa». + +Ed ella a me: «Chi t’ha dunque condotto +qua sù tra noi, se giù ritornar credi?». +E io: «Costui ch’è meco e non fa motto. + +E vivo sono; e però mi richiedi, +spirito eletto, se tu vuo’ ch’i’ mova +di là per te ancor li mortai piedi». + +«Oh, questa è a udir sì cosa nuova», +rispuose, «che gran segno è che Dio t’ami; +però col priego tuo talor mi giova. + +E cheggioti, per quel che tu più brami, +se mai calchi la terra di Toscana, +che a’ miei propinqui tu ben mi rinfami. + +Tu li vedrai tra quella gente vana +che spera in Talamone, e perderagli +più di speranza ch’a trovar la Diana; + +ma più vi perderanno li ammiragli». + + + +Purgatorio · Canto XIV + + +«Chi è costui che ’l nostro monte cerchia +prima che morte li abbia dato il volo, +e apre li occhi a sua voglia e coverchia?». + +«Non so chi sia, ma so ch’e’ non è solo; +domandal tu che più li t’avvicini, +e dolcemente, sì che parli, acco’lo». + +Così due spirti, l’uno a l’altro chini, +ragionavan di me ivi a man dritta; +poi fer li visi, per dirmi, supini; + +e disse l’uno: «O anima che fitta +nel corpo ancora inver’ lo ciel ten vai, +per carità ne consola e ne ditta + +onde vieni e chi se’; ché tu ne fai +tanto maravigliar de la tua grazia, +quanto vuol cosa che non fu più mai». + +E io: «Per mezza Toscana si spazia +un fiumicel che nasce in Falterona, +e cento miglia di corso nol sazia. + +Di sovr’ esso rech’ io questa persona: +dirvi ch’i’ sia, saria parlare indarno, +ché ’l nome mio ancor molto non suona». + +«Se ben lo ’ntendimento tuo accarno +con lo ’ntelletto», allora mi rispuose +quei che diceva pria, «tu parli d’Arno». + +E l’altro disse lui: «Perché nascose +questi il vocabol di quella riviera, +pur com’ om fa de l’orribili cose?». + +E l’ombra che di ciò domandata era, +si sdebitò così: «Non so; ma degno +ben è che ’l nome di tal valle pèra; + +ché dal principio suo, ov’ è sì pregno +l’alpestro monte ond’ è tronco Peloro, +che ’n pochi luoghi passa oltra quel segno, + +infin là ’ve si rende per ristoro +di quel che ’l ciel de la marina asciuga, +ond’ hanno i fiumi ciò che va con loro, + +vertù così per nimica si fuga +da tutti come biscia, o per sventura +del luogo, o per mal uso che li fruga: + +ond’ hanno sì mutata lor natura +li abitator de la misera valle, +che par che Circe li avesse in pastura. + +Tra brutti porci, più degni di galle +che d’altro cibo fatto in uman uso, +dirizza prima il suo povero calle. + +Botoli trova poi, venendo giuso, +ringhiosi più che non chiede lor possa, +e da lor disdegnosa torce il muso. + +Vassi caggendo; e quant’ ella più ’ngrossa, +tanto più trova di can farsi lupi +la maladetta e sventurata fossa. + +Discesa poi per più pelaghi cupi, +trova le volpi sì piene di froda, +che non temono ingegno che le occùpi. + +Né lascerò di dir perch’ altri m’oda; +e buon sarà costui, s’ancor s’ammenta +di ciò che vero spirto mi disnoda. + +Io veggio tuo nepote che diventa +cacciator di quei lupi in su la riva +del fiero fiume, e tutti li sgomenta. + +Vende la carne loro essendo viva; +poscia li ancide come antica belva; +molti di vita e sé di pregio priva. + +Sanguinoso esce de la trista selva; +lasciala tal, che di qui a mille anni +ne lo stato primaio non si rinselva». + +Com’ a l’annunzio di dogliosi danni +si turba il viso di colui ch’ascolta, +da qual che parte il periglio l’assanni, + +così vid’ io l’altr’ anima, che volta +stava a udir, turbarsi e farsi trista, +poi ch’ebbe la parola a sé raccolta. + +Lo dir de l’una e de l’altra la vista +mi fer voglioso di saper lor nomi, +e dimanda ne fei con prieghi mista; + +per che lo spirto che di pria parlòmi +ricominciò: «Tu vuo’ ch’io mi deduca +nel fare a te ciò che tu far non vuo’mi. + +Ma da che Dio in te vuol che traluca +tanto sua grazia, non ti sarò scarso; +però sappi ch’io fui Guido del Duca. + +Fu il sangue mio d’invidia sì rïarso, +che se veduto avesse uom farsi lieto, +visto m’avresti di livore sparso. + +Di mia semente cotal paglia mieto; +o gente umana, perché poni ’l core +là ’v’ è mestier di consorte divieto? + +Questi è Rinier; questi è ’l pregio e l’onore +de la casa da Calboli, ove nullo +fatto s’è reda poi del suo valore. + +E non pur lo suo sangue è fatto brullo, +tra ’l Po e ’l monte e la marina e ’l Reno, +del ben richesto al vero e al trastullo; + +ché dentro a questi termini è ripieno +di venenosi sterpi, sì che tardi +per coltivare omai verrebber meno. + +Ov’ è ’l buon Lizio e Arrigo Mainardi? +Pier Traversaro e Guido di Carpigna? +Oh Romagnuoli tornati in bastardi! + +Quando in Bologna un Fabbro si ralligna? +quando in Faenza un Bernardin di Fosco, +verga gentil di picciola gramigna? + +Non ti maravigliar s’io piango, Tosco, +quando rimembro, con Guido da Prata, +Ugolin d’Azzo che vivette nosco, + +Federigo Tignoso e sua brigata, +la casa Traversara e li Anastagi +(e l’una gente e l’altra è diretata), + +le donne e ’ cavalier, li affanni e li agi +che ne ’nvogliava amore e cortesia +là dove i cuor son fatti sì malvagi. + +O Bretinoro, ché non fuggi via, +poi che gita se n’è la tua famiglia +e molta gente per non esser ria? + +Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia; +e mal fa Castrocaro, e peggio Conio, +che di figliar tai conti più s’impiglia. + +Ben faranno i Pagan, da che ’l demonio +lor sen girà; ma non però che puro +già mai rimagna d’essi testimonio. + +O Ugolin de’ Fantolin, sicuro +è ’l nome tuo, da che più non s’aspetta +chi far lo possa, tralignando, scuro. + +Ma va via, Tosco, omai; ch’or mi diletta +troppo di pianger più che di parlare, +sì m’ha nostra ragion la mente stretta». + +Noi sapavam che quell’ anime care +ci sentivano andar; però, tacendo, +facëan noi del cammin confidare. + +Poi fummo fatti soli procedendo, +folgore parve quando l’aere fende, +voce che giunse di contra dicendo: + +‘Anciderammi qualunque m’apprende’; +e fuggì come tuon che si dilegua, +se sùbito la nuvola scoscende. + +Come da lei l’udir nostro ebbe triegua, +ed ecco l’altra con sì gran fracasso, +che somigliò tonar che tosto segua: + +«Io sono Aglauro che divenni sasso»; +e allor, per ristrignermi al poeta, +in destro feci, e non innanzi, il passo. + +Già era l’aura d’ogne parte queta; +ed el mi disse: «Quel fu ’l duro camo +che dovria l’uom tener dentro a sua meta. + +Ma voi prendete l’esca, sì che l’amo +de l’antico avversaro a sé vi tira; +e però poco val freno o richiamo. + +Chiamavi ’l cielo e ’ntorno vi si gira, +mostrandovi le sue bellezze etterne, +e l’occhio vostro pur a terra mira; + +onde vi batte chi tutto discerne». + + + +Purgatorio · Canto XV + + +Quanto tra l’ultimar de l’ora terza +e ’l principio del dì par de la spera +che sempre a guisa di fanciullo scherza, + +tanto pareva già inver’ la sera +essere al sol del suo corso rimaso; +vespero là, e qui mezza notte era. + +E i raggi ne ferien per mezzo ’l naso, +perché per noi girato era sì ’l monte, +che già dritti andavamo inver’ l’occaso, + +quand’ io senti’ a me gravar la fronte +a lo splendore assai più che di prima, +e stupor m’eran le cose non conte; + +ond’ io levai le mani inver’ la cima +de le mie ciglia, e fecimi ’l solecchio, +che del soverchio visibile lima. + +Come quando da l’acqua o da lo specchio +salta lo raggio a l’opposita parte, +salendo su per lo modo parecchio + +a quel che scende, e tanto si diparte +dal cader de la pietra in igual tratta, +sì come mostra esperïenza e arte; + +così mi parve da luce rifratta +quivi dinanzi a me esser percosso; +per che a fuggir la mia vista fu ratta. + +«Che è quel, dolce padre, a che non posso +schermar lo viso tanto che mi vaglia», +diss’ io, «e pare inver’ noi esser mosso?». + +«Non ti maravigliar s’ancor t’abbaglia +la famiglia del cielo», a me rispuose: +«messo è che viene ad invitar ch’om saglia. + +Tosto sarà ch’a veder queste cose +non ti fia grave, ma fieti diletto +quanto natura a sentir ti dispuose». + +Poi giunti fummo a l’angel benedetto, +con lieta voce disse: «Intrate quinci +ad un scaleo vie men che li altri eretto». + +Noi montavam, già partiti di linci, +e ‘Beati misericordes!’ fue +cantato retro, e ‘Godi tu che vinci!’. + +Lo mio maestro e io soli amendue +suso andavamo; e io pensai, andando, +prode acquistar ne le parole sue; + +e dirizza’mi a lui sì dimandando: +«Che volse dir lo spirto di Romagna, +e ‘divieto’ e ‘consorte’ menzionando?». + +Per ch’elli a me: «Di sua maggior magagna +conosce il danno; e però non s’ammiri +se ne riprende perché men si piagna. + +Perché s’appuntano i vostri disiri +dove per compagnia parte si scema, +invidia move il mantaco a’ sospiri. + +Ma se l’amor de la spera supprema +torcesse in suso il disiderio vostro, +non vi sarebbe al petto quella tema; + +ché, per quanti si dice più lì ‘nostro’, +tanto possiede più di ben ciascuno, +e più di caritate arde in quel chiostro». + +«Io son d’esser contento più digiuno», +diss’ io, «che se mi fosse pria taciuto, +e più di dubbio ne la mente aduno. + +Com’ esser puote ch’un ben, distributo +in più posseditor, faccia più ricchi +di sé che se da pochi è posseduto?». + +Ed elli a me: «Però che tu rificchi +la mente pur a le cose terrene, +di vera luce tenebre dispicchi. + +Quello infinito e ineffabil bene +che là sù è, così corre ad amore +com’ a lucido corpo raggio vene. + +Tanto si dà quanto trova d’ardore; +sì che, quantunque carità si stende, +cresce sovr’ essa l’etterno valore. + +E quanta gente più là sù s’intende, +più v’è da bene amare, e più vi s’ama, +e come specchio l’uno a l’altro rende. + +E se la mia ragion non ti disfama, +vedrai Beatrice, ed ella pienamente +ti torrà questa e ciascun’ altra brama. + +Procaccia pur che tosto sieno spente, +come son già le due, le cinque piaghe, +che si richiudon per esser dolente». + +Com’ io voleva dicer ‘Tu m’appaghe’, +vidimi giunto in su l’altro girone, +sì che tacer mi fer le luci vaghe. + +Ivi mi parve in una visïone +estatica di sùbito esser tratto, +e vedere in un tempio più persone; + +e una donna, in su l’entrar, con atto +dolce di madre dicer: «Figliuol mio, +perché hai tu così verso noi fatto? + +Ecco, dolenti, lo tuo padre e io +ti cercavamo». E come qui si tacque, +ciò che pareva prima, dispario. + +Indi m’apparve un’altra con quell’ acque +giù per le gote che ’l dolor distilla +quando di gran dispetto in altrui nacque, + +e dir: «Se tu se’ sire de la villa +del cui nome ne’ dèi fu tanta lite, +e onde ogne scïenza disfavilla, + +vendica te di quelle braccia ardite +ch’abbracciar nostra figlia, o Pisistràto». +E ’l segnor mi parea, benigno e mite, + +risponder lei con viso temperato: +«Che farem noi a chi mal ne disira, +se quei che ci ama è per noi condannato?», + +Poi vidi genti accese in foco d’ira +con pietre un giovinetto ancider, forte +gridando a sé pur: «Martira, martira!». + +E lui vedea chinarsi, per la morte +che l’aggravava già, inver’ la terra, +ma de li occhi facea sempre al ciel porte, + +orando a l’alto Sire, in tanta guerra, +che perdonasse a’ suoi persecutori, +con quello aspetto che pietà diserra. + +Quando l’anima mia tornò di fori +a le cose che son fuor di lei vere, +io riconobbi i miei non falsi errori. + +Lo duca mio, che mi potea vedere +far sì com’ om che dal sonno si slega, +disse: «Che hai che non ti puoi tenere, + +ma se’ venuto più che mezza lega +velando li occhi e con le gambe avvolte, +a guisa di cui vino o sonno piega?». + +«O dolce padre mio, se tu m’ascolte, +io ti dirò», diss’ io, «ciò che m’apparve +quando le gambe mi furon sì tolte». + +Ed ei: «Se tu avessi cento larve +sovra la faccia, non mi sarian chiuse +le tue cogitazion, quantunque parve. + +Ciò che vedesti fu perché non scuse +d’aprir lo core a l’acque de la pace +che da l’etterno fonte son diffuse. + +Non dimandai “Che hai?” per quel che face +chi guarda pur con l’occhio che non vede, +quando disanimato il corpo giace; + +ma dimandai per darti forza al piede: +così frugar conviensi i pigri, lenti +ad usar lor vigilia quando riede». + +Noi andavam per lo vespero, attenti +oltre quanto potean li occhi allungarsi +contra i raggi serotini e lucenti. + +Ed ecco a poco a poco un fummo farsi +verso di noi come la notte oscuro; +né da quello era loco da cansarsi. + +Questo ne tolse li occhi e l’aere puro. + + + +Purgatorio · Canto XVI + + +Buio d’inferno e di notte privata +d’ogne pianeto, sotto pover cielo, +quant’ esser può di nuvol tenebrata, + +non fece al viso mio sì grosso velo +come quel fummo ch’ivi ci coperse, +né a sentir di così aspro pelo, + +che l’occhio stare aperto non sofferse; +onde la scorta mia saputa e fida +mi s’accostò e l’omero m’offerse. + +Sì come cieco va dietro a sua guida +per non smarrirsi e per non dar di cozzo +in cosa che ’l molesti, o forse ancida, + +m’andava io per l’aere amaro e sozzo, +ascoltando il mio duca che diceva +pur: «Guarda che da me tu non sia mozzo». + +Io sentia voci, e ciascuna pareva +pregar per pace e per misericordia +l’Agnel di Dio che le peccata leva. + +Pur ‘Agnus Dei’ eran le loro essordia; +una parola in tutte era e un modo, +sì che parea tra esse ogne concordia. + +«Quei sono spirti, maestro, ch’i’ odo?», +diss’ io. Ed elli a me: «Tu vero apprendi, +e d’iracundia van solvendo il nodo». + +«Or tu chi se’ che ’l nostro fummo fendi, +e di noi parli pur come se tue +partissi ancor lo tempo per calendi?». + +Così per una voce detto fue; +onde ’l maestro mio disse: «Rispondi, +e domanda se quinci si va sùe». + +E io: «O creatura che ti mondi +per tornar bella a colui che ti fece, +maraviglia udirai, se mi secondi». + +«Io ti seguiterò quanto mi lece», +rispuose; «e se veder fummo non lascia, +l’udir ci terrà giunti in quella vece». + +Allora incominciai: «Con quella fascia +che la morte dissolve men vo suso, +e venni qui per l’infernale ambascia. + +E se Dio m’ha in sua grazia rinchiuso, +tanto che vuol ch’i’ veggia la sua corte +per modo tutto fuor del moderno uso, + +non mi celar chi fosti anzi la morte, +ma dilmi, e dimmi s’i’ vo bene al varco; +e tue parole fier le nostre scorte». + +«Lombardo fui, e fu’ chiamato Marco; +del mondo seppi, e quel valore amai +al quale ha or ciascun disteso l’arco. + +Per montar sù dirittamente vai». +Così rispuose, e soggiunse: «I’ ti prego +che per me prieghi quando sù sarai». + +E io a lui: «Per fede mi ti lego +di far ciò che mi chiedi; ma io scoppio +dentro ad un dubbio, s’io non me ne spiego. + +Prima era scempio, e ora è fatto doppio +ne la sentenza tua, che mi fa certo +qui, e altrove, quello ov’ io l’accoppio. + +Lo mondo è ben così tutto diserto +d’ogne virtute, come tu mi sone, +e di malizia gravido e coverto; + +ma priego che m’addite la cagione, +sì ch’i’ la veggia e ch’i’ la mostri altrui; +ché nel cielo uno, e un qua giù la pone». + +Alto sospir, che duolo strinse in «uhi!», +mise fuor prima; e poi cominciò: «Frate, +lo mondo è cieco, e tu vien ben da lui. + +Voi che vivete ogne cagion recate +pur suso al cielo, pur come se tutto +movesse seco di necessitate. + +Se così fosse, in voi fora distrutto +libero arbitrio, e non fora giustizia +per ben letizia, e per male aver lutto. + +Lo cielo i vostri movimenti inizia; +non dico tutti, ma, posto ch’i’ ’l dica, +lume v’è dato a bene e a malizia, + +e libero voler; che, se fatica +ne le prime battaglie col ciel dura, +poi vince tutto, se ben si notrica. + +A maggior forza e a miglior natura +liberi soggiacete; e quella cria +la mente in voi, che ’l ciel non ha in sua cura. + +Però, se ’l mondo presente disvia, +in voi è la cagione, in voi si cheggia; +e io te ne sarò or vera spia. + +Esce di mano a lui che la vagheggia +prima che sia, a guisa di fanciulla +che piangendo e ridendo pargoleggia, + +l’anima semplicetta che sa nulla, +salvo che, mossa da lieto fattore, +volontier torna a ciò che la trastulla. + +Di picciol bene in pria sente sapore; +quivi s’inganna, e dietro ad esso corre, +se guida o fren non torce suo amore. + +Onde convenne legge per fren porre; +convenne rege aver, che discernesse +de la vera cittade almen la torre. + +Le leggi son, ma chi pon mano ad esse? +Nullo, però che ’l pastor che procede, +rugumar può, ma non ha l’unghie fesse; + +per che la gente, che sua guida vede +pur a quel ben fedire ond’ ella è ghiotta, +di quel si pasce, e più oltre non chiede. + +Ben puoi veder che la mala condotta +è la cagion che ’l mondo ha fatto reo, +e non natura che ’n voi sia corrotta. + +Soleva Roma, che ’l buon mondo feo, +due soli aver, che l’una e l’altra strada +facean vedere, e del mondo e di Deo. + +L’un l’altro ha spento; ed è giunta la spada +col pasturale, e l’un con l’altro insieme +per viva forza mal convien che vada; + +però che, giunti, l’un l’altro non teme: +se non mi credi, pon mente a la spiga, +ch’ogn’ erba si conosce per lo seme. + +In sul paese ch’Adice e Po riga, +solea valore e cortesia trovarsi, +prima che Federigo avesse briga; + +or può sicuramente indi passarsi +per qualunque lasciasse, per vergogna +di ragionar coi buoni o d’appressarsi. + +Ben v’èn tre vecchi ancora in cui rampogna +l’antica età la nova, e par lor tardo +che Dio a miglior vita li ripogna: + +Currado da Palazzo e ’l buon Gherardo +e Guido da Castel, che mei si noma, +francescamente, il semplice Lombardo. + +Dì oggimai che la Chiesa di Roma, +per confondere in sé due reggimenti, +cade nel fango, e sé brutta e la soma». + +«O Marco mio», diss’ io, «bene argomenti; +e or discerno perché dal retaggio +li figli di Levì furono essenti. + +Ma qual Gherardo è quel che tu per saggio +di’ ch’è rimaso de la gente spenta, +in rimprovèro del secol selvaggio?». + +«O tuo parlar m’inganna, o el mi tenta», +rispuose a me; «ché, parlandomi tosco, +par che del buon Gherardo nulla senta. + +Per altro sopranome io nol conosco, +s’io nol togliessi da sua figlia Gaia. +Dio sia con voi, ché più non vegno vosco. + +Vedi l’albor che per lo fummo raia +già biancheggiare, e me convien partirmi +(l’angelo è ivi) prima ch’io li paia». + +Così tornò, e più non volle udirmi. + + + +Purgatorio · Canto XVII + + +Ricorditi, lettor, se mai ne l’alpe +ti colse nebbia per la qual vedessi +non altrimenti che per pelle talpe, + +come, quando i vapori umidi e spessi +a diradar cominciansi, la spera +del sol debilemente entra per essi; + +e fia la tua imagine leggera +in giugnere a veder com’ io rividi +lo sole in pria, che già nel corcar era. + +Sì, pareggiando i miei co’ passi fidi +del mio maestro, usci’ fuor di tal nube +ai raggi morti già ne’ bassi lidi. + +O imaginativa che ne rube +talvolta sì di fuor, ch’om non s’accorge +perché dintorno suonin mille tube, + +chi move te, se ’l senso non ti porge? +Moveti lume che nel ciel s’informa, +per sé o per voler che giù lo scorge. + +De l’empiezza di lei che mutò forma +ne l’uccel ch’a cantar più si diletta, +ne l’imagine mia apparve l’orma; + +e qui fu la mia mente sì ristretta +dentro da sé, che di fuor non venìa +cosa che fosse allor da lei ricetta. + +Poi piovve dentro a l’alta fantasia +un crucifisso, dispettoso e fero +ne la sua vista, e cotal si moria; + +intorno ad esso era il grande Assüero, +Estèr sua sposa e ’l giusto Mardoceo, +che fu al dire e al far così intero. + +E come questa imagine rompeo +sé per sé stessa, a guisa d’una bulla +cui manca l’acqua sotto qual si feo, + +surse in mia visïone una fanciulla +piangendo forte, e dicea: «O regina, +perché per ira hai voluto esser nulla? + +Ancisa t’hai per non perder Lavina; +or m’hai perduta! Io son essa che lutto, +madre, a la tua pria ch’a l’altrui ruina». + +Come si frange il sonno ove di butto +nova luce percuote il viso chiuso, +che fratto guizza pria che muoia tutto; + +così l’imaginar mio cadde giuso +tosto che lume il volto mi percosse, +maggior assai che quel ch’è in nostro uso. + +I’ mi volgea per veder ov’ io fosse, +quando una voce disse «Qui si monta», +che da ogne altro intento mi rimosse; + +e fece la mia voglia tanto pronta +di riguardar chi era che parlava, +che mai non posa, se non si raffronta. + +Ma come al sol che nostra vista grava +e per soverchio sua figura vela, +così la mia virtù quivi mancava. + +«Questo è divino spirito, che ne la +via da ir sù ne drizza sanza prego, +e col suo lume sé medesmo cela. + +Sì fa con noi, come l’uom si fa sego; +ché quale aspetta prego e l’uopo vede, +malignamente già si mette al nego. + +Or accordiamo a tanto invito il piede; +procacciam di salir pria che s’abbui, +ché poi non si poria, se ’l dì non riede». + +Così disse il mio duca, e io con lui +volgemmo i nostri passi ad una scala; +e tosto ch’io al primo grado fui, + +senti’mi presso quasi un muover d’ala +e ventarmi nel viso e dir: ‘Beati +pacifici, che son sanz’ ira mala!’. + +Già eran sovra noi tanto levati +li ultimi raggi che la notte segue, +che le stelle apparivan da più lati. + +‘O virtù mia, perché sì ti dilegue?’, +fra me stesso dicea, ché mi sentiva +la possa de le gambe posta in triegue. + +Noi eravam dove più non saliva +la scala sù, ed eravamo affissi, +pur come nave ch’a la piaggia arriva. + +E io attesi un poco, s’io udissi +alcuna cosa nel novo girone; +poi mi volsi al maestro mio, e dissi: + +«Dolce mio padre, dì, quale offensione +si purga qui nel giro dove semo? +Se i piè si stanno, non stea tuo sermone». + +Ed elli a me: «L’amor del bene, scemo +del suo dover, quiritta si ristora; +qui si ribatte il mal tardato remo. + +Ma perché più aperto intendi ancora, +volgi la mente a me, e prenderai +alcun buon frutto di nostra dimora». + +«Né creator né creatura mai», +cominciò el, «figliuol, fu sanza amore, +o naturale o d’animo; e tu ’l sai. + +Lo naturale è sempre sanza errore, +ma l’altro puote errar per malo obietto +o per troppo o per poco di vigore. + +Mentre ch’elli è nel primo ben diretto, +e ne’ secondi sé stesso misura, +esser non può cagion di mal diletto; + +ma quando al mal si torce, o con più cura +o con men che non dee corre nel bene, +contra ’l fattore adovra sua fattura. + +Quinci comprender puoi ch’esser convene +amor sementa in voi d’ogne virtute +e d’ogne operazion che merta pene. + +Or, perché mai non può da la salute +amor del suo subietto volger viso, +da l’odio proprio son le cose tute; + +e perché intender non si può diviso, +e per sé stante, alcuno esser dal primo, +da quello odiare ogne effetto è deciso. + +Resta, se dividendo bene stimo, +che ’l mal che s’ama è del prossimo; ed esso +amor nasce in tre modi in vostro limo. + +È chi, per esser suo vicin soppresso, +spera eccellenza, e sol per questo brama +ch’el sia di sua grandezza in basso messo; + +è chi podere, grazia, onore e fama +teme di perder perch’ altri sormonti, +onde s’attrista sì che ’l contrario ama; + +ed è chi per ingiuria par ch’aonti, +sì che si fa de la vendetta ghiotto, +e tal convien che ’l male altrui impronti. + +Questo triforme amor qua giù di sotto +si piange: or vo’ che tu de l’altro intende, +che corre al ben con ordine corrotto. + +Ciascun confusamente un bene apprende +nel qual si queti l’animo, e disira; +per che di giugner lui ciascun contende. + +Se lento amore a lui veder vi tira +o a lui acquistar, questa cornice, +dopo giusto penter, ve ne martira. + +Altro ben è che non fa l’uom felice; +non è felicità, non è la buona +essenza, d’ogne ben frutto e radice. + +L’amor ch’ad esso troppo s’abbandona, +di sovr’ a noi si piange per tre cerchi; +ma come tripartito si ragiona, + +tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi». + + + +Purgatorio · Canto XVIII + + +Posto avea fine al suo ragionamento +l’alto dottore, e attento guardava +ne la mia vista s’io parea contento; + +e io, cui nova sete ancor frugava, +di fuor tacea, e dentro dicea: ‘Forse +lo troppo dimandar ch’io fo li grava’. + +Ma quel padre verace, che s’accorse +del timido voler che non s’apriva, +parlando, di parlare ardir mi porse. + +Ond’ io: «Maestro, il mio veder s’avviva +sì nel tuo lume, ch’io discerno chiaro +quanto la tua ragion parta o descriva. + +Però ti prego, dolce padre caro, +che mi dimostri amore, a cui reduci +ogne buono operare e ’l suo contraro». + +«Drizza», disse, «ver’ me l’agute luci +de lo ’ntelletto, e fieti manifesto +l’error de’ ciechi che si fanno duci. + +L’animo, ch’è creato ad amar presto, +ad ogne cosa è mobile che piace, +tosto che dal piacere in atto è desto. + +Vostra apprensiva da esser verace +tragge intenzione, e dentro a voi la spiega, +sì che l’animo ad essa volger face; + +e se, rivolto, inver’ di lei si piega, +quel piegare è amor, quell’ è natura +che per piacer di novo in voi si lega. + +Poi, come ’l foco movesi in altura +per la sua forma ch’è nata a salire +là dove più in sua matera dura, + +così l’animo preso entra in disire, +ch’è moto spiritale, e mai non posa +fin che la cosa amata il fa gioire. + +Or ti puote apparer quant’ è nascosa +la veritate a la gente ch’avvera +ciascun amore in sé laudabil cosa; + +però che forse appar la sua matera +sempre esser buona, ma non ciascun segno +è buono, ancor che buona sia la cera». + +«Le tue parole e ’l mio seguace ingegno», +rispuos’ io lui, «m’hanno amor discoverto, +ma ciò m’ha fatto di dubbiar più pregno; + +ché, s’amore è di fuori a noi offerto +e l’anima non va con altro piede, +se dritta o torta va, non è suo merto». + +Ed elli a me: «Quanto ragion qui vede, +dir ti poss’ io; da indi in là t’aspetta +pur a Beatrice, ch’è opra di fede. + +Ogne forma sustanzïal, che setta +è da matera ed è con lei unita, +specifica vertute ha in sé colletta, + +la qual sanza operar non è sentita, +né si dimostra mai che per effetto, +come per verdi fronde in pianta vita. + +Però, là onde vegna lo ’ntelletto +de le prime notizie, omo non sape, +e de’ primi appetibili l’affetto, + +che sono in voi sì come studio in ape +di far lo mele; e questa prima voglia +merto di lode o di biasmo non cape. + +Or perché a questa ogn’ altra si raccoglia, +innata v’è la virtù che consiglia, +e de l’assenso de’ tener la soglia. + +Quest’ è ’l principio là onde si piglia +ragion di meritare in voi, secondo +che buoni e rei amori accoglie e viglia. + +Color che ragionando andaro al fondo, +s’accorser d’esta innata libertate; +però moralità lasciaro al mondo. + +Onde, poniam che di necessitate +surga ogne amor che dentro a voi s’accende, +di ritenerlo è in voi la podestate. + +La nobile virtù Beatrice intende +per lo libero arbitrio, e però guarda +che l’abbi a mente, s’a parlar ten prende». + +La luna, quasi a mezza notte tarda, +facea le stelle a noi parer più rade, +fatta com’ un secchion che tuttor arda; + +e correa contro ’l ciel per quelle strade +che ’l sole infiamma allor che quel da Roma +tra ’ Sardi e ’ Corsi il vede quando cade. + +E quell’ ombra gentil per cui si noma +Pietola più che villa mantoana, +del mio carcar diposta avea la soma; + +per ch’io, che la ragione aperta e piana +sovra le mie quistioni avea ricolta, +stava com’ om che sonnolento vana. + +Ma questa sonnolenza mi fu tolta +subitamente da gente che dopo +le nostre spalle a noi era già volta. + +E quale Ismeno già vide e Asopo +lungo di sè di notte furia e calca, +pur che i Teban di Bacco avesser uopo, + +cotal per quel giron suo passo falca, +per quel ch’io vidi di color, venendo, +cui buon volere e giusto amor cavalca. + +Tosto fur sovr’ a noi, perché correndo +si movea tutta quella turba magna; +e due dinanzi gridavan piangendo: + +«Maria corse con fretta a la montagna; +e Cesare, per soggiogare Ilerda, +punse Marsilia e poi corse in Ispagna». + +«Ratto, ratto, che ’l tempo non si perda +per poco amor», gridavan li altri appresso, +«che studio di ben far grazia rinverda». + +«O gente in cui fervore aguto adesso +ricompie forse negligenza e indugio +da voi per tepidezza in ben far messo, + +questi che vive, e certo i’ non vi bugio, +vuole andar sù, pur che ’l sol ne riluca; +però ne dite ond’ è presso il pertugio». + +Parole furon queste del mio duca; +e un di quelli spirti disse: «Vieni +di retro a noi, e troverai la buca. + +Noi siam di voglia a muoverci sì pieni, +che restar non potem; però perdona, +se villania nostra giustizia tieni. + +Io fui abate in San Zeno a Verona +sotto lo ’mperio del buon Barbarossa, +di cui dolente ancor Milan ragiona. + +E tale ha già l’un piè dentro la fossa, +che tosto piangerà quel monastero, +e tristo fia d’avere avuta possa; + +perché suo figlio, mal del corpo intero, +e de la mente peggio, e che mal nacque, +ha posto in loco di suo pastor vero». + +Io non so se più disse o s’ei si tacque, +tant’ era già di là da noi trascorso; +ma questo intesi, e ritener mi piacque. + +E quei che m’era ad ogne uopo soccorso +disse: «Volgiti qua: vedine due +venir dando a l’accidïa di morso». + +Di retro a tutti dicean: «Prima fue +morta la gente a cui il mar s’aperse, +che vedesse Iordan le rede sue. + +E quella che l’affanno non sofferse +fino a la fine col figlio d’Anchise, +sé stessa a vita sanza gloria offerse». + +Poi quando fuor da noi tanto divise +quell’ ombre, che veder più non potiersi, +novo pensiero dentro a me si mise, + +del qual più altri nacquero e diversi; +e tanto d’uno in altro vaneggiai, +che li occhi per vaghezza ricopersi, + +e ’l pensamento in sogno trasmutai. + + + +Purgatorio · Canto XIX + + +Ne l’ora che non può ’l calor dïurno +intepidar più ’l freddo de la luna, +vinto da terra, e talor da Saturno + +—quando i geomanti lor Maggior Fortuna +veggiono in orïente, innanzi a l’alba, +surger per via che poco le sta bruna—, + +mi venne in sogno una femmina balba, +ne li occhi guercia, e sovra i piè distorta, +con le man monche, e di colore scialba. + +Io la mirava; e come ’l sol conforta +le fredde membra che la notte aggrava, +così lo sguardo mio le facea scorta + +la lingua, e poscia tutta la drizzava +in poco d’ora, e lo smarrito volto, +com’ amor vuol, così le colorava. + +Poi ch’ell’ avea ’l parlar così disciolto, +cominciava a cantar sì, che con pena +da lei avrei mio intento rivolto. + +«Io son», cantava, «io son dolce serena, +che ’ marinari in mezzo mar dismago; +tanto son di piacere a sentir piena! + +Io volsi Ulisse del suo cammin vago +al canto mio; e qual meco s’ausa, +rado sen parte; sì tutto l’appago!». + +Ancor non era sua bocca richiusa, +quand’ una donna apparve santa e presta +lunghesso me per far colei confusa. + +«O Virgilio, Virgilio, chi è questa?», +fieramente dicea; ed el venìa +con li occhi fitti pur in quella onesta. + +L’altra prendea, e dinanzi l’apria +fendendo i drappi, e mostravami ’l ventre; +quel mi svegliò col puzzo che n’uscia. + +Io mossi li occhi, e ’l buon maestro: «Almen tre +voci t’ho messe!», dicea, «Surgi e vieni; +troviam l’aperta per la qual tu entre». + +Sù mi levai, e tutti eran già pieni +de l’alto dì i giron del sacro monte, +e andavam col sol novo a le reni. + +Seguendo lui, portava la mia fronte +come colui che l’ha di pensier carca, +che fa di sé un mezzo arco di ponte; + +quand’ io udi’ «Venite; qui si varca» +parlare in modo soave e benigno, +qual non si sente in questa mortal marca. + +Con l’ali aperte, che parean di cigno, +volseci in sù colui che sì parlonne +tra due pareti del duro macigno. + +Mosse le penne poi e ventilonne, +‘Qui lugent’ affermando esser beati, +ch’avran di consolar l’anime donne. + +«Che hai che pur inver’ la terra guati?», +la guida mia incominciò a dirmi, +poco amendue da l’angel sormontati. + +E io: «Con tanta sospeccion fa irmi +novella visïon ch’a sé mi piega, +sì ch’io non posso dal pensar partirmi». + +«Vedesti», disse, «quell’antica strega +che sola sovr’ a noi omai si piagne; +vedesti come l’uom da lei si slega. + +Bastiti, e batti a terra le calcagne; +li occhi rivolgi al logoro che gira +lo rege etterno con le rote magne». + +Quale ’l falcon, che prima a’ pié si mira, +indi si volge al grido e si protende +per lo disio del pasto che là il tira, + +tal mi fec’ io; e tal, quanto si fende +la roccia per dar via a chi va suso, +n’andai infin dove ’l cerchiar si prende. + +Com’ io nel quinto giro fui dischiuso, +vidi gente per esso che piangea, +giacendo a terra tutta volta in giuso. + +‘Adhaesit pavimento anima mea’ +sentia dir lor con sì alti sospiri, +che la parola a pena s’intendea. + +«O eletti di Dio, li cui soffriri +e giustizia e speranza fa men duri, +drizzate noi verso li alti saliri». + +«Se voi venite dal giacer sicuri, +e volete trovar la via più tosto, +le vostre destre sien sempre di fori». + +Così pregò ’l poeta, e sì risposto +poco dinanzi a noi ne fu; per ch’io +nel parlare avvisai l’altro nascosto, + +e volsi li occhi a li occhi al segnor mio: +ond’ elli m’assentì con lieto cenno +ciò che chiedea la vista del disio. + +Poi ch’io potei di me fare a mio senno, +trassimi sovra quella creatura +le cui parole pria notar mi fenno, + +dicendo: «Spirto in cui pianger matura +quel sanza ’l quale a Dio tornar non pòssi, +sosta un poco per me tua maggior cura. + +Chi fosti e perché vòlti avete i dossi +al sù, mi dì, e se vuo’ ch’io t’impetri +cosa di là ond’ io vivendo mossi». + +Ed elli a me: «Perché i nostri diretri +rivolga il cielo a sé, saprai; ma prima +scias quod ego fui successor Petri. + +Intra Sïestri e Chiaveri s’adima +una fiumana bella, e del suo nome +lo titol del mio sangue fa sua cima. + +Un mese e poco più prova’ io come +pesa il gran manto a chi dal fango il guarda, +che piuma sembran tutte l’altre some. + +La mia conversïone, omè!, fu tarda; +ma, come fatto fui roman pastore, +così scopersi la vita bugiarda. + +Vidi che lì non s’acquetava il core, +né più salir potiesi in quella vita; +per che di questa in me s’accese amore. + +Fino a quel punto misera e partita +da Dio anima fui, del tutto avara; +or, come vedi, qui ne son punita. + +Quel ch’avarizia fa, qui si dichiara +in purgazion de l’anime converse; +e nulla pena il monte ha più amara. + +Sì come l’occhio nostro non s’aderse +in alto, fisso a le cose terrene, +così giustizia qui a terra il merse. + +Come avarizia spense a ciascun bene +lo nostro amore, onde operar perdési, +così giustizia qui stretti ne tene, + +ne’ piedi e ne le man legati e presi; +e quanto fia piacer del giusto Sire, +tanto staremo immobili e distesi». + +Io m’era inginocchiato e volea dire; +ma com’ io cominciai ed el s’accorse, +solo ascoltando, del mio reverire, + +«Qual cagion», disse, «in giù così ti torse?». +E io a lui: «Per vostra dignitate +mia coscïenza dritto mi rimorse». + +«Drizza le gambe, lèvati sù, frate!», +rispuose; «non errar: conservo sono +teco e con li altri ad una podestate. + +Se mai quel santo evangelico suono +che dice ‘Neque nubent’ intendesti, +ben puoi veder perch’ io così ragiono. + +Vattene omai: non vo’ che più t’arresti; +ché la tua stanza mio pianger disagia, +col qual maturo ciò che tu dicesti. + +Nepote ho io di là c’ha nome Alagia, +buona da sé, pur che la nostra casa +non faccia lei per essempro malvagia; + +e questa sola di là m’è rimasa». + + + +Purgatorio · Canto XX + + +Contra miglior voler voler mal pugna; +onde contra ’l piacer mio, per piacerli, +trassi de l’acqua non sazia la spugna. + +Mossimi; e ’l duca mio si mosse per li +luoghi spediti pur lungo la roccia, +come si va per muro stretto a’ merli; + +ché la gente che fonde a goccia a goccia +per li occhi il mal che tutto ’l mondo occupa, +da l’altra parte in fuor troppo s’approccia. + +Maladetta sie tu, antica lupa, +che più che tutte l’altre bestie hai preda +per la tua fame sanza fine cupa! + +O ciel, nel cui girar par che si creda +le condizion di qua giù trasmutarsi, +quando verrà per cui questa disceda? + +Noi andavam con passi lenti e scarsi, +e io attento a l’ombre, ch’i’ sentia +pietosamente piangere e lagnarsi; + +e per ventura udi’ «Dolce Maria!» +dinanzi a noi chiamar così nel pianto +come fa donna che in parturir sia; + +e seguitar: «Povera fosti tanto, +quanto veder si può per quello ospizio +dove sponesti il tuo portato santo». + +Seguentemente intesi: «O buon Fabrizio, +con povertà volesti anzi virtute +che gran ricchezza posseder con vizio». + +Queste parole m’eran sì piaciute, +ch’io mi trassi oltre per aver contezza +di quello spirto onde parean venute. + +Esso parlava ancor de la larghezza +che fece Niccolò a le pulcelle, +per condurre ad onor lor giovinezza. + +«O anima che tanto ben favelle, +dimmi chi fosti», dissi, «e perché sola +tu queste degne lode rinovelle. + +Non fia sanza mercé la tua parola, +s’io ritorno a compiér lo cammin corto +di quella vita ch’al termine vola». + +Ed elli: «Io ti dirò, non per conforto +ch’io attenda di là, ma perché tanta +grazia in te luce prima che sie morto. + +Io fui radice de la mala pianta +che la terra cristiana tutta aduggia, +sì che buon frutto rado se ne schianta. + +Ma se Doagio, Lilla, Guanto e Bruggia +potesser, tosto ne saria vendetta; +e io la cheggio a lui che tutto giuggia. + +Chiamato fui di là Ugo Ciappetta; +di me son nati i Filippi e i Luigi +per cui novellamente è Francia retta. + +Figliuol fu’ io d’un beccaio di Parigi: +quando li regi antichi venner meno +tutti, fuor ch’un renduto in panni bigi, + +trova’mi stretto ne le mani il freno +del governo del regno, e tanta possa +di nuovo acquisto, e sì d’amici pieno, + +ch’a la corona vedova promossa +la testa di mio figlio fu, dal quale +cominciar di costor le sacrate ossa. + +Mentre che la gran dota provenzale +al sangue mio non tolse la vergogna, +poco valea, ma pur non facea male. + +Lì cominciò con forza e con menzogna +la sua rapina; e poscia, per ammenda, +Pontì e Normandia prese e Guascogna. + +Carlo venne in Italia e, per ammenda, +vittima fé di Curradino; e poi +ripinse al ciel Tommaso, per ammenda. + +Tempo vegg’ io, non molto dopo ancoi, +che tragge un altro Carlo fuor di Francia, +per far conoscer meglio e sé e ’ suoi. + +Sanz’ arme n’esce e solo con la lancia +con la qual giostrò Giuda, e quella ponta +sì, ch’a Fiorenza fa scoppiar la pancia. + +Quindi non terra, ma peccato e onta +guadagnerà, per sé tanto più grave, +quanto più lieve simil danno conta. + +L’altro, che già uscì preso di nave, +veggio vender sua figlia e patteggiarne +come fanno i corsar de l’altre schiave. + +O avarizia, che puoi tu più farne, +poscia c’ha’ il mio sangue a te sì tratto, +che non si cura de la propria carne? + +Perché men paia il mal futuro e ’l fatto, +veggio in Alagna intrar lo fiordaliso, +e nel vicario suo Cristo esser catto. + +Veggiolo un’altra volta esser deriso; +veggio rinovellar l’aceto e ’l fiele, +e tra vivi ladroni esser anciso. + +Veggio il novo Pilato sì crudele, +che ciò nol sazia, ma sanza decreto +portar nel Tempio le cupide vele. + +O Segnor mio, quando sarò io lieto +a veder la vendetta che, nascosa, +fa dolce l’ira tua nel tuo secreto? + +Ciò ch’io dicea di quell’ unica sposa +de lo Spirito Santo e che ti fece +verso me volger per alcuna chiosa, + +tanto è risposto a tutte nostre prece +quanto ’l dì dura; ma com’ el s’annotta, +contrario suon prendemo in quella vece. + +Noi repetiam Pigmalïon allotta, +cui traditore e ladro e paricida +fece la voglia sua de l’oro ghiotta; + +e la miseria de l’avaro Mida, +che seguì a la sua dimanda gorda, +per la qual sempre convien che si rida. + +Del folle Acàn ciascun poi si ricorda, +come furò le spoglie, sì che l’ira +di Iosüè qui par ch’ancor lo morda. + +Indi accusiam col marito Saffira; +lodiam i calci ch’ebbe Elïodoro; +e in infamia tutto ’l monte gira + +Polinestòr ch’ancise Polidoro; +ultimamente ci si grida: “Crasso, +dilci, che ’l sai: di che sapore è l’oro?”. + +Talor parla l’uno alto e l’altro basso, +secondo l’affezion ch’ad ir ci sprona +ora a maggiore e ora a minor passo: + +però al ben che ’l dì ci si ragiona, +dianzi non era io sol; ma qui da presso +non alzava la voce altra persona». + +Noi eravam partiti già da esso, +e brigavam di soverchiar la strada +tanto quanto al poder n’era permesso, + +quand’ io senti’, come cosa che cada, +tremar lo monte; onde mi prese un gelo +qual prender suol colui ch’a morte vada. + +Certo non si scoteo sì forte Delo, +pria che Latona in lei facesse ’l nido +a parturir li due occhi del cielo. + +Poi cominciò da tutte parti un grido +tal, che ’l maestro inverso me si feo, +dicendo: «Non dubbiar, mentr’ io ti guido». + +‘Glorïa in excelsis’ tutti ‘Deo’ +dicean, per quel ch’io da’ vicin compresi, +onde intender lo grido si poteo. + +No’ istavamo immobili e sospesi +come i pastor che prima udir quel canto, +fin che ’l tremar cessò ed el compiési. + +Poi ripigliammo nostro cammin santo, +guardando l’ombre che giacean per terra, +tornate già in su l’usato pianto. + +Nulla ignoranza mai con tanta guerra +mi fé desideroso di sapere, +se la memoria mia in ciò non erra, + +quanta pareami allor, pensando, avere; +né per la fretta dimandare er’ oso, +né per me lì potea cosa vedere: + +così m’andava timido e pensoso. + + + +Purgatorio · Canto XXI + + +La sete natural che mai non sazia +se non con l’acqua onde la femminetta +samaritana domandò la grazia, + +mi travagliava, e pungeami la fretta +per la ’mpacciata via dietro al mio duca, +e condoleami a la giusta vendetta. + +Ed ecco, sì come ne scrive Luca +che Cristo apparve a’ due ch’erano in via, +già surto fuor de la sepulcral buca, + +ci apparve un’ombra, e dietro a noi venìa, +dal piè guardando la turba che giace; +né ci addemmo di lei, sì parlò pria, + +dicendo: «O frati miei, Dio vi dea pace». +Noi ci volgemmo sùbiti, e Virgilio +rendéli ’l cenno ch’a ciò si conface. + +Poi cominciò: «Nel beato concilio +ti ponga in pace la verace corte +che me rilega ne l’etterno essilio». + +«Come!», diss’ elli, e parte andavam forte: +«se voi siete ombre che Dio sù non degni, +chi v’ha per la sua scala tanto scorte?». + +E ’l dottor mio: «Se tu riguardi a’ segni +che questi porta e che l’angel profila, +ben vedrai che coi buon convien ch’e’ regni. + +Ma perché lei che dì e notte fila +non li avea tratta ancora la conocchia +che Cloto impone a ciascuno e compila, + +l’anima sua, ch’è tua e mia serocchia, +venendo sù, non potea venir sola, +però ch’al nostro modo non adocchia. + +Ond’ io fui tratto fuor de l’ampia gola +d’inferno per mostrarli, e mosterrolli +oltre, quanto ’l potrà menar mia scola. + +Ma dimmi, se tu sai, perché tai crolli +diè dianzi ’l monte, e perché tutto ad una +parve gridare infino a’ suoi piè molli». + +Sì mi diè, dimandando, per la cruna +del mio disio, che pur con la speranza +si fece la mia sete men digiuna. + +Quei cominciò: «Cosa non è che sanza +ordine senta la religïone +de la montagna, o che sia fuor d’usanza. + +Libero è qui da ogne alterazione: +di quel che ’l ciel da sé in sé riceve +esser ci puote, e non d’altro, cagione. + +Per che non pioggia, non grando, non neve, +non rugiada, non brina più sù cade +che la scaletta di tre gradi breve; + +nuvole spesse non paion né rade, +né coruscar, né figlia di Taumante, +che di là cangia sovente contrade; + +secco vapor non surge più avante +ch’al sommo d’i tre gradi ch’io parlai, +dov’ ha ’l vicario di Pietro le piante. + +Trema forse più giù poco o assai; +ma per vento che ’n terra si nasconda, +non so come, qua sù non tremò mai. + +Tremaci quando alcuna anima monda +sentesi, sì che surga o che si mova +per salir sù; e tal grido seconda. + +De la mondizia sol voler fa prova, +che, tutto libero a mutar convento, +l’alma sorprende, e di voler le giova. + +Prima vuol ben, ma non lascia il talento +che divina giustizia, contra voglia, +come fu al peccar, pone al tormento. + +E io, che son giaciuto a questa doglia +cinquecent’ anni e più, pur mo sentii +libera volontà di miglior soglia: + +però sentisti il tremoto e li pii +spiriti per lo monte render lode +a quel Segnor, che tosto sù li ’nvii». + +Così ne disse; e però ch’el si gode +tanto del ber quant’ è grande la sete, +non saprei dir quant’ el mi fece prode. + +E ’l savio duca: «Omai veggio la rete +che qui vi ’mpiglia e come si scalappia, +perché ci trema e di che congaudete. + +Ora chi fosti, piacciati ch’io sappia, +e perché tanti secoli giaciuto +qui se’, ne le parole tue mi cappia». + +«Nel tempo che ’l buon Tito, con l’aiuto +del sommo rege, vendicò le fóra +ond’ uscì ’l sangue per Giuda venduto, + +col nome che più dura e più onora +era io di là», rispuose quello spirto, +«famoso assai, ma non con fede ancora. + +Tanto fu dolce mio vocale spirto, +che, tolosano, a sé mi trasse Roma, +dove mertai le tempie ornar di mirto. + +Stazio la gente ancor di là mi noma: +cantai di Tebe, e poi del grande Achille; +ma caddi in via con la seconda soma. + +Al mio ardor fuor seme le faville, +che mi scaldar, de la divina fiamma +onde sono allumati più di mille; + +de l’Eneïda dico, la qual mamma +fummi, e fummi nutrice, poetando: +sanz’ essa non fermai peso di dramma. + +E per esser vivuto di là quando +visse Virgilio, assentirei un sole +più che non deggio al mio uscir di bando». + +Volser Virgilio a me queste parole +con viso che, tacendo, disse ‘Taci’; +ma non può tutto la virtù che vuole; + +ché riso e pianto son tanto seguaci +a la passion di che ciascun si spicca, +che men seguon voler ne’ più veraci. + +Io pur sorrisi come l’uom ch’ammicca; +per che l’ombra si tacque, e riguardommi +ne li occhi ove ’l sembiante più si ficca; + +e «Se tanto labore in bene assommi», +disse, «perché la tua faccia testeso +un lampeggiar di riso dimostrommi?». + +Or son io d’una parte e d’altra preso: +l’una mi fa tacer, l’altra scongiura +ch’io dica; ond’ io sospiro, e sono inteso + +dal mio maestro, e «Non aver paura», +mi dice, «di parlar; ma parla e digli +quel ch’e’ dimanda con cotanta cura». + +Ond’ io: «Forse che tu ti maravigli, +antico spirto, del rider ch’io fei; +ma più d’ammirazion vo’ che ti pigli. + +Questi che guida in alto li occhi miei, +è quel Virgilio dal qual tu togliesti +forte a cantar de li uomini e d’i dèi. + +Se cagion altra al mio rider credesti, +lasciala per non vera, ed esser credi +quelle parole che di lui dicesti». + +Già s’inchinava ad abbracciar li piedi +al mio dottor, ma el li disse: «Frate, +non far, ché tu se’ ombra e ombra vedi». + +Ed ei surgendo: «Or puoi la quantitate +comprender de l’amor ch’a te mi scalda, +quand’ io dismento nostra vanitate, + +trattando l’ombre come cosa salda». + + + +Purgatorio · Canto XXII + + +Già era l’angel dietro a noi rimaso, +l’angel che n’avea vòlti al sesto giro, +avendomi dal viso un colpo raso; + +e quei c’hanno a giustizia lor disiro +detto n’avea beati, e le sue voci +con ‘sitiunt’, sanz’ altro, ciò forniro. + +E io più lieve che per l’altre foci +m’andava, sì che sanz’ alcun labore +seguiva in sù li spiriti veloci; + +quando Virgilio incominciò: «Amore, +acceso di virtù, sempre altro accese, +pur che la fiamma sua paresse fore; + +onde da l’ora che tra noi discese +nel limbo de lo ’nferno Giovenale, +che la tua affezion mi fé palese, + +mia benvoglienza inverso te fu quale +più strinse mai di non vista persona, +sì ch’or mi parran corte queste scale. + +Ma dimmi, e come amico mi perdona +se troppa sicurtà m’allarga il freno, +e come amico omai meco ragiona: + +come poté trovar dentro al tuo seno +loco avarizia, tra cotanto senno +di quanto per tua cura fosti pieno?». + +Queste parole Stazio mover fenno +un poco a riso pria; poscia rispuose: +«Ogne tuo dir d’amor m’è caro cenno. + +Veramente più volte appaion cose +che danno a dubitar falsa matera +per le vere ragion che son nascose. + +La tua dimanda tuo creder m’avvera +esser ch’i’ fossi avaro in l’altra vita, +forse per quella cerchia dov’ io era. + +Or sappi ch’avarizia fu partita +troppo da me, e questa dismisura +migliaia di lunari hanno punita. + +E se non fosse ch’io drizzai mia cura, +quand’ io intesi là dove tu chiame, +crucciato quasi a l’umana natura: + +‘Per che non reggi tu, o sacra fame +de l’oro, l’appetito de’ mortali?’, +voltando sentirei le giostre grame. + +Allor m’accorsi che troppo aprir l’ali +potean le mani a spendere, e pente’mi +così di quel come de li altri mali. + +Quanti risurgeran coi crini scemi +per ignoranza, che di questa pecca +toglie ’l penter vivendo e ne li stremi! + +E sappie che la colpa che rimbecca +per dritta opposizione alcun peccato, +con esso insieme qui suo verde secca; + +però, s’io son tra quella gente stato +che piange l’avarizia, per purgarmi, +per lo contrario suo m’è incontrato». + +«Or quando tu cantasti le crude armi +de la doppia trestizia di Giocasta», +disse ’l cantor de’ buccolici carmi, + +«per quello che Clïò teco lì tasta, +non par che ti facesse ancor fedele +la fede, sanza qual ben far non basta. + +Se così è, qual sole o quai candele +ti stenebraron sì, che tu drizzasti +poscia di retro al pescator le vele?». + +Ed elli a lui: «Tu prima m’invïasti +verso Parnaso a ber ne le sue grotte, +e prima appresso Dio m’alluminasti. + +Facesti come quei che va di notte, +che porta il lume dietro e sé non giova, +ma dopo sé fa le persone dotte, + +quando dicesti: ‘Secol si rinova; +torna giustizia e primo tempo umano, +e progenïe scende da ciel nova’. + +Per te poeta fui, per te cristiano: +ma perché veggi mei ciò ch’io disegno, +a colorare stenderò la mano. + +Già era ’l mondo tutto quanto pregno +de la vera credenza, seminata +per li messaggi de l’etterno regno; + +e la parola tua sopra toccata +si consonava a’ nuovi predicanti; +ond’ io a visitarli presi usata. + +Vennermi poi parendo tanto santi, +che, quando Domizian li perseguette, +sanza mio lagrimar non fur lor pianti; + +e mentre che di là per me si stette, +io li sovvenni, e i lor dritti costumi +fer dispregiare a me tutte altre sette. + +E pria ch’io conducessi i Greci a’ fiumi +di Tebe poetando, ebb’ io battesmo; +ma per paura chiuso cristian fu’mi, + +lungamente mostrando paganesmo; +e questa tepidezza il quarto cerchio +cerchiar mi fé più che ’l quarto centesmo. + +Tu dunque, che levato hai il coperchio +che m’ascondeva quanto bene io dico, +mentre che del salire avem soverchio, + +dimmi dov’ è Terrenzio nostro antico, +Cecilio e Plauto e Varro, se lo sai: +dimmi se son dannati, e in qual vico». + +«Costoro e Persio e io e altri assai», +rispuose il duca mio, «siam con quel Greco +che le Muse lattar più ch’altri mai, + +nel primo cinghio del carcere cieco; +spesse fïate ragioniam del monte +che sempre ha le nutrice nostre seco. + +Euripide v’è nosco e Antifonte, +Simonide, Agatone e altri piùe +Greci che già di lauro ornar la fronte. + +Quivi si veggion de le genti tue +Antigone, Deïfile e Argia, +e Ismene sì trista come fue. + +Védeisi quella che mostrò Langia; +èvvi la figlia di Tiresia, e Teti, +e con le suore sue Deïdamia». + +Tacevansi ambedue già li poeti, +di novo attenti a riguardar dintorno, +liberi da saliri e da pareti; + +e già le quattro ancelle eran del giorno +rimase a dietro, e la quinta era al temo, +drizzando pur in sù l’ardente corno, + +quando il mio duca: «Io credo ch’a lo stremo +le destre spalle volger ne convegna, +girando il monte come far solemo». + +Così l’usanza fu lì nostra insegna, +e prendemmo la via con men sospetto +per l’assentir di quell’ anima degna. + +Elli givan dinanzi, e io soletto +di retro, e ascoltava i lor sermoni, +ch’a poetar mi davano intelletto. + +Ma tosto ruppe le dolci ragioni +un alber che trovammo in mezza strada, +con pomi a odorar soavi e buoni; + +e come abete in alto si digrada +di ramo in ramo, così quello in giuso, +cred’ io, perché persona sù non vada. + +Dal lato onde ’l cammin nostro era chiuso, +cadea de l’alta roccia un liquor chiaro +e si spandeva per le foglie suso. + +Li due poeti a l’alber s’appressaro; +e una voce per entro le fronde +gridò: «Di questo cibo avrete caro». + +Poi disse: «Più pensava Maria onde +fosser le nozze orrevoli e intere, +ch’a la sua bocca, ch’or per voi risponde. + +E le Romane antiche, per lor bere, +contente furon d’acqua; e Danïello +dispregiò cibo e acquistò savere. + +Lo secol primo, quant’ oro fu bello, +fé savorose con fame le ghiande, +e nettare con sete ogne ruscello. + +Mele e locuste furon le vivande +che nodriro il Batista nel diserto; +per ch’elli è glorïoso e tanto grande + +quanto per lo Vangelio v’è aperto». + + + +Purgatorio · Canto XXIII + + +Mentre che li occhi per la fronda verde +ficcava ïo sì come far suole +chi dietro a li uccellin sua vita perde, + +lo più che padre mi dicea: «Figliuole, +vienne oramai, ché ’l tempo che n’è imposto +più utilmente compartir si vuole». + +Io volsi ’l viso, e ’l passo non men tosto, +appresso i savi, che parlavan sìe, +che l’andar mi facean di nullo costo. + +Ed ecco piangere e cantar s’udìe +‘Labïa mëa, Domine’ per modo +tal, che diletto e doglia parturìe. + +«O dolce padre, che è quel ch’i’ odo?», +comincia’ io; ed elli: «Ombre che vanno +forse di lor dover solvendo il nodo». + +Sì come i peregrin pensosi fanno, +giugnendo per cammin gente non nota, +che si volgono ad essa e non restanno, + +così di retro a noi, più tosto mota, +venendo e trapassando ci ammirava +d’anime turba tacita e devota. + +Ne li occhi era ciascuna oscura e cava, +palida ne la faccia, e tanto scema +che da l’ossa la pelle s’informava. + +Non credo che così a buccia strema +Erisittone fosse fatto secco, +per digiunar, quando più n’ebbe tema. + +Io dicea fra me stesso pensando: ‘Ecco +la gente che perdé Ierusalemme, +quando Maria nel figlio diè di becco!’ + +Parean l’occhiaie anella sanza gemme: +chi nel viso de li uomini legge ‘omo’ +ben avria quivi conosciuta l’emme. + +Chi crederebbe che l’odor d’un pomo +sì governasse, generando brama, +e quel d’un’acqua, non sappiendo como? + +Già era in ammirar che sì li affama, +per la cagione ancor non manifesta +di lor magrezza e di lor trista squama, + +ed ecco del profondo de la testa +volse a me li occhi un’ombra e guardò fiso; +poi gridò forte: «Qual grazia m’è questa?». + +Mai non l’avrei riconosciuto al viso; +ma ne la voce sua mi fu palese +ciò che l’aspetto in sé avea conquiso. + +Questa favilla tutta mi raccese +mia conoscenza a la cangiata labbia, +e ravvisai la faccia di Forese. + +«Deh, non contendere a l’asciutta scabbia +che mi scolora», pregava, «la pelle, +né a difetto di carne ch’io abbia; + +ma dimmi il ver di te, dì chi son quelle +due anime che là ti fanno scorta; +non rimaner che tu non mi favelle!». + +«La faccia tua, ch’io lagrimai già morta, +mi dà di pianger mo non minor doglia», +rispuos’ io lui, «veggendola sì torta. + +Però mi dì, per Dio, che sì vi sfoglia; +non mi far dir mentr’ io mi maraviglio, +ché mal può dir chi è pien d’altra voglia». + +Ed elli a me: «De l’etterno consiglio +cade vertù ne l’acqua e ne la pianta +rimasa dietro ond’ io sì m’assottiglio. + +Tutta esta gente che piangendo canta +per seguitar la gola oltra misura, +in fame e ’n sete qui si rifà santa. + +Di bere e di mangiar n’accende cura +l’odor ch’esce del pomo e de lo sprazzo +che si distende su per sua verdura. + +E non pur una volta, questo spazzo +girando, si rinfresca nostra pena: +io dico pena, e dovria dir sollazzo, + +ché quella voglia a li alberi ci mena +che menò Cristo lieto a dire ‘Elì’, +quando ne liberò con la sua vena». + +E io a lui: «Forese, da quel dì +nel qual mutasti mondo a miglior vita, +cinqu’ anni non son vòlti infino a qui. + +Se prima fu la possa in te finita +di peccar più, che sovvenisse l’ora +del buon dolor ch’a Dio ne rimarita, + +come se’ tu qua sù venuto ancora? +Io ti credea trovar là giù di sotto, +dove tempo per tempo si ristora». + +Ond’ elli a me: «Sì tosto m’ha condotto +a ber lo dolce assenzo d’i martìri +la Nella mia con suo pianger dirotto. + +Con suoi prieghi devoti e con sospiri +tratto m’ha de la costa ove s’aspetta, +e liberato m’ha de li altri giri. + +Tanto è a Dio più cara e più diletta +la vedovella mia, che molto amai, +quanto in bene operare è più soletta; + +ché la Barbagia di Sardigna assai +ne le femmine sue più è pudica +che la Barbagia dov’ io la lasciai. + +O dolce frate, che vuo’ tu ch’io dica? +Tempo futuro m’è già nel cospetto, +cui non sarà quest’ ora molto antica, + +nel qual sarà in pergamo interdetto +a le sfacciate donne fiorentine +l’andar mostrando con le poppe il petto. + +Quai barbare fuor mai, quai saracine, +cui bisognasse, per farle ir coperte, +o spiritali o altre discipline? + +Ma se le svergognate fosser certe +di quel che ’l ciel veloce loro ammanna, +già per urlare avrian le bocche aperte; + +ché, se l’antiveder qui non m’inganna, +prima fien triste che le guance impeli +colui che mo si consola con nanna. + +Deh, frate, or fa che più non mi ti celi! +vedi che non pur io, ma questa gente +tutta rimira là dove ’l sol veli». + +Per ch’io a lui: «Se tu riduci a mente +qual fosti meco, e qual io teco fui, +ancor fia grave il memorar presente. + +Di quella vita mi volse costui +che mi va innanzi, l’altr’ ier, quando tonda +vi si mostrò la suora di colui», + +e ’l sol mostrai; «costui per la profonda +notte menato m’ha d’i veri morti +con questa vera carne che ’l seconda. + +Indi m’han tratto sù li suoi conforti, +salendo e rigirando la montagna +che drizza voi che ’l mondo fece torti. + +Tanto dice di farmi sua compagna +che io sarò là dove fia Beatrice; +quivi convien che sanza lui rimagna. + +Virgilio è questi che così mi dice», +e addita’lo; «e quest’ altro è quell’ ombra +per cuï scosse dianzi ogne pendice + +lo vostro regno, che da sé lo sgombra». + + + +Purgatorio · Canto XXIV + + +Né ’l dir l’andar, né l’andar lui più lento +facea, ma ragionando andavam forte, +sì come nave pinta da buon vento; + +e l’ombre, che parean cose rimorte, +per le fosse de li occhi ammirazione +traean di me, di mio vivere accorte. + +E io, continüando al mio sermone, +dissi: «Ella sen va sù forse più tarda +che non farebbe, per altrui cagione. + +Ma dimmi, se tu sai, dov’ è Piccarda; +dimmi s’io veggio da notar persona +tra questa gente che sì mi riguarda». + +«La mia sorella, che tra bella e buona +non so qual fosse più, trïunfa lieta +ne l’alto Olimpo già di sua corona». + +Sì disse prima; e poi: «Qui non si vieta +di nominar ciascun, da ch’è sì munta +nostra sembianza via per la dïeta. + +Questi», e mostrò col dito, «è Bonagiunta, +Bonagiunta da Lucca; e quella faccia +di là da lui più che l’altre trapunta + +ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia: +dal Torso fu, e purga per digiuno +l’anguille di Bolsena e la vernaccia». + +Molti altri mi nomò ad uno ad uno; +e del nomar parean tutti contenti, +sì ch’io però non vidi un atto bruno. + +Vidi per fame a vòto usar li denti +Ubaldin da la Pila e Bonifazio +che pasturò col rocco molte genti. + +Vidi messer Marchese, ch’ebbe spazio +già di bere a Forlì con men secchezza, +e sì fu tal, che non si sentì sazio. + +Ma come fa chi guarda e poi s’apprezza +più d’un che d’altro, fei a quel da Lucca, +che più parea di me aver contezza. + +El mormorava; e non so che «Gentucca» +sentiv’ io là, ov’ el sentia la piaga +de la giustizia che sì li pilucca. + +«O anima», diss’ io, «che par sì vaga +di parlar meco, fa sì ch’io t’intenda, +e te e me col tuo parlare appaga». + +«Femmina è nata, e non porta ancor benda», +cominciò el, «che ti farà piacere +la mia città, come ch’om la riprenda. + +Tu te n’andrai con questo antivedere: +se nel mio mormorar prendesti errore, +dichiareranti ancor le cose vere. + +Ma dì s’i’ veggio qui colui che fore +trasse le nove rime, cominciando +‘Donne ch’avete intelletto d’amore’». + +E io a lui: «I’ mi son un che, quando +Amor mi spira, noto, e a quel modo +ch’e’ ditta dentro vo significando». + +«O frate, issa vegg’ io», diss’ elli, «il nodo +che ’l Notaro e Guittone e me ritenne +di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo! + +Io veggio ben come le vostre penne +di retro al dittator sen vanno strette, +che de le nostre certo non avvenne; + +e qual più a gradire oltre si mette, +non vede più da l’uno a l’altro stilo»; +e, quasi contentato, si tacette. + +Come li augei che vernan lungo ’l Nilo, +alcuna volta in aere fanno schiera, +poi volan più a fretta e vanno in filo, + +così tutta la gente che lì era, +volgendo ’l viso, raffrettò suo passo, +e per magrezza e per voler leggera. + +E come l’uom che di trottare è lasso, +lascia andar li compagni, e sì passeggia +fin che si sfoghi l’affollar del casso, + +sì lasciò trapassar la santa greggia +Forese, e dietro meco sen veniva, +dicendo: «Quando fia ch’io ti riveggia?». + +«Non so», rispuos’ io lui, «quant’ io mi viva; +ma già non fïa il tornar mio tantosto, +ch’io non sia col voler prima a la riva; + +però che ’l loco u’ fui a viver posto, +di giorno in giorno più di ben si spolpa, +e a trista ruina par disposto». + +«Or va», diss’ el; «che quei che più n’ha colpa, +vegg’ ïo a coda d’una bestia tratto +inver’ la valle ove mai non si scolpa. + +La bestia ad ogne passo va più ratto, +crescendo sempre, fin ch’ella il percuote, +e lascia il corpo vilmente disfatto. + +Non hanno molto a volger quelle ruote», +e drizzò li occhi al ciel, «che ti fia chiaro +ciò che ’l mio dir più dichiarar non puote. + +Tu ti rimani omai; ché ’l tempo è caro +in questo regno, sì ch’io perdo troppo +venendo teco sì a paro a paro». + +Qual esce alcuna volta di gualoppo +lo cavalier di schiera che cavalchi, +e va per farsi onor del primo intoppo, + +tal si partì da noi con maggior valchi; +e io rimasi in via con esso i due +che fuor del mondo sì gran marescalchi. + +E quando innanzi a noi intrato fue, +che li occhi miei si fero a lui seguaci, +come la mente a le parole sue, + +parvermi i rami gravidi e vivaci +d’un altro pomo, e non molto lontani +per esser pur allora vòlto in laci. + +Vidi gente sott’ esso alzar le mani +e gridar non so che verso le fronde, +quasi bramosi fantolini e vani + +che pregano, e ’l pregato non risponde, +ma, per fare esser ben la voglia acuta, +tien alto lor disio e nol nasconde. + +Poi si partì sì come ricreduta; +e noi venimmo al grande arbore adesso, +che tanti prieghi e lagrime rifiuta. + +«Trapassate oltre sanza farvi presso: +legno è più sù che fu morso da Eva, +e questa pianta si levò da esso». + +Sì tra le frasche non so chi diceva; +per che Virgilio e Stazio e io, ristretti, +oltre andavam dal lato che si leva. + +«Ricordivi», dicea, «d’i maladetti +nei nuvoli formati, che, satolli, +Tesëo combatter co’ doppi petti; + +e de li Ebrei ch’al ber si mostrar molli, +per che no i volle Gedeon compagni, +quando inver’ Madïan discese i colli». + +Sì accostati a l’un d’i due vivagni +passammo, udendo colpe de la gola +seguite già da miseri guadagni. + +Poi, rallargati per la strada sola, +ben mille passi e più ci portar oltre, +contemplando ciascun sanza parola. + +«Che andate pensando sì voi sol tre?». +sùbita voce disse; ond’ io mi scossi +come fan bestie spaventate e poltre. + +Drizzai la testa per veder chi fossi; +e già mai non si videro in fornace +vetri o metalli sì lucenti e rossi, + +com’ io vidi un che dicea: «S’a voi piace +montare in sù, qui si convien dar volta; +quinci si va chi vuole andar per pace». + +L’aspetto suo m’avea la vista tolta; +per ch’io mi volsi dietro a’ miei dottori, +com’ om che va secondo ch’elli ascolta. + +E quale, annunziatrice de li albori, +l’aura di maggio movesi e olezza, +tutta impregnata da l’erba e da’ fiori; + +tal mi senti’ un vento dar per mezza +la fronte, e ben senti’ mover la piuma, +che fé sentir d’ambrosïa l’orezza. + +E senti’ dir: «Beati cui alluma +tanto di grazia, che l’amor del gusto +nel petto lor troppo disir non fuma, + +esurïendo sempre quanto è giusto!». + + + +Purgatorio · Canto XXV + + +Ora era onde ’l salir non volea storpio; +ché ’l sole avëa il cerchio di merigge +lasciato al Tauro e la notte a lo Scorpio: + +per che, come fa l’uom che non s’affigge +ma vassi a la via sua, che che li appaia, +se di bisogno stimolo il trafigge, + +così intrammo noi per la callaia, +uno innanzi altro prendendo la scala +che per artezza i salitor dispaia. + +E quale il cicognin che leva l’ala +per voglia di volare, e non s’attenta +d’abbandonar lo nido, e giù la cala; + +tal era io con voglia accesa e spenta +di dimandar, venendo infino a l’atto +che fa colui ch’a dicer s’argomenta. + +Non lasciò, per l’andar che fosse ratto, +lo dolce padre mio, ma disse: «Scocca +l’arco del dir, che ’nfino al ferro hai tratto». + +Allor sicuramente apri’ la bocca +e cominciai: «Come si può far magro +là dove l’uopo di nodrir non tocca?». + +«Se t’ammentassi come Meleagro +si consumò al consumar d’un stizzo, +non fora», disse, «a te questo sì agro; + +e se pensassi come, al vostro guizzo, +guizza dentro a lo specchio vostra image, +ciò che par duro ti parrebbe vizzo. + +Ma perché dentro a tuo voler t’adage, +ecco qui Stazio; e io lui chiamo e prego +che sia or sanator de le tue piage». + +«Se la veduta etterna li dislego», +rispuose Stazio, «là dove tu sie, +discolpi me non potert’ io far nego». + +Poi cominciò: «Se le parole mie, +figlio, la mente tua guarda e riceve, +lume ti fiero al come che tu die. + +Sangue perfetto, che poi non si beve +da l’assetate vene, e si rimane +quasi alimento che di mensa leve, + +prende nel core a tutte membra umane +virtute informativa, come quello +ch’a farsi quelle per le vene vane. + +Ancor digesto, scende ov’ è più bello +tacer che dire; e quindi poscia geme +sovr’ altrui sangue in natural vasello. + +Ivi s’accoglie l’uno e l’altro insieme, +l’un disposto a patire, e l’altro a fare +per lo perfetto loco onde si preme; + +e, giunto lui, comincia ad operare +coagulando prima, e poi avviva +ciò che per sua matera fé constare. + +Anima fatta la virtute attiva +qual d’una pianta, in tanto differente, +che questa è in via e quella è già a riva, + +tanto ovra poi, che già si move e sente, +come spungo marino; e indi imprende +ad organar le posse ond’ è semente. + +Or si spiega, figliuolo, or si distende +la virtù ch’è dal cor del generante, +dove natura a tutte membra intende. + +Ma come d’animal divegna fante, +non vedi tu ancor: quest’ è tal punto, +che più savio di te fé già errante, + +sì che per sua dottrina fé disgiunto +da l’anima il possibile intelletto, +perché da lui non vide organo assunto. + +Apri a la verità che viene il petto; +e sappi che, sì tosto come al feto +l’articular del cerebro è perfetto, + +lo motor primo a lui si volge lieto +sovra tant’ arte di natura, e spira +spirito novo, di vertù repleto, + +che ciò che trova attivo quivi, tira +in sua sustanzia, e fassi un’alma sola, +che vive e sente e sé in sé rigira. + +E perché meno ammiri la parola, +guarda il calor del sole che si fa vino, +giunto a l’omor che de la vite cola. + +Quando Làchesis non ha più del lino, +solvesi da la carne, e in virtute +ne porta seco e l’umano e ’l divino: + +l’altre potenze tutte quante mute; +memoria, intelligenza e volontade +in atto molto più che prima agute. + +Sanza restarsi, per sé stessa cade +mirabilmente a l’una de le rive; +quivi conosce prima le sue strade. + +Tosto che loco lì la circunscrive, +la virtù formativa raggia intorno +così e quanto ne le membra vive. + +E come l’aere, quand’ è ben pïorno, +per l’altrui raggio che ’n sé si reflette, +di diversi color diventa addorno; + +così l’aere vicin quivi si mette +e in quella forma ch’è in lui suggella +virtüalmente l’alma che ristette; + +e simigliante poi a la fiammella +che segue il foco là ’vunque si muta, +segue lo spirto sua forma novella. + +Però che quindi ha poscia sua paruta, +è chiamata ombra; e quindi organa poi +ciascun sentire infino a la veduta. + +Quindi parliamo e quindi ridiam noi; +quindi facciam le lagrime e ’ sospiri +che per lo monte aver sentiti puoi. + +Secondo che ci affliggono i disiri +e li altri affetti, l’ombra si figura; +e quest’ è la cagion di che tu miri». + +E già venuto a l’ultima tortura +s’era per noi, e vòlto a la man destra, +ed eravamo attenti ad altra cura. + +Quivi la ripa fiamma in fuor balestra, +e la cornice spira fiato in suso +che la reflette e via da lei sequestra; + +ond’ ir ne convenia dal lato schiuso +ad uno ad uno; e io temëa ’l foco +quinci, e quindi temeva cader giuso. + +Lo duca mio dicea: «Per questo loco +si vuol tenere a li occhi stretto il freno, +però ch’errar potrebbesi per poco». + +‘Summae Deus clementïae’ nel seno +al grande ardore allora udi’ cantando, +che di volger mi fé caler non meno; + +e vidi spirti per la fiamma andando; +per ch’io guardava a loro e a’ miei passi +compartendo la vista a quando a quando. + +Appresso il fine ch’a quell’ inno fassi, +gridavano alto: ‘Virum non cognosco’; +indi ricominciavan l’inno bassi. + +Finitolo, anco gridavano: «Al bosco +si tenne Diana, ed Elice caccionne +che di Venere avea sentito il tòsco». + +Indi al cantar tornavano; indi donne +gridavano e mariti che fuor casti +come virtute e matrimonio imponne. + +E questo modo credo che lor basti +per tutto il tempo che ’l foco li abbruscia: +con tal cura conviene e con tai pasti + +che la piaga da sezzo si ricuscia. + + + +Purgatorio · Canto XXVI + + +Mentre che sì per l’orlo, uno innanzi altro, +ce n’andavamo, e spesso il buon maestro +diceami: «Guarda: giovi ch’io ti scaltro»; + +feriami il sole in su l’omero destro, +che già, raggiando, tutto l’occidente +mutava in bianco aspetto di cilestro; + +e io facea con l’ombra più rovente +parer la fiamma; e pur a tanto indizio +vidi molt’ ombre, andando, poner mente. + +Questa fu la cagion che diede inizio +loro a parlar di me; e cominciarsi +a dir: «Colui non par corpo fittizio»; + +poi verso me, quanto potëan farsi, +certi si fero, sempre con riguardo +di non uscir dove non fosser arsi. + +«O tu che vai, non per esser più tardo, +ma forse reverente, a li altri dopo, +rispondi a me che ’n sete e ’n foco ardo. + +Né solo a me la tua risposta è uopo; +ché tutti questi n’hanno maggior sete +che d’acqua fredda Indo o Etïopo. + +Dinne com’ è che fai di te parete +al sol, pur come tu non fossi ancora +di morte intrato dentro da la rete». + +Sì mi parlava un d’essi; e io mi fora +già manifesto, s’io non fossi atteso +ad altra novità ch’apparve allora; + +ché per lo mezzo del cammino acceso +venne gente col viso incontro a questa, +la qual mi fece a rimirar sospeso. + +Lì veggio d’ogne parte farsi presta +ciascun’ ombra e basciarsi una con una +sanza restar, contente a brieve festa; + +così per entro loro schiera bruna +s’ammusa l’una con l’altra formica, +forse a spïar lor via e lor fortuna. + +Tosto che parton l’accoglienza amica, +prima che ’l primo passo lì trascorra, +sopragridar ciascuna s’affatica: + +la nova gente: «Soddoma e Gomorra»; +e l’altra: «Ne la vacca entra Pasife, +perché ’l torello a sua lussuria corra». + +Poi, come grue ch’a le montagne Rife +volasser parte, e parte inver’ l’arene, +queste del gel, quelle del sole schife, + +l’una gente sen va, l’altra sen vene; +e tornan, lagrimando, a’ primi canti +e al gridar che più lor si convene; + +e raccostansi a me, come davanti, +essi medesmi che m’avean pregato, +attenti ad ascoltar ne’ lor sembianti. + +Io, che due volte avea visto lor grato, +incominciai: «O anime sicure +d’aver, quando che sia, di pace stato, + +non son rimase acerbe né mature +le membra mie di là, ma son qui meco +col sangue suo e con le sue giunture. + +Quinci sù vo per non esser più cieco; +donna è di sopra che m’acquista grazia, +per che ’l mortal per vostro mondo reco. + +Ma se la vostra maggior voglia sazia +tosto divegna, sì che ’l ciel v’alberghi +ch’è pien d’amore e più ampio si spazia, + +ditemi, acciò ch’ancor carte ne verghi, +chi siete voi, e chi è quella turba +che se ne va di retro a’ vostri terghi». + +Non altrimenti stupido si turba +lo montanaro, e rimirando ammuta, +quando rozzo e salvatico s’inurba, + +che ciascun’ ombra fece in sua paruta; +ma poi che furon di stupore scarche, +lo qual ne li alti cuor tosto s’attuta, + +«Beato te, che de le nostre marche», +ricominciò colei che pria m’inchiese, +«per morir meglio, esperïenza imbarche! + +La gente che non vien con noi, offese +di ciò per che già Cesar, trïunfando, +“Regina” contra sé chiamar s’intese: + +però si parton “Soddoma” gridando, +rimproverando a sé com’ hai udito, +e aiutan l’arsura vergognando. + +Nostro peccato fu ermafrodito; +ma perché non servammo umana legge, +seguendo come bestie l’appetito, + +in obbrobrio di noi, per noi si legge, +quando partinci, il nome di colei +che s’imbestiò ne le ’mbestiate schegge. + +Or sai nostri atti e di che fummo rei: +se forse a nome vuo’ saper chi semo, +tempo non è di dire, e non saprei. + +Farotti ben di me volere scemo: +son Guido Guinizzelli, e già mi purgo +per ben dolermi prima ch’a lo stremo». + +Quali ne la tristizia di Ligurgo +si fer due figli a riveder la madre, +tal mi fec’ io, ma non a tanto insurgo, + +quand’ io odo nomar sé stesso il padre +mio e de li altri miei miglior che mai +rime d’amore usar dolci e leggiadre; + +e sanza udire e dir pensoso andai +lunga fïata rimirando lui, +né, per lo foco, in là più m’appressai. + +Poi che di riguardar pasciuto fui, +tutto m’offersi pronto al suo servigio +con l’affermar che fa credere altrui. + +Ed elli a me: «Tu lasci tal vestigio, +per quel ch’i’ odo, in me, e tanto chiaro, +che Letè nol può tòrre né far bigio. + +Ma se le tue parole or ver giuraro, +dimmi che è cagion per che dimostri +nel dire e nel guardar d’avermi caro». + +E io a lui: «Li dolci detti vostri, +che, quanto durerà l’uso moderno, +faranno cari ancora i loro incostri». + +«O frate», disse, «questi ch’io ti cerno +col dito», e additò un spirto innanzi, +«fu miglior fabbro del parlar materno. + +Versi d’amore e prose di romanzi +soverchiò tutti; e lascia dir li stolti +che quel di Lemosì credon ch’avanzi. + +A voce più ch’al ver drizzan li volti, +e così ferman sua oppinïone +prima ch’arte o ragion per lor s’ascolti. + +Così fer molti antichi di Guittone, +di grido in grido pur lui dando pregio, +fin che l’ha vinto il ver con più persone. + +Or se tu hai sì ampio privilegio, +che licito ti sia l’andare al chiostro +nel quale è Cristo abate del collegio, + +falli per me un dir d’un paternostro, +quanto bisogna a noi di questo mondo, +dove poter peccar non è più nostro». + +Poi, forse per dar luogo altrui secondo +che presso avea, disparve per lo foco, +come per l’acqua il pesce andando al fondo. + +Io mi fei al mostrato innanzi un poco, +e dissi ch’al suo nome il mio disire +apparecchiava grazïoso loco. + +El cominciò liberamente a dire: +«Tan m’abellis vostre cortes deman, +qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. + +Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; +consiros vei la passada folor, +e vei jausen lo joi qu’esper, denan. + +Ara vos prec, per aquella valor +que vos guida al som de l’escalina, +sovenha vos a temps de ma dolor!». + +Poi s’ascose nel foco che li affina. + + + +Purgatorio · Canto XXVII + + +Sì come quando i primi raggi vibra +là dove il suo fattor lo sangue sparse, +cadendo Ibero sotto l’alta Libra, + +e l’onde in Gange da nona rïarse, +sì stava il sole; onde ’l giorno sen giva, +come l’angel di Dio lieto ci apparse. + +Fuor de la fiamma stava in su la riva, +e cantava ‘Beati mundo corde!’ +in voce assai più che la nostra viva. + +Poscia «Più non si va, se pria non morde, +anime sante, il foco: intrate in esso, +e al cantar di là non siate sorde», + +ci disse come noi li fummo presso; +per ch’io divenni tal, quando lo ’ntesi, +qual è colui che ne la fossa è messo. + +In su le man commesse mi protesi, +guardando il foco e imaginando forte +umani corpi già veduti accesi. + +Volsersi verso me le buone scorte; +e Virgilio mi disse: «Figliuol mio, +qui può esser tormento, ma non morte. + +Ricorditi, ricorditi! E se io +sovresso Gerïon ti guidai salvo, +che farò ora presso più a Dio? + +Credi per certo che se dentro a l’alvo +di questa fiamma stessi ben mille anni, +non ti potrebbe far d’un capel calvo. + +E se tu forse credi ch’io t’inganni, +fatti ver’ lei, e fatti far credenza +con le tue mani al lembo d’i tuoi panni. + +Pon giù omai, pon giù ogne temenza; +volgiti in qua e vieni: entra sicuro!». +E io pur fermo e contra coscïenza. + +Quando mi vide star pur fermo e duro, +turbato un poco disse: «Or vedi, figlio: +tra Bëatrice e te è questo muro». + +Come al nome di Tisbe aperse il ciglio +Piramo in su la morte, e riguardolla, +allor che ’l gelso diventò vermiglio; + +così, la mia durezza fatta solla, +mi volsi al savio duca, udendo il nome +che ne la mente sempre mi rampolla. + +Ond’ ei crollò la fronte e disse: «Come! +volenci star di qua?»; indi sorrise +come al fanciul si fa ch’è vinto al pome. + +Poi dentro al foco innanzi mi si mise, +pregando Stazio che venisse retro, +che pria per lunga strada ci divise. + +Sì com’ fui dentro, in un bogliente vetro +gittato mi sarei per rinfrescarmi, +tant’ era ivi lo ’ncendio sanza metro. + +Lo dolce padre mio, per confortarmi, +pur di Beatrice ragionando andava, +dicendo: «Li occhi suoi già veder parmi». + +Guidavaci una voce che cantava +di là; e noi, attenti pur a lei, +venimmo fuor là ove si montava. + +‘Venite, benedicti Patris mei’, +sonò dentro a un lume che lì era, +tal che mi vinse e guardar nol potei. + +«Lo sol sen va», soggiunse, «e vien la sera; +non v’arrestate, ma studiate il passo, +mentre che l’occidente non si annera». + +Dritta salia la via per entro ’l sasso +verso tal parte ch’io toglieva i raggi +dinanzi a me del sol ch’era già basso. + +E di pochi scaglion levammo i saggi, +che ’l sol corcar, per l’ombra che si spense, +sentimmo dietro e io e li miei saggi. + +E pria che ’n tutte le sue parti immense +fosse orizzonte fatto d’uno aspetto, +e notte avesse tutte sue dispense, + +ciascun di noi d’un grado fece letto; +ché la natura del monte ci affranse +la possa del salir più e ’l diletto. + +Quali si stanno ruminando manse +le capre, state rapide e proterve +sovra le cime avante che sien pranse, + +tacite a l’ombra, mentre che ’l sol ferve, +guardate dal pastor, che ’n su la verga +poggiato s’è e lor di posa serve; + +e quale il mandrïan che fori alberga, +lungo il pecuglio suo queto pernotta, +guardando perché fiera non lo sperga; + +tali eravamo tutti e tre allotta, +io come capra, ed ei come pastori, +fasciati quinci e quindi d’alta grotta. + +Poco parer potea lì del di fori; +ma, per quel poco, vedea io le stelle +di lor solere e più chiare e maggiori. + +Sì ruminando e sì mirando in quelle, +mi prese il sonno; il sonno che sovente, +anzi che ’l fatto sia, sa le novelle. + +Ne l’ora, credo, che de l’orïente +prima raggiò nel monte Citerea, +che di foco d’amor par sempre ardente, + +giovane e bella in sogno mi parea +donna vedere andar per una landa +cogliendo fiori; e cantando dicea: + +«Sappia qualunque il mio nome dimanda +ch’i’ mi son Lia, e vo movendo intorno +le belle mani a farmi una ghirlanda. + +Per piacermi a lo specchio, qui m’addorno; +ma mia suora Rachel mai non si smaga +dal suo miraglio, e siede tutto giorno. + +Ell’ è d’i suoi belli occhi veder vaga +com’ io de l’addornarmi con le mani; +lei lo vedere, e me l’ovrare appaga». + +E già per li splendori antelucani, +che tanto a’ pellegrin surgon più grati, +quanto, tornando, albergan men lontani, + +le tenebre fuggian da tutti lati, +e ’l sonno mio con esse; ond’ io leva’mi, +veggendo i gran maestri già levati. + +«Quel dolce pome che per tanti rami +cercando va la cura de’ mortali, +oggi porrà in pace le tue fami». + +Virgilio inverso me queste cotali +parole usò; e mai non furo strenne +che fosser di piacere a queste iguali. + +Tanto voler sopra voler mi venne +de l’esser sù, ch’ad ogne passo poi +al volo mi sentia crescer le penne. + +Come la scala tutta sotto noi +fu corsa e fummo in su ’l grado superno, +in me ficcò Virgilio li occhi suoi, + +e disse: «Il temporal foco e l’etterno +veduto hai, figlio; e se’ venuto in parte +dov’ io per me più oltre non discerno. + +Tratto t’ho qui con ingegno e con arte; +lo tuo piacere omai prendi per duce; +fuor se’ de l’erte vie, fuor se’ de l’arte. + +Vedi lo sol che ’n fronte ti riluce; +vedi l’erbette, i fiori e li arbuscelli +che qui la terra sol da sé produce. + +Mentre che vegnan lieti li occhi belli +che, lagrimando, a te venir mi fenno, +seder ti puoi e puoi andar tra elli. + +Non aspettar mio dir più né mio cenno; +libero, dritto e sano è tuo arbitrio, +e fallo fora non fare a suo senno: + +per ch’io te sovra te corono e mitrio». + + + +Purgatorio · Canto XXVIII + + +Vago già di cercar dentro e dintorno +la divina foresta spessa e viva, +ch’a li occhi temperava il novo giorno, + +sanza più aspettar, lasciai la riva, +prendendo la campagna lento lento +su per lo suol che d’ogne parte auliva. + +Un’aura dolce, sanza mutamento +avere in sé, mi feria per la fronte +non di più colpo che soave vento; + +per cui le fronde, tremolando, pronte +tutte quante piegavano a la parte +u’ la prim’ ombra gitta il santo monte; + +non però dal loro esser dritto sparte +tanto, che li augelletti per le cime +lasciasser d’operare ogne lor arte; + +ma con piena letizia l’ore prime, +cantando, ricevieno intra le foglie, +che tenevan bordone a le sue rime, + +tal qual di ramo in ramo si raccoglie +per la pineta in su ’l lito di Chiassi, +quand’ Ëolo scilocco fuor discioglie. + +Già m’avean trasportato i lenti passi +dentro a la selva antica tanto, ch’io +non potea rivedere ond’ io mi ’ntrassi; + +ed ecco più andar mi tolse un rio, +che ’nver’ sinistra con sue picciole onde +piegava l’erba che ’n sua ripa uscìo. + +Tutte l’acque che son di qua più monde, +parrieno avere in sé mistura alcuna +verso di quella, che nulla nasconde, + +avvegna che si mova bruna bruna +sotto l’ombra perpetüa, che mai +raggiar non lascia sole ivi né luna. + +Coi piè ristetti e con li occhi passai +di là dal fiumicello, per mirare +la gran varïazion d’i freschi mai; + +e là m’apparve, sì com’ elli appare +subitamente cosa che disvia +per maraviglia tutto altro pensare, + +una donna soletta che si gia +e cantando e scegliendo fior da fiore +ond’ era pinta tutta la sua via. + +«Deh, bella donna, che a’ raggi d’amore +ti scaldi, s’i’ vo’ credere a’ sembianti +che soglion esser testimon del core, + +vegnati in voglia di trarreti avanti», +diss’ io a lei, «verso questa rivera, +tanto ch’io possa intender che tu canti. + +Tu mi fai rimembrar dove e qual era +Proserpina nel tempo che perdette +la madre lei, ed ella primavera». + +Come si volge, con le piante strette +a terra e intra sé, donna che balli, +e piede innanzi piede a pena mette, + +volsesi in su i vermigli e in su i gialli +fioretti verso me, non altrimenti +che vergine che li occhi onesti avvalli; + +e fece i prieghi miei esser contenti, +sì appressando sé, che ’l dolce suono +veniva a me co’ suoi intendimenti. + +Tosto che fu là dove l’erbe sono +bagnate già da l’onde del bel fiume, +di levar li occhi suoi mi fece dono. + +Non credo che splendesse tanto lume +sotto le ciglia a Venere, trafitta +dal figlio fuor di tutto suo costume. + +Ella ridea da l’altra riva dritta, +trattando più color con le sue mani, +che l’alta terra sanza seme gitta. + +Tre passi ci facea il fiume lontani; +ma Elesponto, là ’ve passò Serse, +ancora freno a tutti orgogli umani, + +più odio da Leandro non sofferse +per mareggiare intra Sesto e Abido, +che quel da me perch’ allor non s’aperse. + +«Voi siete nuovi, e forse perch’ io rido», +cominciò ella, «in questo luogo eletto +a l’umana natura per suo nido, + +maravigliando tienvi alcun sospetto; +ma luce rende il salmo Delectasti, +che puote disnebbiar vostro intelletto. + +E tu che se’ dinanzi e mi pregasti, +dì s’altro vuoli udir; ch’i’ venni presta +ad ogne tua question tanto che basti». + +«L’acqua», diss’ io, «e ’l suon de la foresta +impugnan dentro a me novella fede +di cosa ch’io udi’ contraria a questa». + +Ond’ ella: «Io dicerò come procede +per sua cagion ciò ch’ammirar ti face, +e purgherò la nebbia che ti fiede. + +Lo sommo Ben, che solo esso a sé piace, +fé l’uom buono e a bene, e questo loco +diede per arr’ a lui d’etterna pace. + +Per sua difalta qui dimorò poco; +per sua difalta in pianto e in affanno +cambiò onesto riso e dolce gioco. + +Perché ’l turbar che sotto da sé fanno +l’essalazion de l’acqua e de la terra, +che quanto posson dietro al calor vanno, + +a l’uomo non facesse alcuna guerra, +questo monte salìo verso ’l ciel tanto, +e libero n’è d’indi ove si serra. + +Or perché in circuito tutto quanto +l’aere si volge con la prima volta, +se non li è rotto il cerchio d’alcun canto, + +in questa altezza ch’è tutta disciolta +ne l’aere vivo, tal moto percuote, +e fa sonar la selva perch’ è folta; + +e la percossa pianta tanto puote, +che de la sua virtute l’aura impregna +e quella poi, girando, intorno scuote; + +e l’altra terra, secondo ch’è degna +per sé e per suo ciel, concepe e figlia +di diverse virtù diverse legna. + +Non parrebbe di là poi maraviglia, +udito questo, quando alcuna pianta +sanza seme palese vi s’appiglia. + +E saper dei che la campagna santa +dove tu se’, d’ogne semenza è piena, +e frutto ha in sé che di là non si schianta. + +L’acqua che vedi non surge di vena +che ristori vapor che gel converta, +come fiume ch’acquista e perde lena; + +ma esce di fontana salda e certa, +che tanto dal voler di Dio riprende, +quant’ ella versa da due parti aperta. + +Da questa parte con virtù discende +che toglie altrui memoria del peccato; +da l’altra d’ogne ben fatto la rende. + +Quinci Letè; così da l’altro lato +Eünoè si chiama, e non adopra +se quinci e quindi pria non è gustato: + +a tutti altri sapori esto è di sopra. +E avvegna ch’assai possa esser sazia +la sete tua perch’ io più non ti scuopra, + +darotti un corollario ancor per grazia; +né credo che ’l mio dir ti sia men caro, +se oltre promession teco si spazia. + +Quelli ch’anticamente poetaro +l’età de l’oro e suo stato felice, +forse in Parnaso esto loco sognaro. + +Qui fu innocente l’umana radice; +qui primavera sempre e ogne frutto; +nettare è questo di che ciascun dice». + +Io mi rivolsi ’n dietro allora tutto +a’ miei poeti, e vidi che con riso +udito avëan l’ultimo costrutto; + +poi a la bella donna torna’ il viso. + + + +Purgatorio · Canto XXIX + + +Cantando come donna innamorata, +continüò col fin di sue parole: +‘Beati quorum tecta sunt peccata!’. + +E come ninfe che si givan sole +per le salvatiche ombre, disïando +qual di veder, qual di fuggir lo sole, + +allor si mosse contra ’l fiume, andando +su per la riva; e io pari di lei, +picciol passo con picciol seguitando. + +Non eran cento tra ’ suoi passi e ’ miei, +quando le ripe igualmente dier volta, +per modo ch’a levante mi rendei. + +Né ancor fu così nostra via molta, +quando la donna tutta a me si torse, +dicendo: «Frate mio, guarda e ascolta». + +Ed ecco un lustro sùbito trascorse +da tutte parti per la gran foresta, +tal che di balenar mi mise in forse. + +Ma perché ’l balenar, come vien, resta, +e quel, durando, più e più splendeva, +nel mio pensier dicea: ‘Che cosa è questa?’. + +E una melodia dolce correva +per l’aere luminoso; onde buon zelo +mi fé riprender l’ardimento d’Eva, + +che là dove ubidia la terra e ’l cielo, +femmina, sola e pur testé formata, +non sofferse di star sotto alcun velo; + +sotto ’l qual se divota fosse stata, +avrei quelle ineffabili delizie +sentite prima e più lunga fïata. + +Mentr’ io m’andava tra tante primizie +de l’etterno piacer tutto sospeso, +e disïoso ancora a più letizie, + +dinanzi a noi, tal quale un foco acceso, +ci si fé l’aere sotto i verdi rami; +e ’l dolce suon per canti era già inteso. + +O sacrosante Vergini, se fami, +freddi o vigilie mai per voi soffersi, +cagion mi sprona ch’io mercé vi chiami. + +Or convien che Elicona per me versi, +e Uranìe m’aiuti col suo coro +forti cose a pensar mettere in versi. + +Poco più oltre, sette alberi d’oro +falsava nel parere il lungo tratto +del mezzo ch’era ancor tra noi e loro; + +ma quand’ i’ fui sì presso di lor fatto, +che l’obietto comun, che ’l senso inganna, +non perdea per distanza alcun suo atto, + +la virtù ch’a ragion discorso ammanna, +sì com’ elli eran candelabri apprese, +e ne le voci del cantare ‘Osanna’. + +Di sopra fiammeggiava il bello arnese +più chiaro assai che luna per sereno +di mezza notte nel suo mezzo mese. + +Io mi rivolsi d’ammirazion pieno +al buon Virgilio, ed esso mi rispuose +con vista carca di stupor non meno. + +Indi rendei l’aspetto a l’alte cose +che si movieno incontr’ a noi sì tardi, +che foran vinte da novelle spose. + +La donna mi sgridò: «Perché pur ardi +sì ne l’affetto de le vive luci, +e ciò che vien di retro a lor non guardi?». + +Genti vid’ io allor, come a lor duci, +venire appresso, vestite di bianco; +e tal candor di qua già mai non fuci. + +L’acqua imprendëa dal sinistro fianco, +e rendea me la mia sinistra costa, +s’io riguardava in lei, come specchio anco. + +Quand’ io da la mia riva ebbi tal posta, +che solo il fiume mi facea distante, +per veder meglio ai passi diedi sosta, + +e vidi le fiammelle andar davante, +lasciando dietro a sé l’aere dipinto, +e di tratti pennelli avean sembiante; + +sì che lì sopra rimanea distinto +di sette liste, tutte in quei colori +onde fa l’arco il Sole e Delia il cinto. + +Questi ostendali in dietro eran maggiori +che la mia vista; e, quanto a mio avviso, +diece passi distavan quei di fori. + +Sotto così bel ciel com’ io diviso, +ventiquattro seniori, a due a due, +coronati venien di fiordaliso. + +Tutti cantavan: «Benedicta tue +ne le figlie d’Adamo, e benedette +sieno in etterno le bellezze tue!». + +Poscia che i fiori e l’altre fresche erbette +a rimpetto di me da l’altra sponda +libere fuor da quelle genti elette, + +sì come luce luce in ciel seconda, +vennero appresso lor quattro animali, +coronati ciascun di verde fronda. + +Ognuno era pennuto di sei ali; +le penne piene d’occhi; e li occhi d’Argo, +se fosser vivi, sarebber cotali. + +A descriver lor forme più non spargo +rime, lettor; ch’altra spesa mi strigne, +tanto ch’a questa non posso esser largo; + +ma leggi Ezechïel, che li dipigne +come li vide da la fredda parte +venir con vento e con nube e con igne; + +e quali i troverai ne le sue carte, +tali eran quivi, salvo ch’a le penne +Giovanni è meco e da lui si diparte. + +Lo spazio dentro a lor quattro contenne +un carro, in su due rote, trïunfale, +ch’al collo d’un grifon tirato venne. + +Esso tendeva in sù l’una e l’altra ale +tra la mezzana e le tre e tre liste, +sì ch’a nulla, fendendo, facea male. + +Tanto salivan che non eran viste; +le membra d’oro avea quant’ era uccello, +e bianche l’altre, di vermiglio miste. + +Non che Roma di carro così bello +rallegrasse Affricano, o vero Augusto, +ma quel del Sol saria pover con ello; + +quel del Sol che, svïando, fu combusto +per l’orazion de la Terra devota, +quando fu Giove arcanamente giusto. + +Tre donne in giro da la destra rota +venian danzando; l’una tanto rossa +ch’a pena fora dentro al foco nota; + +l’altr’ era come se le carni e l’ossa +fossero state di smeraldo fatte; +la terza parea neve testé mossa; + +e or parëan da la bianca tratte, +or da la rossa; e dal canto di questa +l’altre toglien l’andare e tarde e ratte. + +Da la sinistra quattro facean festa, +in porpore vestite, dietro al modo +d’una di lor ch’avea tre occhi in testa. + +Appresso tutto il pertrattato nodo +vidi due vecchi in abito dispari, +ma pari in atto e onesto e sodo. + +L’un si mostrava alcun de’ famigliari +di quel sommo Ipocràte che natura +a li animali fé ch’ell’ ha più cari; + +mostrava l’altro la contraria cura +con una spada lucida e aguta, +tal che di qua dal rio mi fé paura. + +Poi vidi quattro in umile paruta; +e di retro da tutti un vecchio solo +venir, dormendo, con la faccia arguta. + +E questi sette col primaio stuolo +erano abitüati, ma di gigli +dintorno al capo non facëan brolo, + +anzi di rose e d’altri fior vermigli; +giurato avria poco lontano aspetto +che tutti ardesser di sopra da’ cigli. + +E quando il carro a me fu a rimpetto, +un tuon s’udì, e quelle genti degne +parvero aver l’andar più interdetto, + +fermandosi ivi con le prime insegne. + + + +Purgatorio · Canto XXX + + +Quando il settentrïon del primo cielo, +che né occaso mai seppe né orto +né d’altra nebbia che di colpa velo, + +e che faceva lì ciascun accorto +di suo dover, come ’l più basso face +qual temon gira per venire a porto, + +fermo s’affisse: la gente verace, +venuta prima tra ’l grifone ed esso, +al carro volse sé come a sua pace; + +e un di loro, quasi da ciel messo, +‘Veni, sponsa, de Libano’ cantando +gridò tre volte, e tutti li altri appresso. + +Quali i beati al novissimo bando +surgeran presti ognun di sua caverna, +la revestita voce alleluiando, + +cotali in su la divina basterna +si levar cento, ad vocem tanti senis, +ministri e messaggier di vita etterna. + +Tutti dicean: ‘Benedictus qui venis!’, +e fior gittando e di sopra e dintorno, +‘Manibus, oh, date lilïa plenis!’. + +Io vidi già nel cominciar del giorno +la parte orïental tutta rosata, +e l’altro ciel di bel sereno addorno; + +e la faccia del sol nascere ombrata, +sì che per temperanza di vapori +l’occhio la sostenea lunga fïata: + +così dentro una nuvola di fiori +che da le mani angeliche saliva +e ricadeva in giù dentro e di fori, + +sovra candido vel cinta d’uliva +donna m’apparve, sotto verde manto +vestita di color di fiamma viva. + +E lo spirito mio, che già cotanto +tempo era stato ch’a la sua presenza +non era di stupor, tremando, affranto, + +sanza de li occhi aver più conoscenza, +per occulta virtù che da lei mosse, +d’antico amor sentì la gran potenza. + +Tosto che ne la vista mi percosse +l’alta virtù che già m’avea trafitto +prima ch’io fuor di püerizia fosse, + +volsimi a la sinistra col respitto +col quale il fantolin corre a la mamma +quando ha paura o quando elli è afflitto, + +per dicere a Virgilio: ‘Men che dramma +di sangue m’è rimaso che non tremi: +conosco i segni de l’antica fiamma’. + +Ma Virgilio n’avea lasciati scemi +di sé, Virgilio dolcissimo patre, +Virgilio a cui per mia salute die’mi; + +né quantunque perdeo l’antica matre, +valse a le guance nette di rugiada, +che, lagrimando, non tornasser atre. + +«Dante, perché Virgilio se ne vada, +non pianger anco, non piangere ancora; +ché pianger ti conven per altra spada». + +Quasi ammiraglio che in poppa e in prora +viene a veder la gente che ministra +per li altri legni, e a ben far l’incora; + +in su la sponda del carro sinistra, +quando mi volsi al suon del nome mio, +che di necessità qui si registra, + +vidi la donna che pria m’appario +velata sotto l’angelica festa, +drizzar li occhi ver’ me di qua dal rio. + +Tutto che ’l vel che le scendea di testa, +cerchiato de le fronde di Minerva, +non la lasciasse parer manifesta, + +regalmente ne l’atto ancor proterva +continüò come colui che dice +e ’l più caldo parlar dietro reserva: + +«Guardaci ben! Ben son, ben son Beatrice. +Come degnasti d’accedere al monte? +non sapei tu che qui è l’uom felice?». + +Li occhi mi cadder giù nel chiaro fonte; +ma veggendomi in esso, i trassi a l’erba, +tanta vergogna mi gravò la fronte. + +Così la madre al figlio par superba, +com’ ella parve a me; perché d’amaro +sente il sapor de la pietade acerba. + +Ella si tacque; e li angeli cantaro +di sùbito ‘In te, Domine, speravi’; +ma oltre ‘pedes meos’ non passaro. + +Sì come neve tra le vive travi +per lo dosso d’Italia si congela, +soffiata e stretta da li venti schiavi, + +poi, liquefatta, in sé stessa trapela, +pur che la terra che perde ombra spiri, +sì che par foco fonder la candela; + +così fui sanza lagrime e sospiri +anzi ’l cantar di quei che notan sempre +dietro a le note de li etterni giri; + +ma poi che ’ntesi ne le dolci tempre +lor compatire a me, par che se detto +avesser: ‘Donna, perché sì lo stempre?’, + +lo gel che m’era intorno al cor ristretto, +spirito e acqua fessi, e con angoscia +de la bocca e de li occhi uscì del petto. + +Ella, pur ferma in su la detta coscia +del carro stando, a le sustanze pie +volse le sue parole così poscia: + +«Voi vigilate ne l’etterno die, +sì che notte né sonno a voi non fura +passo che faccia il secol per sue vie; + +onde la mia risposta è con più cura +che m’intenda colui che di là piagne, +perché sia colpa e duol d’una misura. + +Non pur per ovra de le rote magne, +che drizzan ciascun seme ad alcun fine +secondo che le stelle son compagne, + +ma per larghezza di grazie divine, +che sì alti vapori hanno a lor piova, +che nostre viste là non van vicine, + +questi fu tal ne la sua vita nova +virtüalmente, ch’ogne abito destro +fatto averebbe in lui mirabil prova. + +Ma tanto più maligno e più silvestro +si fa ’l terren col mal seme e non cólto, +quant’ elli ha più di buon vigor terrestro. + +Alcun tempo il sostenni col mio volto: +mostrando li occhi giovanetti a lui, +meco il menava in dritta parte vòlto. + +Sì tosto come in su la soglia fui +di mia seconda etade e mutai vita, +questi si tolse a me, e diessi altrui. + +Quando di carne a spirto era salita, +e bellezza e virtù cresciuta m’era, +fu’ io a lui men cara e men gradita; + +e volse i passi suoi per via non vera, +imagini di ben seguendo false, +che nulla promession rendono intera. + +Né l’impetrare ispirazion mi valse, +con le quali e in sogno e altrimenti +lo rivocai: sì poco a lui ne calse! + +Tanto giù cadde, che tutti argomenti +a la salute sua eran già corti, +fuor che mostrarli le perdute genti. + +Per questo visitai l’uscio d’i morti, +e a colui che l’ha qua sù condotto, +li prieghi miei, piangendo, furon porti. + +Alto fato di Dio sarebbe rotto, +se Letè si passasse e tal vivanda +fosse gustata sanza alcuno scotto + +di pentimento che lagrime spanda». + + + +Purgatorio · Canto XXXI + + +«O tu che se’ di là dal fiume sacro», +volgendo suo parlare a me per punta, +che pur per taglio m’era paruto acro, + +ricominciò, seguendo sanza cunta, +«dì, dì se questo è vero: a tanta accusa +tua confession conviene esser congiunta». + +Era la mia virtù tanto confusa, +che la voce si mosse, e pria si spense +che da li organi suoi fosse dischiusa. + +Poco sofferse; poi disse: «Che pense? +Rispondi a me; ché le memorie triste +in te non sono ancor da l’acqua offense». + +Confusione e paura insieme miste +mi pinsero un tal «sì» fuor de la bocca, +al quale intender fuor mestier le viste. + +Come balestro frange, quando scocca +da troppa tesa, la sua corda e l’arco, +e con men foga l’asta il segno tocca, + +sì scoppia’ io sottesso grave carco, +fuori sgorgando lagrime e sospiri, +e la voce allentò per lo suo varco. + +Ond’ ella a me: «Per entro i mie’ disiri, +che ti menavano ad amar lo bene +di là dal qual non è a che s’aspiri, + +quai fossi attraversati o quai catene +trovasti, per che del passare innanzi +dovessiti così spogliar la spene? + +E quali agevolezze o quali avanzi +ne la fronte de li altri si mostraro, +per che dovessi lor passeggiare anzi?». + +Dopo la tratta d’un sospiro amaro, +a pena ebbi la voce che rispuose, +e le labbra a fatica la formaro. + +Piangendo dissi: «Le presenti cose +col falso lor piacer volser miei passi, +tosto che ’l vostro viso si nascose». + +Ed ella: «Se tacessi o se negassi +ciò che confessi, non fora men nota +la colpa tua: da tal giudice sassi! + +Ma quando scoppia de la propria gota +l’accusa del peccato, in nostra corte +rivolge sé contra ’l taglio la rota. + +Tuttavia, perché mo vergogna porte +del tuo errore, e perché altra volta, +udendo le serene, sie più forte, + +pon giù il seme del piangere e ascolta: +sì udirai come in contraria parte +mover dovieti mia carne sepolta. + +Mai non t’appresentò natura o arte +piacer, quanto le belle membra in ch’io +rinchiusa fui, e che so’ ’n terra sparte; + +e se ’l sommo piacer sì ti fallio +per la mia morte, qual cosa mortale +dovea poi trarre te nel suo disio? + +Ben ti dovevi, per lo primo strale +de le cose fallaci, levar suso +di retro a me che non era più tale. + +Non ti dovea gravar le penne in giuso, +ad aspettar più colpo, o pargoletta +o altra novità con sì breve uso. + +Novo augelletto due o tre aspetta; +ma dinanzi da li occhi d’i pennuti +rete si spiega indarno o si saetta». + +Quali fanciulli, vergognando, muti +con li occhi a terra stannosi, ascoltando +e sé riconoscendo e ripentuti, + +tal mi stav’ io; ed ella disse: «Quando +per udir se’ dolente, alza la barba, +e prenderai più doglia riguardando». + +Con men di resistenza si dibarba +robusto cerro, o vero al nostral vento +o vero a quel de la terra di Iarba, + +ch’io non levai al suo comando il mento; +e quando per la barba il viso chiese, +ben conobbi il velen de l’argomento. + +E come la mia faccia si distese, +posarsi quelle prime creature +da loro aspersïon l’occhio comprese; + +e le mie luci, ancor poco sicure, +vider Beatrice volta in su la fiera +ch’è sola una persona in due nature. + +Sotto ’l suo velo e oltre la rivera +vincer pariemi più sé stessa antica, +vincer che l’altre qui, quand’ ella c’era. + +Di penter sì mi punse ivi l’ortica, +che di tutte altre cose qual mi torse +più nel suo amor, più mi si fé nemica. + +Tanta riconoscenza il cor mi morse, +ch’io caddi vinto; e quale allora femmi, +salsi colei che la cagion mi porse. + +Poi, quando il cor virtù di fuor rendemmi, +la donna ch’io avea trovata sola +sopra me vidi, e dicea: «Tiemmi, tiemmi!». + +Tratto m’avea nel fiume infin la gola, +e tirandosi me dietro sen giva +sovresso l’acqua lieve come scola. + +Quando fui presso a la beata riva, +‘Asperges me’ sì dolcemente udissi, +che nol so rimembrar, non ch’io lo scriva. + +La bella donna ne le braccia aprissi; +abbracciommi la testa e mi sommerse +ove convenne ch’io l’acqua inghiottissi. + +Indi mi tolse, e bagnato m’offerse +dentro a la danza de le quattro belle; +e ciascuna del braccio mi coperse. + +«Noi siam qui ninfe e nel ciel siamo stelle; +pria che Beatrice discendesse al mondo, +fummo ordinate a lei per sue ancelle. + +Merrenti a li occhi suoi; ma nel giocondo +lume ch’è dentro aguzzeranno i tuoi +le tre di là, che miran più profondo». + +Così cantando cominciaro; e poi +al petto del grifon seco menarmi, +ove Beatrice stava volta a noi. + +Disser: «Fa che le viste non risparmi; +posto t’avem dinanzi a li smeraldi +ond’ Amor già ti trasse le sue armi». + +Mille disiri più che fiamma caldi +strinsermi li occhi a li occhi rilucenti, +che pur sopra ’l grifone stavan saldi. + +Come in lo specchio il sol, non altrimenti +la doppia fiera dentro vi raggiava, +or con altri, or con altri reggimenti. + +Pensa, lettor, s’io mi maravigliava, +quando vedea la cosa in sé star queta, +e ne l’idolo suo si trasmutava. + +Mentre che piena di stupore e lieta +l’anima mia gustava di quel cibo +che, saziando di sé, di sé asseta, + +sé dimostrando di più alto tribo +ne li atti, l’altre tre si fero avanti, +danzando al loro angelico caribo. + +«Volgi, Beatrice, volgi li occhi santi», +era la sua canzone, «al tuo fedele +che, per vederti, ha mossi passi tanti! + +Per grazia fa noi grazia che disvele +a lui la bocca tua, sì che discerna +la seconda bellezza che tu cele». + +O isplendor di viva luce etterna, +chi palido si fece sotto l’ombra +sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, + +che non paresse aver la mente ingombra, +tentando a render te qual tu paresti +là dove armonizzando il ciel t’adombra, + +quando ne l’aere aperto ti solvesti? + + + +Purgatorio · Canto XXXII + + +Tant’ eran li occhi miei fissi e attenti +a disbramarsi la decenne sete, +che li altri sensi m’eran tutti spenti. + +Ed essi quinci e quindi avien parete +di non caler—così lo santo riso +a sé traéli con l’antica rete!—; + +quando per forza mi fu vòlto il viso +ver’ la sinistra mia da quelle dee, +perch’ io udi’ da loro un «Troppo fiso!»; + +e la disposizion ch’a veder èe +ne li occhi pur testé dal sol percossi, +sanza la vista alquanto esser mi fée. + +Ma poi ch’al poco il viso riformossi +(e dico ‘al poco’ per rispetto al molto +sensibile onde a forza mi rimossi), + +vidi ’n sul braccio destro esser rivolto +lo glorïoso essercito, e tornarsi +col sole e con le sette fiamme al volto. + +Come sotto li scudi per salvarsi +volgesi schiera, e sé gira col segno, +prima che possa tutta in sé mutarsi; + +quella milizia del celeste regno +che procedeva, tutta trapassonne +pria che piegasse il carro il primo legno. + +Indi a le rote si tornar le donne, +e ’l grifon mosse il benedetto carco +sì, che però nulla penna crollonne. + +La bella donna che mi trasse al varco +e Stazio e io seguitavam la rota +che fé l’orbita sua con minore arco. + +Sì passeggiando l’alta selva vòta, +colpa di quella ch’al serpente crese, +temprava i passi un’angelica nota. + +Forse in tre voli tanto spazio prese +disfrenata saetta, quanto eramo +rimossi, quando Bëatrice scese. + +Io senti’ mormorare a tutti «Adamo»; +poi cerchiaro una pianta dispogliata +di foglie e d’altra fronda in ciascun ramo. + +La coma sua, che tanto si dilata +più quanto più è sù, fora da l’Indi +ne’ boschi lor per altezza ammirata. + +«Beato se’, grifon, che non discindi +col becco d’esto legno dolce al gusto, +poscia che mal si torce il ventre quindi». + +Così dintorno a l’albero robusto +gridaron li altri; e l’animal binato: +«Sì si conserva il seme d’ogne giusto». + +E vòlto al temo ch’elli avea tirato, +trasselo al piè de la vedova frasca, +e quel di lei a lei lasciò legato. + +Come le nostre piante, quando casca +giù la gran luce mischiata con quella +che raggia dietro a la celeste lasca, + +turgide fansi, e poi si rinovella +di suo color ciascuna, pria che ’l sole +giunga li suoi corsier sotto altra stella; + +men che di rose e più che di vïole +colore aprendo, s’innovò la pianta, +che prima avea le ramora sì sole. + +Io non lo ’ntesi, né qui non si canta +l’inno che quella gente allor cantaro, +né la nota soffersi tutta quanta. + +S’io potessi ritrar come assonnaro +li occhi spietati udendo di Siringa, +li occhi a cui pur vegghiar costò sì caro; + +come pintor che con essempro pinga, +disegnerei com’ io m’addormentai; +ma qual vuol sia che l’assonnar ben finga. + +Però trascorro a quando mi svegliai, +e dico ch’un splendor mi squarciò ’l velo +del sonno, e un chiamar: «Surgi: che fai?». + +Quali a veder de’ fioretti del melo +che del suo pome li angeli fa ghiotti +e perpetüe nozze fa nel cielo, + +Pietro e Giovanni e Iacopo condotti +e vinti, ritornaro a la parola +da la qual furon maggior sonni rotti, + +e videro scemata loro scuola +così di Moïsè come d’Elia, +e al maestro suo cangiata stola; + +tal torna’ io, e vidi quella pia +sovra me starsi che conducitrice +fu de’ miei passi lungo ’l fiume pria. + +E tutto in dubbio dissi: «Ov’ è Beatrice?». +Ond’ ella: «Vedi lei sotto la fronda +nova sedere in su la sua radice. + +Vedi la compagnia che la circonda: +li altri dopo ’l grifon sen vanno suso +con più dolce canzone e più profonda». + +E se più fu lo suo parlar diffuso, +non so, però che già ne li occhi m’era +quella ch’ad altro intender m’avea chiuso. + +Sola sedeasi in su la terra vera, +come guardia lasciata lì del plaustro +che legar vidi a la biforme fera. + +In cerchio le facevan di sé claustro +le sette ninfe, con quei lumi in mano +che son sicuri d’Aquilone e d’Austro. + +«Qui sarai tu poco tempo silvano; +e sarai meco sanza fine cive +di quella Roma onde Cristo è romano. + +Però, in pro del mondo che mal vive, +al carro tieni or li occhi, e quel che vedi, +ritornato di là, fa che tu scrive». + +Così Beatrice; e io, che tutto ai piedi +d’i suoi comandamenti era divoto, +la mente e li occhi ov’ ella volle diedi. + +Non scese mai con sì veloce moto +foco di spessa nube, quando piove +da quel confine che più va remoto, + +com’ io vidi calar l’uccel di Giove +per l’alber giù, rompendo de la scorza, +non che d’i fiori e de le foglie nove; + +e ferì ’l carro di tutta sua forza; +ond’ el piegò come nave in fortuna, +vinta da l’onda, or da poggia, or da orza. + +Poscia vidi avventarsi ne la cuna +del trïunfal veiculo una volpe +che d’ogne pasto buon parea digiuna; + +ma, riprendendo lei di laide colpe, +la donna mia la volse in tanta futa +quanto sofferser l’ossa sanza polpe. + +Poscia per indi ond’ era pria venuta, +l’aguglia vidi scender giù ne l’arca +del carro e lasciar lei di sé pennuta; + +e qual esce di cuor che si rammarca, +tal voce uscì del cielo e cotal disse: +«O navicella mia, com’ mal se’ carca!». + +Poi parve a me che la terra s’aprisse +tr’ambo le ruote, e vidi uscirne un drago +che per lo carro sù la coda fisse; + +e come vespa che ritragge l’ago, +a sé traendo la coda maligna, +trasse del fondo, e gissen vago vago. + +Quel che rimase, come da gramigna +vivace terra, da la piuma, offerta +forse con intenzion sana e benigna, + +si ricoperse, e funne ricoperta +e l’una e l’altra rota e ’l temo, in tanto +che più tiene un sospir la bocca aperta. + +Trasformato così ’l dificio santo +mise fuor teste per le parti sue, +tre sovra ’l temo e una in ciascun canto. + +Le prime eran cornute come bue, +ma le quattro un sol corno avean per fronte: +simile mostro visto ancor non fue. + +Sicura, quasi rocca in alto monte, +seder sovresso una puttana sciolta +m’apparve con le ciglia intorno pronte; + +e come perché non li fosse tolta, +vidi di costa a lei dritto un gigante; +e basciavansi insieme alcuna volta. + +Ma perché l’occhio cupido e vagante +a me rivolse, quel feroce drudo +la flagellò dal capo infin le piante; + +poi, di sospetto pieno e d’ira crudo, +disciolse il mostro, e trassel per la selva, +tanto che sol di lei mi fece scudo + +a la puttana e a la nova belva. + + + +Purgatorio · Canto XXXIII + + +‘Deus, venerunt gentes’, alternando +or tre or quattro dolce salmodia, +le donne incominciaro, e lagrimando; + +e Bëatrice, sospirosa e pia, +quelle ascoltava sì fatta, che poco +più a la croce si cambiò Maria. + +Ma poi che l’altre vergini dier loco +a lei di dir, levata dritta in pè, +rispuose, colorata come foco: + +‘Modicum, et non videbitis me; +et iterum, sorelle mie dilette, +modicum, et vos videbitis me’. + +Poi le si mise innanzi tutte e sette, +e dopo sé, solo accennando, mosse +me e la donna e ’l savio che ristette. + +Così sen giva; e non credo che fosse +lo decimo suo passo in terra posto, +quando con li occhi li occhi mi percosse; + +e con tranquillo aspetto «Vien più tosto», +mi disse, «tanto che, s’io parlo teco, +ad ascoltarmi tu sie ben disposto». + +Sì com’ io fui, com’ io dovëa, seco, +dissemi: «Frate, perché non t’attenti +a domandarmi omai venendo meco?». + +Come a color che troppo reverenti +dinanzi a suo maggior parlando sono, +che non traggon la voce viva ai denti, + +avvenne a me, che sanza intero suono +incominciai: «Madonna, mia bisogna +voi conoscete, e ciò ch’ad essa è buono». + +Ed ella a me: «Da tema e da vergogna +voglio che tu omai ti disviluppe, +sì che non parli più com’ om che sogna. + +Sappi che ’l vaso che ’l serpente ruppe, +fu e non è; ma chi n’ha colpa, creda +che vendetta di Dio non teme suppe. + +Non sarà tutto tempo sanza reda +l’aguglia che lasciò le penne al carro, +per che divenne mostro e poscia preda; + +ch’io veggio certamente, e però il narro, +a darne tempo già stelle propinque, +secure d’ogn’ intoppo e d’ogne sbarro, + +nel quale un cinquecento diece e cinque, +messo di Dio, anciderà la fuia +con quel gigante che con lei delinque. + +E forse che la mia narrazion buia, +qual Temi e Sfinge, men ti persuade, +perch’ a lor modo lo ’ntelletto attuia; + +ma tosto fier li fatti le Naiade, +che solveranno questo enigma forte +sanza danno di pecore o di biade. + +Tu nota; e sì come da me son porte, +così queste parole segna a’ vivi +del viver ch’è un correre a la morte. + +E aggi a mente, quando tu le scrivi, +di non celar qual hai vista la pianta +ch’è or due volte dirubata quivi. + +Qualunque ruba quella o quella schianta, +con bestemmia di fatto offende a Dio, +che solo a l’uso suo la creò santa. + +Per morder quella, in pena e in disio +cinquemilia anni e più l’anima prima +bramò colui che ’l morso in sé punio. + +Dorme lo ’ngegno tuo, se non estima +per singular cagione esser eccelsa +lei tanto e sì travolta ne la cima. + +E se stati non fossero acqua d’Elsa +li pensier vani intorno a la tua mente, +e ’l piacer loro un Piramo a la gelsa, + +per tante circostanze solamente +la giustizia di Dio, ne l’interdetto, +conosceresti a l’arbor moralmente. + +Ma perch’ io veggio te ne lo ’ntelletto +fatto di pietra e, impetrato, tinto, +sì che t’abbaglia il lume del mio detto, + +voglio anco, e se non scritto, almen dipinto, +che ’l te ne porti dentro a te per quello +che si reca il bordon di palma cinto». + +E io: «Sì come cera da suggello, +che la figura impressa non trasmuta, +segnato è or da voi lo mio cervello. + +Ma perché tanto sovra mia veduta +vostra parola disïata vola, +che più la perde quanto più s’aiuta?». + +«Perché conoschi», disse, «quella scuola +c’hai seguitata, e veggi sua dottrina +come può seguitar la mia parola; + +e veggi vostra via da la divina +distar cotanto, quanto si discorda +da terra il ciel che più alto festina». + +Ond’ io rispuosi lei: «Non mi ricorda +ch’i’ stranïasse me già mai da voi, +né honne coscïenza che rimorda». + +«E se tu ricordar non te ne puoi», +sorridendo rispuose, «or ti rammenta +come bevesti di Letè ancoi; + +e se dal fummo foco s’argomenta, +cotesta oblivïon chiaro conchiude +colpa ne la tua voglia altrove attenta. + +Veramente oramai saranno nude +le mie parole, quanto converrassi +quelle scovrire a la tua vista rude». + +E più corusco e con più lenti passi +teneva il sole il cerchio di merigge, +che qua e là, come li aspetti, fassi, + +quando s’affisser, sì come s’affigge +chi va dinanzi a gente per iscorta +se trova novitate o sue vestigge, + +le sette donne al fin d’un’ombra smorta, +qual sotto foglie verdi e rami nigri +sovra suoi freddi rivi l’alpe porta. + +Dinanzi ad esse Ëufratès e Tigri +veder mi parve uscir d’una fontana, +e, quasi amici, dipartirsi pigri. + +«O luce, o gloria de la gente umana, +che acqua è questa che qui si dispiega +da un principio e sé da sé lontana?». + +Per cotal priego detto mi fu: «Priega +Matelda che ’l ti dica». E qui rispuose, +come fa chi da colpa si dislega, + +la bella donna: «Questo e altre cose +dette li son per me; e son sicura +che l’acqua di Letè non gliel nascose». + +E Bëatrice: «Forse maggior cura, +che spesse volte la memoria priva, +fatt’ ha la mente sua ne li occhi oscura. + +Ma vedi Eünoè che là diriva: +menalo ad esso, e come tu se’ usa, +la tramortita sua virtù ravviva». + +Come anima gentil, che non fa scusa, +ma fa sua voglia de la voglia altrui +tosto che è per segno fuor dischiusa; + +così, poi che da essa preso fui, +la bella donna mossesi, e a Stazio +donnescamente disse: «Vien con lui». + +S’io avessi, lettor, più lungo spazio +da scrivere, i’ pur cantere’ in parte +lo dolce ber che mai non m’avria sazio; + +ma perché piene son tutte le carte +ordite a questa cantica seconda, +non mi lascia più ir lo fren de l’arte. + +Io ritornai da la santissima onda +rifatto sì come piante novelle +rinovellate di novella fronda, + +puro e disposto a salire a le stelle. + + + + + +PARADISO + + + + +Paradiso · Canto I + + +La gloria di colui che tutto move +per l’universo penetra, e risplende +in una parte più e meno altrove. + +Nel ciel che più de la sua luce prende +fu’ io, e vidi cose che ridire +né sa né può chi di là sù discende; + +perché appressando sé al suo disire, +nostro intelletto si profonda tanto, +che dietro la memoria non può ire. + +Veramente quant’ io del regno santo +ne la mia mente potei far tesoro, +sarà ora materia del mio canto. + +O buono Appollo, a l’ultimo lavoro +fammi del tuo valor sì fatto vaso, +come dimandi a dar l’amato alloro. + +Infino a qui l’un giogo di Parnaso +assai mi fu; ma or con amendue +m’è uopo intrar ne l’aringo rimaso. + +Entra nel petto mio, e spira tue +sì come quando Marsïa traesti +de la vagina de le membra sue. + +O divina virtù, se mi ti presti +tanto che l’ombra del beato regno +segnata nel mio capo io manifesti, + +vedra’mi al piè del tuo diletto legno +venire, e coronarmi de le foglie +che la materia e tu mi farai degno. + +Sì rade volte, padre, se ne coglie +per trïunfare o cesare o poeta, +colpa e vergogna de l’umane voglie, + +che parturir letizia in su la lieta +delfica deïtà dovria la fronda +peneia, quando alcun di sé asseta. + +Poca favilla gran fiamma seconda: +forse di retro a me con miglior voci +si pregherà perché Cirra risponda. + +Surge ai mortali per diverse foci +la lucerna del mondo; ma da quella +che quattro cerchi giugne con tre croci, + +con miglior corso e con migliore stella +esce congiunta, e la mondana cera +più a suo modo tempera e suggella. + +Fatto avea di là mane e di qua sera +tal foce, e quasi tutto era là bianco +quello emisperio, e l’altra parte nera, + +quando Beatrice in sul sinistro fianco +vidi rivolta e riguardar nel sole: +aguglia sì non li s’affisse unquanco. + +E sì come secondo raggio suole +uscir del primo e risalire in suso, +pur come pelegrin che tornar vuole, + +così de l’atto suo, per li occhi infuso +ne l’imagine mia, il mio si fece, +e fissi li occhi al sole oltre nostr’ uso. + +Molto è licito là, che qui non lece +a le nostre virtù, mercé del loco +fatto per proprio de l’umana spece. + +Io nol soffersi molto, né sì poco, +ch’io nol vedessi sfavillar dintorno, +com’ ferro che bogliente esce del foco; + +e di sùbito parve giorno a giorno +essere aggiunto, come quei che puote +avesse il ciel d’un altro sole addorno. + +Beatrice tutta ne l’etterne rote +fissa con li occhi stava; e io in lei +le luci fissi, di là sù rimote. + +Nel suo aspetto tal dentro mi fei, +qual si fé Glauco nel gustar de l’erba +che ’l fé consorto in mar de li altri dèi. + +Trasumanar significar per verba +non si poria; però l’essemplo basti +a cui esperïenza grazia serba. + +S’i’ era sol di me quel che creasti +novellamente, amor che ’l ciel governi, +tu ’l sai, che col tuo lume mi levasti. + +Quando la rota che tu sempiterni +desiderato, a sé mi fece atteso +con l’armonia che temperi e discerni, + +parvemi tanto allor del cielo acceso +de la fiamma del sol, che pioggia o fiume +lago non fece alcun tanto disteso. + +La novità del suono e ’l grande lume +di lor cagion m’accesero un disio +mai non sentito di cotanto acume. + +Ond’ ella, che vedea me sì com’ io, +a quïetarmi l’animo commosso, +pria ch’io a dimandar, la bocca aprio + +e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso +col falso imaginar, sì che non vedi +ciò che vedresti se l’avessi scosso. + +Tu non se’ in terra, sì come tu credi; +ma folgore, fuggendo il proprio sito, +non corse come tu ch’ad esso riedi». + +S’io fui del primo dubbio disvestito +per le sorrise parolette brevi, +dentro ad un nuovo più fu’ inretito + +e dissi: «Già contento requïevi +di grande ammirazion; ma ora ammiro +com’ io trascenda questi corpi levi». + +Ond’ ella, appresso d’un pïo sospiro, +li occhi drizzò ver’ me con quel sembiante +che madre fa sovra figlio deliro, + +e cominciò: «Le cose tutte quante +hanno ordine tra loro, e questo è forma +che l’universo a Dio fa simigliante. + +Qui veggion l’alte creature l’orma +de l’etterno valore, il qual è fine +al quale è fatta la toccata norma. + +Ne l’ordine ch’io dico sono accline +tutte nature, per diverse sorti, +più al principio loro e men vicine; + +onde si muovono a diversi porti +per lo gran mar de l’essere, e ciascuna +con istinto a lei dato che la porti. + +Questi ne porta il foco inver’ la luna; +questi ne’ cor mortali è permotore; +questi la terra in sé stringe e aduna; + +né pur le creature che son fore +d’intelligenza quest’ arco saetta, +ma quelle c’hanno intelletto e amore. + +La provedenza, che cotanto assetta, +del suo lume fa ’l ciel sempre quïeto +nel qual si volge quel c’ha maggior fretta; + +e ora lì, come a sito decreto, +cen porta la virtù di quella corda +che ciò che scocca drizza in segno lieto. + +Vero è che, come forma non s’accorda +molte fïate a l’intenzion de l’arte, +perch’ a risponder la materia è sorda, + +così da questo corso si diparte +talor la creatura, c’ha podere +di piegar, così pinta, in altra parte; + +e sì come veder si può cadere +foco di nube, sì l’impeto primo +l’atterra torto da falso piacere. + +Non dei più ammirar, se bene stimo, +lo tuo salir, se non come d’un rivo +se d’alto monte scende giuso ad imo. + +Maraviglia sarebbe in te se, privo +d’impedimento, giù ti fossi assiso, +com’ a terra quïete in foco vivo». + +Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso. + + + +Paradiso · Canto II + + +O voi che siete in piccioletta barca, +desiderosi d’ascoltar, seguiti +dietro al mio legno che cantando varca, + +tornate a riveder li vostri liti: +non vi mettete in pelago, ché forse, +perdendo me, rimarreste smarriti. + +L’acqua ch’io prendo già mai non si corse; +Minerva spira, e conducemi Appollo, +e nove Muse mi dimostran l’Orse. + +Voialtri pochi che drizzaste il collo +per tempo al pan de li angeli, del quale +vivesi qui ma non sen vien satollo, + +metter potete ben per l’alto sale +vostro navigio, servando mio solco +dinanzi a l’acqua che ritorna equale. + +Que’ glorïosi che passaro al Colco +non s’ammiraron come voi farete, +quando Iasón vider fatto bifolco. + +La concreata e perpetüa sete +del deïforme regno cen portava +veloci quasi come ’l ciel vedete. + +Beatrice in suso, e io in lei guardava; +e forse in tanto in quanto un quadrel posa +e vola e da la noce si dischiava, + +giunto mi vidi ove mirabil cosa +mi torse il viso a sé; e però quella +cui non potea mia cura essere ascosa, + +volta ver’ me, sì lieta come bella, +«Drizza la mente in Dio grata», mi disse, +«che n’ha congiunti con la prima stella». + +Parev’ a me che nube ne coprisse +lucida, spessa, solida e pulita, +quasi adamante che lo sol ferisse. + +Per entro sé l’etterna margarita +ne ricevette, com’ acqua recepe +raggio di luce permanendo unita. + +S’io era corpo, e qui non si concepe +com’ una dimensione altra patio, +ch’esser convien se corpo in corpo repe, + +accender ne dovria più il disio +di veder quella essenza in che si vede +come nostra natura e Dio s’unio. + +Lì si vedrà ciò che tenem per fede, +non dimostrato, ma fia per sé noto +a guisa del ver primo che l’uom crede. + +Io rispuosi: «Madonna, sì devoto +com’ esser posso più, ringrazio lui +lo qual dal mortal mondo m’ha remoto. + +Ma ditemi: che son li segni bui +di questo corpo, che là giuso in terra +fan di Cain favoleggiare altrui?». + +Ella sorrise alquanto, e poi «S’elli erra +l’oppinïon», mi disse, «d’i mortali +dove chiave di senso non diserra, + +certo non ti dovrien punger li strali +d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi +vedi che la ragione ha corte l’ali. + +Ma dimmi quel che tu da te ne pensi». +E io: «Ciò che n’appar qua sù diverso +credo che fanno i corpi rari e densi». + +Ed ella: «Certo assai vedrai sommerso +nel falso il creder tuo, se bene ascolti +l’argomentar ch’io li farò avverso. + +La spera ottava vi dimostra molti +lumi, li quali e nel quale e nel quanto +notar si posson di diversi volti. + +Se raro e denso ciò facesser tanto, +una sola virtù sarebbe in tutti, +più e men distributa e altrettanto. + +Virtù diverse esser convegnon frutti +di princìpi formali, e quei, for ch’uno, +seguiterieno a tua ragion distrutti. + +Ancor, se raro fosse di quel bruno +cagion che tu dimandi, o d’oltre in parte +fora di sua materia sì digiuno + +esto pianeto, o, sì come comparte +lo grasso e ’l magro un corpo, così questo +nel suo volume cangerebbe carte. + +Se ’l primo fosse, fora manifesto +ne l’eclissi del sol, per trasparere +lo lume come in altro raro ingesto. + +Questo non è: però è da vedere +de l’altro; e s’elli avvien ch’io l’altro cassi, +falsificato fia lo tuo parere. + +S’elli è che questo raro non trapassi, +esser conviene un termine da onde +lo suo contrario più passar non lassi; + +e indi l’altrui raggio si rifonde +così come color torna per vetro +lo qual di retro a sé piombo nasconde. + +Or dirai tu ch’el si dimostra tetro +ivi lo raggio più che in altre parti, +per esser lì refratto più a retro. + +Da questa instanza può deliberarti +esperïenza, se già mai la provi, +ch’esser suol fonte ai rivi di vostr’ arti. + +Tre specchi prenderai; e i due rimovi +da te d’un modo, e l’altro, più rimosso, +tr’ambo li primi li occhi tuoi ritrovi. + +Rivolto ad essi, fa che dopo il dosso +ti stea un lume che i tre specchi accenda +e torni a te da tutti ripercosso. + +Ben che nel quanto tanto non si stenda +la vista più lontana, lì vedrai +come convien ch’igualmente risplenda. + +Or, come ai colpi de li caldi rai +de la neve riman nudo il suggetto +e dal colore e dal freddo primai, + +così rimaso te ne l’intelletto +voglio informar di luce sì vivace, +che ti tremolerà nel suo aspetto. + +Dentro dal ciel de la divina pace +si gira un corpo ne la cui virtute +l’esser di tutto suo contento giace. + +Lo ciel seguente, c’ha tante vedute, +quell’ esser parte per diverse essenze, +da lui distratte e da lui contenute. + +Li altri giron per varie differenze +le distinzion che dentro da sé hanno +dispongono a lor fini e lor semenze. + +Questi organi del mondo così vanno, +come tu vedi omai, di grado in grado, +che di sù prendono e di sotto fanno. + +Riguarda bene omai sì com’ io vado +per questo loco al vero che disiri, +sì che poi sappi sol tener lo guado. + +Lo moto e la virtù d’i santi giri, +come dal fabbro l’arte del martello, +da’ beati motor convien che spiri; + +e ’l ciel cui tanti lumi fanno bello, +de la mente profonda che lui volve +prende l’image e fassene suggello. + +E come l’alma dentro a vostra polve +per differenti membra e conformate +a diverse potenze si risolve, + +così l’intelligenza sua bontate +multiplicata per le stelle spiega, +girando sé sovra sua unitate. + +Virtù diversa fa diversa lega +col prezïoso corpo ch’ella avviva, +nel qual, sì come vita in voi, si lega. + +Per la natura lieta onde deriva, +la virtù mista per lo corpo luce +come letizia per pupilla viva. + +Da essa vien ciò che da luce a luce +par differente, non da denso e raro; +essa è formal principio che produce, + +conforme a sua bontà, lo turbo e ’l chiaro». + + + +Paradiso · Canto III + + +Quel sol che pria d’amor mi scaldò ’l petto, +di bella verità m’avea scoverto, +provando e riprovando, il dolce aspetto; + +e io, per confessar corretto e certo +me stesso, tanto quanto si convenne +leva’ il capo a proferer più erto; + +ma visïone apparve che ritenne +a sé me tanto stretto, per vedersi, +che di mia confession non mi sovvenne. + +Quali per vetri trasparenti e tersi, +o ver per acque nitide e tranquille, +non sì profonde che i fondi sien persi, + +tornan d’i nostri visi le postille +debili sì, che perla in bianca fronte +non vien men forte a le nostre pupille; + +tali vid’ io più facce a parlar pronte; +per ch’io dentro a l’error contrario corsi +a quel ch’accese amor tra l’omo e ’l fonte. + +Sùbito sì com’ io di lor m’accorsi, +quelle stimando specchiati sembianti, +per veder di cui fosser, li occhi torsi; + +e nulla vidi, e ritorsili avanti +dritti nel lume de la dolce guida, +che, sorridendo, ardea ne li occhi santi. + +«Non ti maravigliar perch’ io sorrida», +mi disse, «appresso il tuo püeril coto, +poi sopra ’l vero ancor lo piè non fida, + +ma te rivolve, come suole, a vòto: +vere sustanze son ciò che tu vedi, +qui rilegate per manco di voto. + +Però parla con esse e odi e credi; +ché la verace luce che le appaga +da sé non lascia lor torcer li piedi». + +E io a l’ombra che parea più vaga +di ragionar, drizza’mi, e cominciai, +quasi com’ uom cui troppa voglia smaga: + +«O ben creato spirito, che a’ rai +di vita etterna la dolcezza senti +che, non gustata, non s’intende mai, + +grazïoso mi fia se mi contenti +del nome tuo e de la vostra sorte». +Ond’ ella, pronta e con occhi ridenti: + +«La nostra carità non serra porte +a giusta voglia, se non come quella +che vuol simile a sé tutta sua corte. + +I’ fui nel mondo vergine sorella; +e se la mente tua ben sé riguarda, +non mi ti celerà l’esser più bella, + +ma riconoscerai ch’i’ son Piccarda, +che, posta qui con questi altri beati, +beata sono in la spera più tarda. + +Li nostri affetti, che solo infiammati +son nel piacer de lo Spirito Santo, +letizian del suo ordine formati. + +E questa sorte che par giù cotanto, +però n’è data, perché fuor negletti +li nostri voti, e vòti in alcun canto». + +Ond’ io a lei: «Ne’ mirabili aspetti +vostri risplende non so che divino +che vi trasmuta da’ primi concetti: + +però non fui a rimembrar festino; +ma or m’aiuta ciò che tu mi dici, +sì che raffigurar m’è più latino. + +Ma dimmi: voi che siete qui felici, +disiderate voi più alto loco +per più vedere e per più farvi amici?». + +Con quelle altr’ ombre pria sorrise un poco; +da indi mi rispuose tanto lieta, +ch’arder parea d’amor nel primo foco: + +«Frate, la nostra volontà quïeta +virtù di carità, che fa volerne +sol quel ch’avemo, e d’altro non ci asseta. + +Se disïassimo esser più superne, +foran discordi li nostri disiri +dal voler di colui che qui ne cerne; + +che vedrai non capere in questi giri, +s’essere in carità è qui necesse, +e se la sua natura ben rimiri. + +Anzi è formale ad esto beato esse +tenersi dentro a la divina voglia, +per ch’una fansi nostre voglie stesse; + +sì che, come noi sem di soglia in soglia +per questo regno, a tutto il regno piace +com’ a lo re che ’n suo voler ne ’nvoglia. + +E ’n la sua volontade è nostra pace: +ell’ è quel mare al qual tutto si move +ciò ch’ella crïa o che natura face». + +Chiaro mi fu allor come ogne dove +in cielo è paradiso, etsi la grazia +del sommo ben d’un modo non vi piove. + +Ma sì com’ elli avvien, s’un cibo sazia +e d’un altro rimane ancor la gola, +che quel si chere e di quel si ringrazia, + +così fec’ io con atto e con parola, +per apprender da lei qual fu la tela +onde non trasse infino a co la spuola. + +«Perfetta vita e alto merto inciela +donna più sù», mi disse, «a la cui norma +nel vostro mondo giù si veste e vela, + +perché fino al morir si vegghi e dorma +con quello sposo ch’ogne voto accetta +che caritate a suo piacer conforma. + +Dal mondo, per seguirla, giovinetta +fuggi’mi, e nel suo abito mi chiusi +e promisi la via de la sua setta. + +Uomini poi, a mal più ch’a bene usi, +fuor mi rapiron de la dolce chiostra: +Iddio si sa qual poi mia vita fusi. + +E quest’ altro splendor che ti si mostra +da la mia destra parte e che s’accende +di tutto il lume de la spera nostra, + +ciò ch’io dico di me, di sé intende; +sorella fu, e così le fu tolta +di capo l’ombra de le sacre bende. + +Ma poi che pur al mondo fu rivolta +contra suo grado e contra buona usanza, +non fu dal vel del cor già mai disciolta. + +Quest’ è la luce de la gran Costanza +che del secondo vento di Soave +generò ’l terzo e l’ultima possanza». + +Così parlommi, e poi cominciò ‘Ave, +Maria’ cantando, e cantando vanio +come per acqua cupa cosa grave. + +La vista mia, che tanto lei seguio +quanto possibil fu, poi che la perse, +volsesi al segno di maggior disio, + +e a Beatrice tutta si converse; +ma quella folgorò nel mïo sguardo +sì che da prima il viso non sofferse; + +e ciò mi fece a dimandar più tardo. + + + +Paradiso · Canto IV + + +Intra due cibi, distanti e moventi +d’un modo, prima si morria di fame, +che liber’ omo l’un recasse ai denti; + +sì si starebbe un agno intra due brame +di fieri lupi, igualmente temendo; +sì si starebbe un cane intra due dame: + +per che, s’i’ mi tacea, me non riprendo, +da li miei dubbi d’un modo sospinto, +poi ch’era necessario, né commendo. + +Io mi tacea, ma ’l mio disir dipinto +m’era nel viso, e ’l dimandar con ello, +più caldo assai che per parlar distinto. + +Fé sì Beatrice qual fé Danïello, +Nabuccodonosor levando d’ira, +che l’avea fatto ingiustamente fello; + +e disse: «Io veggio ben come ti tira +uno e altro disio, sì che tua cura +sé stessa lega sì che fuor non spira. + +Tu argomenti: “Se ’l buon voler dura, +la vïolenza altrui per qual ragione +di meritar mi scema la misura?”. + +Ancor di dubitar ti dà cagione +parer tornarsi l’anime a le stelle, +secondo la sentenza di Platone. + +Queste son le question che nel tuo velle +pontano igualmente; e però pria +tratterò quella che più ha di felle. + +D’i Serafin colui che più s’india, +Moïsè, Samuel, e quel Giovanni +che prender vuoli, io dico, non Maria, + +non hanno in altro cielo i loro scanni +che questi spirti che mo t’appariro, +né hanno a l’esser lor più o meno anni; + +ma tutti fanno bello il primo giro, +e differentemente han dolce vita +per sentir più e men l’etterno spiro. + +Qui si mostraro, non perché sortita +sia questa spera lor, ma per far segno +de la celestïal c’ha men salita. + +Così parlar conviensi al vostro ingegno, +però che solo da sensato apprende +ciò che fa poscia d’intelletto degno. + +Per questo la Scrittura condescende +a vostra facultate, e piedi e mano +attribuisce a Dio e altro intende; + +e Santa Chiesa con aspetto umano +Gabrïel e Michel vi rappresenta, +e l’altro che Tobia rifece sano. + +Quel che Timeo de l’anime argomenta +non è simile a ciò che qui si vede, +però che, come dice, par che senta. + +Dice che l’alma a la sua stella riede, +credendo quella quindi esser decisa +quando natura per forma la diede; + +e forse sua sentenza è d’altra guisa +che la voce non suona, ed esser puote +con intenzion da non esser derisa. + +S’elli intende tornare a queste ruote +l’onor de la influenza e ’l biasmo, forse +in alcun vero suo arco percuote. + +Questo principio, male inteso, torse +già tutto il mondo quasi, sì che Giove, +Mercurio e Marte a nominar trascorse. + +L’altra dubitazion che ti commove +ha men velen, però che sua malizia +non ti poria menar da me altrove. + +Parere ingiusta la nostra giustizia +ne li occhi d’i mortali, è argomento +di fede e non d’eretica nequizia. + +Ma perché puote vostro accorgimento +ben penetrare a questa veritate, +come disiri, ti farò contento. + +Se vïolenza è quando quel che pate +nïente conferisce a quel che sforza, +non fuor quest’ alme per essa scusate: + +ché volontà, se non vuol, non s’ammorza, +ma fa come natura face in foco, +se mille volte vïolenza il torza. + +Per che, s’ella si piega assai o poco, +segue la forza; e così queste fero +possendo rifuggir nel santo loco. + +Se fosse stato lor volere intero, +come tenne Lorenzo in su la grada, +e fece Muzio a la sua man severo, + +così l’avria ripinte per la strada +ond’ eran tratte, come fuoro sciolte; +ma così salda voglia è troppo rada. + +E per queste parole, se ricolte +l’hai come dei, è l’argomento casso +che t’avria fatto noia ancor più volte. + +Ma or ti s’attraversa un altro passo +dinanzi a li occhi, tal che per te stesso +non usciresti: pria saresti lasso. + +Io t’ho per certo ne la mente messo +ch’alma beata non poria mentire, +però ch’è sempre al primo vero appresso; + +e poi potesti da Piccarda udire +che l’affezion del vel Costanza tenne; +sì ch’ella par qui meco contradire. + +Molte fïate già, frate, addivenne +che, per fuggir periglio, contra grato +si fé di quel che far non si convenne; + +come Almeone, che, di ciò pregato +dal padre suo, la propria madre spense, +per non perder pietà si fé spietato. + +A questo punto voglio che tu pense +che la forza al voler si mischia, e fanno +sì che scusar non si posson l’offense. + +Voglia assoluta non consente al danno; +ma consentevi in tanto in quanto teme, +se si ritrae, cadere in più affanno. + +Però, quando Piccarda quello spreme, +de la voglia assoluta intende, e io +de l’altra; sì che ver diciamo insieme». + +Cotal fu l’ondeggiar del santo rio +ch’uscì del fonte ond’ ogne ver deriva; +tal puose in pace uno e altro disio. + +«O amanza del primo amante, o diva», +diss’ io appresso, «il cui parlar m’inonda +e scalda sì, che più e più m’avviva, + +non è l’affezion mia tanto profonda, +che basti a render voi grazia per grazia; +ma quei che vede e puote a ciò risponda. + +Io veggio ben che già mai non si sazia +nostro intelletto, se ’l ver non lo illustra +di fuor dal qual nessun vero si spazia. + +Posasi in esso, come fera in lustra, +tosto che giunto l’ha; e giugner puollo: +se non, ciascun disio sarebbe frustra. + +Nasce per quello, a guisa di rampollo, +a piè del vero il dubbio; ed è natura +ch’al sommo pinge noi di collo in collo. + +Questo m’invita, questo m’assicura +con reverenza, donna, a dimandarvi +d’un’altra verità che m’è oscura. + +Io vo’ saper se l’uom può sodisfarvi +ai voti manchi sì con altri beni, +ch’a la vostra statera non sien parvi». + +Beatrice mi guardò con li occhi pieni +di faville d’amor così divini, +che, vinta, mia virtute diè le reni, + +e quasi mi perdei con li occhi chini. + + + +Paradiso · Canto V + + +«S’io ti fiammeggio nel caldo d’amore +di là dal modo che ’n terra si vede, +sì che del viso tuo vinco il valore, + +non ti maravigliar, ché ciò procede +da perfetto veder, che, come apprende, +così nel bene appreso move il piede. + +Io veggio ben sì come già resplende +ne l’intelletto tuo l’etterna luce, +che, vista, sola e sempre amore accende; + +e s’altra cosa vostro amor seduce, +non è se non di quella alcun vestigio, +mal conosciuto, che quivi traluce. + +Tu vuo’ saper se con altro servigio, +per manco voto, si può render tanto +che l’anima sicuri di letigio». + +Sì cominciò Beatrice questo canto; +e sì com’ uom che suo parlar non spezza, +continüò così ’l processo santo: + +«Lo maggior don che Dio per sua larghezza +fesse creando, e a la sua bontate +più conformato, e quel ch’e’ più apprezza, + +fu de la volontà la libertate; +di che le creature intelligenti, +e tutte e sole, fuoro e son dotate. + +Or ti parrà, se tu quinci argomenti, +l’alto valor del voto, s’è sì fatto +che Dio consenta quando tu consenti; + +ché, nel fermar tra Dio e l’omo il patto, +vittima fassi di questo tesoro, +tal quale io dico; e fassi col suo atto. + +Dunque che render puossi per ristoro? +Se credi bene usar quel c’hai offerto, +di maltolletto vuo’ far buon lavoro. + +Tu se’ omai del maggior punto certo; +ma perché Santa Chiesa in ciò dispensa, +che par contra lo ver ch’i’ t’ho scoverto, + +convienti ancor sedere un poco a mensa, +però che ’l cibo rigido c’hai preso, +richiede ancora aiuto a tua dispensa. + +Apri la mente a quel ch’io ti paleso +e fermalvi entro; ché non fa scïenza, +sanza lo ritenere, avere inteso. + +Due cose si convegnono a l’essenza +di questo sacrificio: l’una è quella +di che si fa; l’altr’ è la convenenza. + +Quest’ ultima già mai non si cancella +se non servata; e intorno di lei +sì preciso di sopra si favella: + +però necessitato fu a li Ebrei +pur l’offerere, ancor ch’alcuna offerta +sì permutasse, come saver dei. + +L’altra, che per materia t’è aperta, +puote ben esser tal, che non si falla +se con altra materia si converta. + +Ma non trasmuti carco a la sua spalla +per suo arbitrio alcun, sanza la volta +e de la chiave bianca e de la gialla; + +e ogne permutanza credi stolta, +se la cosa dimessa in la sorpresa +come ’l quattro nel sei non è raccolta. + +Però qualunque cosa tanto pesa +per suo valor che tragga ogne bilancia, +sodisfar non si può con altra spesa. + +Non prendan li mortali il voto a ciancia; +siate fedeli, e a ciò far non bieci, +come Ieptè a la sua prima mancia; + +cui più si convenia dicer ‘Mal feci’, +che, servando, far peggio; e così stolto +ritrovar puoi il gran duca de’ Greci, + +onde pianse Efigènia il suo bel volto, +e fé pianger di sé i folli e i savi +ch’udir parlar di così fatto cólto. + +Siate, Cristiani, a muovervi più gravi: +non siate come penna ad ogne vento, +e non crediate ch’ogne acqua vi lavi. + +Avete il novo e ’l vecchio Testamento, +e ’l pastor de la Chiesa che vi guida; +questo vi basti a vostro salvamento. + +Se mala cupidigia altro vi grida, +uomini siate, e non pecore matte, +sì che ’l Giudeo di voi tra voi non rida! + +Non fate com’ agnel che lascia il latte +de la sua madre, e semplice e lascivo +seco medesmo a suo piacer combatte!». + +Così Beatrice a me com’ ïo scrivo; +poi si rivolse tutta disïante +a quella parte ove ’l mondo è più vivo. + +Lo suo tacere e ’l trasmutar sembiante +puoser silenzio al mio cupido ingegno, +che già nuove questioni avea davante; + +e sì come saetta che nel segno +percuote pria che sia la corda queta, +così corremmo nel secondo regno. + +Quivi la donna mia vid’ io sì lieta, +come nel lume di quel ciel si mise, +che più lucente se ne fé ’l pianeta. + +E se la stella si cambiò e rise, +qual mi fec’ io che pur da mia natura +trasmutabile son per tutte guise! + +Come ’n peschiera ch’è tranquilla e pura +traggonsi i pesci a ciò che vien di fori +per modo che lo stimin lor pastura, + +sì vid’ io ben più di mille splendori +trarsi ver’ noi, e in ciascun s’udia: +«Ecco chi crescerà li nostri amori». + +E sì come ciascuno a noi venìa, +vedeasi l’ombra piena di letizia +nel folgór chiaro che di lei uscia. + +Pensa, lettor, se quel che qui s’inizia +non procedesse, come tu avresti +di più savere angosciosa carizia; + +e per te vederai come da questi +m’era in disio d’udir lor condizioni, +sì come a li occhi mi fur manifesti. + +«O bene nato a cui veder li troni +del trïunfo etternal concede grazia +prima che la milizia s’abbandoni, + +del lume che per tutto il ciel si spazia +noi semo accesi; e però, se disii +di noi chiarirti, a tuo piacer ti sazia». + +Così da un di quelli spirti pii +detto mi fu; e da Beatrice: «Dì, dì +sicuramente, e credi come a dii». + +«Io veggio ben sì come tu t’annidi +nel proprio lume, e che de li occhi il traggi, +perch’ e’ corusca sì come tu ridi; + +ma non so chi tu se’, né perché aggi, +anima degna, il grado de la spera +che si vela a’ mortai con altrui raggi». + +Questo diss’ io diritto a la lumera +che pria m’avea parlato; ond’ ella fessi +lucente più assai di quel ch’ell’ era. + +Sì come il sol che si cela elli stessi +per troppa luce, come ’l caldo ha róse +le temperanze d’i vapori spessi, + +per più letizia sì mi si nascose +dentro al suo raggio la figura santa; +e così chiusa chiusa mi rispuose + +nel modo che ’l seguente canto canta. + + + +Paradiso · Canto VI + + +«Poscia che Costantin l’aquila volse +contr’ al corso del ciel, ch’ella seguio +dietro a l’antico che Lavina tolse, + +cento e cent’ anni e più l’uccel di Dio +ne lo stremo d’Europa si ritenne, +vicino a’ monti de’ quai prima uscìo; + +e sotto l’ombra de le sacre penne +governò ’l mondo lì di mano in mano, +e, sì cangiando, in su la mia pervenne. + +Cesare fui e son Iustinïano, +che, per voler del primo amor ch’i’ sento, +d’entro le leggi trassi il troppo e ’l vano. + +E prima ch’io a l’ovra fossi attento, +una natura in Cristo esser, non piùe, +credea, e di tal fede era contento; + +ma ’l benedetto Agapito, che fue +sommo pastore, a la fede sincera +mi dirizzò con le parole sue. + +Io li credetti; e ciò che ’n sua fede era, +vegg’ io or chiaro sì, come tu vedi +ogni contradizione e falsa e vera. + +Tosto che con la Chiesa mossi i piedi, +a Dio per grazia piacque di spirarmi +l’alto lavoro, e tutto ’n lui mi diedi; + +e al mio Belisar commendai l’armi, +cui la destra del ciel fu sì congiunta, +che segno fu ch’i’ dovessi posarmi. + +Or qui a la question prima s’appunta +la mia risposta; ma sua condizione +mi stringe a seguitare alcuna giunta, + +perché tu veggi con quanta ragione +si move contr’ al sacrosanto segno +e chi ’l s’appropria e chi a lui s’oppone. + +Vedi quanta virtù l’ha fatto degno +di reverenza; e cominciò da l’ora +che Pallante morì per darli regno. + +Tu sai ch’el fece in Alba sua dimora +per trecento anni e oltre, infino al fine +che i tre a’ tre pugnar per lui ancora. + +E sai ch’el fé dal mal de le Sabine +al dolor di Lucrezia in sette regi, +vincendo intorno le genti vicine. + +Sai quel ch’el fé portato da li egregi +Romani incontro a Brenno, incontro a Pirro, +incontro a li altri principi e collegi; + +onde Torquato e Quinzio, che dal cirro +negletto fu nomato, i Deci e ’ Fabi +ebber la fama che volontier mirro. + +Esso atterrò l’orgoglio de li Aràbi +che di retro ad Anibale passaro +l’alpestre rocce, Po, di che tu labi. + +Sott’ esso giovanetti trïunfaro +Scipïone e Pompeo; e a quel colle +sotto ’l qual tu nascesti parve amaro. + +Poi, presso al tempo che tutto ’l ciel volle +redur lo mondo a suo modo sereno, +Cesare per voler di Roma il tolle. + +E quel che fé da Varo infino a Reno, +Isara vide ed Era e vide Senna +e ogne valle onde Rodano è pieno. + +Quel che fé poi ch’elli uscì di Ravenna +e saltò Rubicon, fu di tal volo, +che nol seguiteria lingua né penna. + +Inver’ la Spagna rivolse lo stuolo, +poi ver’ Durazzo, e Farsalia percosse +sì ch’al Nil caldo si sentì del duolo. + +Antandro e Simeonta, onde si mosse, +rivide e là dov’ Ettore si cuba; +e mal per Tolomeo poscia si scosse. + +Da indi scese folgorando a Iuba; +onde si volse nel vostro occidente, +ove sentia la pompeana tuba. + +Di quel che fé col baiulo seguente, +Bruto con Cassio ne l’inferno latra, +e Modena e Perugia fu dolente. + +Piangene ancor la trista Cleopatra, +che, fuggendoli innanzi, dal colubro +la morte prese subitana e atra. + +Con costui corse infino al lito rubro; +con costui puose il mondo in tanta pace, +che fu serrato a Giano il suo delubro. + +Ma ciò che ’l segno che parlar mi face +fatto avea prima e poi era fatturo +per lo regno mortal ch’a lui soggiace, + +diventa in apparenza poco e scuro, +se in mano al terzo Cesare si mira +con occhio chiaro e con affetto puro; + +ché la viva giustizia che mi spira, +li concedette, in mano a quel ch’i’ dico, +gloria di far vendetta a la sua ira. + +Or qui t’ammira in ciò ch’io ti replìco: +poscia con Tito a far vendetta corse +de la vendetta del peccato antico. + +E quando il dente longobardo morse +la Santa Chiesa, sotto le sue ali +Carlo Magno, vincendo, la soccorse. + +Omai puoi giudicar di quei cotali +ch’io accusai di sopra e di lor falli, +che son cagion di tutti vostri mali. + +L’uno al pubblico segno i gigli gialli +oppone, e l’altro appropria quello a parte, +sì ch’è forte a veder chi più si falli. + +Faccian li Ghibellin, faccian lor arte +sott’ altro segno, ché mal segue quello +sempre chi la giustizia e lui diparte; + +e non l’abbatta esto Carlo novello +coi Guelfi suoi, ma tema de li artigli +ch’a più alto leon trasser lo vello. + +Molte fïate già pianser li figli +per la colpa del padre, e non si creda +che Dio trasmuti l’armi per suoi gigli! + +Questa picciola stella si correda +d’i buoni spirti che son stati attivi +perché onore e fama li succeda: + +e quando li disiri poggian quivi, +sì disvïando, pur convien che i raggi +del vero amore in sù poggin men vivi. + +Ma nel commensurar d’i nostri gaggi +col merto è parte di nostra letizia, +perché non li vedem minor né maggi. + +Quindi addolcisce la viva giustizia +in noi l’affetto sì, che non si puote +torcer già mai ad alcuna nequizia. + +Diverse voci fanno dolci note; +così diversi scanni in nostra vita +rendon dolce armonia tra queste rote. + +E dentro a la presente margarita +luce la luce di Romeo, di cui +fu l’ovra grande e bella mal gradita. + +Ma i Provenzai che fecer contra lui +non hanno riso; e però mal cammina +qual si fa danno del ben fare altrui. + +Quattro figlie ebbe, e ciascuna reina, +Ramondo Beringhiere, e ciò li fece +Romeo, persona umìle e peregrina. + +E poi il mosser le parole biece +a dimandar ragione a questo giusto, +che li assegnò sette e cinque per diece, + +indi partissi povero e vetusto; +e se ’l mondo sapesse il cor ch’elli ebbe +mendicando sua vita a frusto a frusto, + +assai lo loda, e più lo loderebbe». + + + +Paradiso · Canto VII + + +«Osanna, sanctus Deus sabaòth, +superillustrans claritate tua +felices ignes horum malacòth!». + +Così, volgendosi a la nota sua, +fu viso a me cantare essa sustanza, +sopra la qual doppio lume s’addua; + +ed essa e l’altre mossero a sua danza, +e quasi velocissime faville +mi si velar di sùbita distanza. + +Io dubitava e dicea ‘Dille, dille!’ +fra me, ‘dille’ dicea, ‘a la mia donna +che mi diseta con le dolci stille’. + +Ma quella reverenza che s’indonna +di tutto me, pur per Be e per ice, +mi richinava come l’uom ch’assonna. + +Poco sofferse me cotal Beatrice +e cominciò, raggiandomi d’un riso +tal, che nel foco faria l’uom felice: + +«Secondo mio infallibile avviso, +come giusta vendetta giustamente +punita fosse, t’ha in pensier miso; + +ma io ti solverò tosto la mente; +e tu ascolta, ché le mie parole +di gran sentenza ti faran presente. + +Per non soffrire a la virtù che vole +freno a suo prode, quell’ uom che non nacque, +dannando sé, dannò tutta sua prole; + +onde l’umana specie inferma giacque +giù per secoli molti in grande errore, +fin ch’al Verbo di Dio discender piacque + +u’ la natura, che dal suo fattore +s’era allungata, unì a sé in persona +con l’atto sol del suo etterno amore. + +Or drizza il viso a quel ch’or si ragiona: +questa natura al suo fattore unita, +qual fu creata, fu sincera e buona; + +ma per sé stessa pur fu ella sbandita +di paradiso, però che si torse +da via di verità e da sua vita. + +La pena dunque che la croce porse +s’a la natura assunta si misura, +nulla già mai sì giustamente morse; + +e così nulla fu di tanta ingiura, +guardando a la persona che sofferse, +in che era contratta tal natura. + +Però d’un atto uscir cose diverse: +ch’a Dio e a’ Giudei piacque una morte; +per lei tremò la terra e ’l ciel s’aperse. + +Non ti dee oramai parer più forte, +quando si dice che giusta vendetta +poscia vengiata fu da giusta corte. + +Ma io veggi’ or la tua mente ristretta +di pensiero in pensier dentro ad un nodo, +del qual con gran disio solver s’aspetta. + +Tu dici: “Ben discerno ciò ch’i’ odo; +ma perché Dio volesse, m’è occulto, +a nostra redenzion pur questo modo”. + +Questo decreto, frate, sta sepulto +a li occhi di ciascuno il cui ingegno +ne la fiamma d’amor non è adulto. + +Veramente, però ch’a questo segno +molto si mira e poco si discerne, +dirò perché tal modo fu più degno. + +La divina bontà, che da sé sperne +ogne livore, ardendo in sé, sfavilla +sì che dispiega le bellezze etterne. + +Ciò che da lei sanza mezzo distilla +non ha poi fine, perché non si move +la sua imprenta quand’ ella sigilla. + +Ciò che da essa sanza mezzo piove +libero è tutto, perché non soggiace +a la virtute de le cose nove. + +Più l’è conforme, e però più le piace; +ché l’ardor santo ch’ogne cosa raggia, +ne la più somigliante è più vivace. + +Di tutte queste dote s’avvantaggia +l’umana creatura, e s’una manca, +di sua nobilità convien che caggia. + +Solo il peccato è quel che la disfranca +e falla dissimìle al sommo bene, +per che del lume suo poco s’imbianca; + +e in sua dignità mai non rivene, +se non rïempie, dove colpa vòta, +contra mal dilettar con giuste pene. + +Vostra natura, quando peccò tota +nel seme suo, da queste dignitadi, +come di paradiso, fu remota; + +né ricovrar potiensi, se tu badi +ben sottilmente, per alcuna via, +sanza passar per un di questi guadi: + +o che Dio solo per sua cortesia +dimesso avesse, o che l’uom per sé isso +avesse sodisfatto a sua follia. + +Ficca mo l’occhio per entro l’abisso +de l’etterno consiglio, quanto puoi +al mio parlar distrettamente fisso. + +Non potea l’uomo ne’ termini suoi +mai sodisfar, per non potere ir giuso +con umiltate obedïendo poi, + +quanto disobediendo intese ir suso; +e questa è la cagion per che l’uom fue +da poter sodisfar per sé dischiuso. + +Dunque a Dio convenia con le vie sue +riparar l’omo a sua intera vita, +dico con l’una, o ver con amendue. + +Ma perché l’ovra tanto è più gradita +da l’operante, quanto più appresenta +de la bontà del core ond’ ell’ è uscita, + +la divina bontà che ’l mondo imprenta, +di proceder per tutte le sue vie, +a rilevarvi suso, fu contenta. + +Né tra l’ultima notte e ’l primo die +sì alto o sì magnifico processo, +o per l’una o per l’altra, fu o fie: + +ché più largo fu Dio a dar sé stesso +per far l’uom sufficiente a rilevarsi, +che s’elli avesse sol da sé dimesso; + +e tutti li altri modi erano scarsi +a la giustizia, se ’l Figliuol di Dio +non fosse umilïato ad incarnarsi. + +Or per empierti bene ogne disio, +ritorno a dichiararti in alcun loco, +perché tu veggi lì così com’ io. + +Tu dici: “Io veggio l’acqua, io veggio il foco, +l’aere e la terra e tutte lor misture +venire a corruzione, e durar poco; + +e queste cose pur furon creature; +per che, se ciò ch’è detto è stato vero, +esser dovrien da corruzion sicure”. + +Li angeli, frate, e ’l paese sincero +nel qual tu se’, dir si posson creati, +sì come sono, in loro essere intero; + +ma li alimenti che tu hai nomati +e quelle cose che di lor si fanno +da creata virtù sono informati. + +Creata fu la materia ch’elli hanno; +creata fu la virtù informante +in queste stelle che ’ntorno a lor vanno. + +L’anima d’ogne bruto e de le piante +di complession potenzïata tira +lo raggio e ’l moto de le luci sante; + +ma vostra vita sanza mezzo spira +la somma beninanza, e la innamora +di sé sì che poi sempre la disira. + +E quinci puoi argomentare ancora +vostra resurrezion, se tu ripensi +come l’umana carne fessi allora + +che li primi parenti intrambo fensi». + + + +Paradiso · Canto VIII + + +Solea creder lo mondo in suo periclo +che la bella Ciprigna il folle amore +raggiasse, volta nel terzo epiciclo; + +per che non pur a lei faceano onore +di sacrificio e di votivo grido +le genti antiche ne l’antico errore; + +ma Dïone onoravano e Cupido, +quella per madre sua, questo per figlio, +e dicean ch’el sedette in grembo a Dido; + +e da costei ond’ io principio piglio +pigliavano il vocabol de la stella +che ’l sol vagheggia or da coppa or da ciglio. + +Io non m’accorsi del salire in ella; +ma d’esservi entro mi fé assai fede +la donna mia ch’i’ vidi far più bella. + +E come in fiamma favilla si vede, +e come in voce voce si discerne, +quand’ una è ferma e altra va e riede, + +vid’ io in essa luce altre lucerne +muoversi in giro più e men correnti, +al modo, credo, di lor viste interne. + +Di fredda nube non disceser venti, +o visibili o no, tanto festini, +che non paressero impediti e lenti + +a chi avesse quei lumi divini +veduti a noi venir, lasciando il giro +pria cominciato in li alti Serafini; + +e dentro a quei che più innanzi appariro +sonava ‘Osanna’ sì, che unque poi +di rïudir non fui sanza disiro. + +Indi si fece l’un più presso a noi +e solo incominciò: «Tutti sem presti +al tuo piacer, perché di noi ti gioi. + +Noi ci volgiam coi principi celesti +d’un giro e d’un girare e d’una sete, +ai quali tu del mondo già dicesti: + +‘Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete’; +e sem sì pien d’amor, che, per piacerti, +non fia men dolce un poco di quïete». + +Poscia che li occhi miei si fuoro offerti +a la mia donna reverenti, ed essa +fatti li avea di sé contenti e certi, + +rivolsersi a la luce che promessa +tanto s’avea, e «Deh, chi siete?» fue +la voce mia di grande affetto impressa. + +E quanta e quale vid’ io lei far piùe +per allegrezza nova che s’accrebbe, +quando parlai, a l’allegrezze sue! + +Così fatta, mi disse: «Il mondo m’ebbe +giù poco tempo; e se più fosse stato, +molto sarà di mal, che non sarebbe. + +La mia letizia mi ti tien celato +che mi raggia dintorno e mi nasconde +quasi animal di sua seta fasciato. + +Assai m’amasti, e avesti ben onde; +che s’io fossi giù stato, io ti mostrava +di mio amor più oltre che le fronde. + +Quella sinistra riva che si lava +di Rodano poi ch’è misto con Sorga, +per suo segnore a tempo m’aspettava, + +e quel corno d’Ausonia che s’imborga +di Bari e di Gaeta e di Catona, +da ove Tronto e Verde in mare sgorga. + +Fulgeami già in fronte la corona +di quella terra che ’l Danubio riga +poi che le ripe tedesche abbandona. + +E la bella Trinacria, che caliga +tra Pachino e Peloro, sopra ’l golfo +che riceve da Euro maggior briga, + +non per Tifeo ma per nascente solfo, +attesi avrebbe li suoi regi ancora, +nati per me di Carlo e di Ridolfo, + +se mala segnoria, che sempre accora +li popoli suggetti, non avesse +mosso Palermo a gridar: “Mora, mora!”. + +E se mio frate questo antivedesse, +l’avara povertà di Catalogna +già fuggeria, perché non li offendesse; + +ché veramente proveder bisogna +per lui, o per altrui, sì ch’a sua barca +carcata più d’incarco non si pogna. + +La sua natura, che di larga parca +discese, avria mestier di tal milizia +che non curasse di mettere in arca». + +«Però ch’i’ credo che l’alta letizia +che ’l tuo parlar m’infonde, segnor mio, +là ’ve ogne ben si termina e s’inizia, + +per te si veggia come la vegg’ io, +grata m’è più; e anco quest’ ho caro +perché ’l discerni rimirando in Dio. + +Fatto m’hai lieto, e così mi fa chiaro, +poi che, parlando, a dubitar m’hai mosso +com’ esser può, di dolce seme, amaro». + +Questo io a lui; ed elli a me: «S’io posso +mostrarti un vero, a quel che tu dimandi +terrai lo viso come tien lo dosso. + +Lo ben che tutto il regno che tu scandi +volge e contenta, fa esser virtute +sua provedenza in questi corpi grandi. + +E non pur le nature provedute +sono in la mente ch’è da sé perfetta, +ma esse insieme con la lor salute: + +per che quantunque quest’ arco saetta +disposto cade a proveduto fine, +sì come cosa in suo segno diretta. + +Se ciò non fosse, il ciel che tu cammine +producerebbe sì li suoi effetti, +che non sarebbero arti, ma ruine; + +e ciò esser non può, se li ’ntelletti +che muovon queste stelle non son manchi, +e manco il primo, che non li ha perfetti. + +Vuo’ tu che questo ver più ti s’imbianchi?». +E io: «Non già; ché impossibil veggio +che la natura, in quel ch’è uopo, stanchi». + +Ond’ elli ancora: «Or dì: sarebbe il peggio +per l’omo in terra, se non fosse cive?». +«Sì», rispuos’ io; «e qui ragion non cheggio». + +«E puot’ elli esser, se giù non si vive +diversamente per diversi offici? +Non, se ’l maestro vostro ben vi scrive». + +Sì venne deducendo infino a quici; +poscia conchiuse: «Dunque esser diverse +convien di vostri effetti le radici: + +per ch’un nasce Solone e altro Serse, +altro Melchisedèch e altro quello +che, volando per l’aere, il figlio perse. + +La circular natura, ch’è suggello +a la cera mortal, fa ben sua arte, +ma non distingue l’un da l’altro ostello. + +Quinci addivien ch’Esaù si diparte +per seme da Iacòb; e vien Quirino +da sì vil padre, che si rende a Marte. + +Natura generata il suo cammino +simil farebbe sempre a’ generanti, +se non vincesse il proveder divino. + +Or quel che t’era dietro t’è davanti: +ma perché sappi che di te mi giova, +un corollario voglio che t’ammanti. + +Sempre natura, se fortuna trova +discorde a sé, com’ ogne altra semente +fuor di sua regïon, fa mala prova. + +E se ’l mondo là giù ponesse mente +al fondamento che natura pone, +seguendo lui, avria buona la gente. + +Ma voi torcete a la religïone +tal che fia nato a cignersi la spada, +e fate re di tal ch’è da sermone; + +onde la traccia vostra è fuor di strada». + + + +Paradiso · Canto IX + + +Da poi che Carlo tuo, bella Clemenza, +m’ebbe chiarito, mi narrò li ’nganni +che ricever dovea la sua semenza; + +ma disse: «Taci e lascia muover li anni»; +sì ch’io non posso dir se non che pianto +giusto verrà di retro ai vostri danni. + +E già la vita di quel lume santo +rivolta s’era al Sol che la rïempie +come quel ben ch’a ogne cosa è tanto. + +Ahi anime ingannate e fatture empie, +che da sì fatto ben torcete i cuori, +drizzando in vanità le vostre tempie! + +Ed ecco un altro di quelli splendori +ver’ me si fece, e ’l suo voler piacermi +significava nel chiarir di fori. + +Li occhi di Bëatrice, ch’eran fermi +sovra me, come pria, di caro assenso +al mio disio certificato fermi. + +«Deh, metti al mio voler tosto compenso, +beato spirto», dissi, «e fammi prova +ch’i’ possa in te refletter quel ch’io penso!». + +Onde la luce che m’era ancor nova, +del suo profondo, ond’ ella pria cantava, +seguette come a cui di ben far giova: + +«In quella parte de la terra prava +italica che siede tra Rïalto +e le fontane di Brenta e di Piava, + +si leva un colle, e non surge molt’ alto, +là onde scese già una facella +che fece a la contrada un grande assalto. + +D’una radice nacqui e io ed ella: +Cunizza fui chiamata, e qui refulgo +perché mi vinse il lume d’esta stella; + +ma lietamente a me medesma indulgo +la cagion di mia sorte, e non mi noia; +che parria forse forte al vostro vulgo. + +Di questa luculenta e cara gioia +del nostro cielo che più m’è propinqua, +grande fama rimase; e pria che moia, + +questo centesimo anno ancor s’incinqua: +vedi se far si dee l’omo eccellente, +sì ch’altra vita la prima relinqua. + +E ciò non pensa la turba presente +che Tagliamento e Adice richiude, +né per esser battuta ancor si pente; + +ma tosto fia che Padova al palude +cangerà l’acqua che Vincenza bagna, +per essere al dover le genti crude; + +e dove Sile e Cagnan s’accompagna, +tal signoreggia e va con la testa alta, +che già per lui carpir si fa la ragna. + +Piangerà Feltro ancora la difalta +de l’empio suo pastor, che sarà sconcia +sì, che per simil non s’entrò in malta. + +Troppo sarebbe larga la bigoncia +che ricevesse il sangue ferrarese, +e stanco chi ’l pesasse a oncia a oncia, + +che donerà questo prete cortese +per mostrarsi di parte; e cotai doni +conformi fieno al viver del paese. + +Sù sono specchi, voi dicete Troni, +onde refulge a noi Dio giudicante; +sì che questi parlar ne paion buoni». + +Qui si tacette; e fecemi sembiante +che fosse ad altro volta, per la rota +in che si mise com’ era davante. + +L’altra letizia, che m’era già nota +per cara cosa, mi si fece in vista +qual fin balasso in che lo sol percuota. + +Per letiziar là sù fulgor s’acquista, +sì come riso qui; ma giù s’abbuia +l’ombra di fuor, come la mente è trista. + +«Dio vede tutto, e tuo veder s’inluia», +diss’ io, «beato spirto, sì che nulla +voglia di sé a te puot’ esser fuia. + +Dunque la voce tua, che ’l ciel trastulla +sempre col canto di quei fuochi pii +che di sei ali facen la coculla, + +perché non satisface a’ miei disii? +Già non attendere’ io tua dimanda, +s’io m’intuassi, come tu t’inmii». + +«La maggior valle in che l’acqua si spanda», +incominciaro allor le sue parole, +«fuor di quel mar che la terra inghirlanda, + +tra ’ discordanti liti contra ’l sole +tanto sen va, che fa meridïano +là dove l’orizzonte pria far suole. + +Di quella valle fu’ io litorano +tra Ebro e Macra, che per cammin corto +parte lo Genovese dal Toscano. + +Ad un occaso quasi e ad un orto +Buggea siede e la terra ond’ io fui, +che fé del sangue suo già caldo il porto. + +Folco mi disse quella gente a cui +fu noto il nome mio; e questo cielo +di me s’imprenta, com’ io fe’ di lui; + +ché più non arse la figlia di Belo, +noiando e a Sicheo e a Creusa, +di me, infin che si convenne al pelo; + +né quella Rodopëa che delusa +fu da Demofoonte, né Alcide +quando Iole nel core ebbe rinchiusa. + +Non però qui si pente, ma si ride, +non de la colpa, ch’a mente non torna, +ma del valor ch’ordinò e provide. + +Qui si rimira ne l’arte ch’addorna +cotanto affetto, e discernesi ’l bene +per che ’l mondo di sù quel di giù torna. + +Ma perché tutte le tue voglie piene +ten porti che son nate in questa spera, +proceder ancor oltre mi convene. + +Tu vuo’ saper chi è in questa lumera +che qui appresso me così scintilla +come raggio di sole in acqua mera. + +Or sappi che là entro si tranquilla +Raab; e a nostr’ ordine congiunta, +di lei nel sommo grado si sigilla. + +Da questo cielo, in cui l’ombra s’appunta +che ’l vostro mondo face, pria ch’altr’ alma +del trïunfo di Cristo fu assunta. + +Ben si convenne lei lasciar per palma +in alcun cielo de l’alta vittoria +che s’acquistò con l’una e l’altra palma, + +perch’ ella favorò la prima gloria +di Iosüè in su la Terra Santa, +che poco tocca al papa la memoria. + +La tua città, che di colui è pianta +che pria volse le spalle al suo fattore +e di cui è la ’nvidia tanto pianta, + +produce e spande il maladetto fiore +c’ha disvïate le pecore e li agni, +però che fatto ha lupo del pastore. + +Per questo l’Evangelio e i dottor magni +son derelitti, e solo ai Decretali +si studia, sì che pare a’ lor vivagni. + +A questo intende il papa e ’ cardinali; +non vanno i lor pensieri a Nazarette, +là dove Gabrïello aperse l’ali. + +Ma Vaticano e l’altre parti elette +di Roma che son state cimitero +a la milizia che Pietro seguette, + +tosto libere fien de l’avoltero». + + + +Paradiso · Canto X + + +Guardando nel suo Figlio con l’Amore +che l’uno e l’altro etternalmente spira, +lo primo e ineffabile Valore + +quanto per mente e per loco si gira +con tant’ ordine fé, ch’esser non puote +sanza gustar di lui chi ciò rimira. + +Leva dunque, lettore, a l’alte rote +meco la vista, dritto a quella parte +dove l’un moto e l’altro si percuote; + +e lì comincia a vagheggiar ne l’arte +di quel maestro che dentro a sé l’ama, +tanto che mai da lei l’occhio non parte. + +Vedi come da indi si dirama +l’oblico cerchio che i pianeti porta, +per sodisfare al mondo che li chiama. + +Che se la strada lor non fosse torta, +molta virtù nel ciel sarebbe in vano, +e quasi ogne potenza qua giù morta; + +e se dal dritto più o men lontano +fosse ’l partire, assai sarebbe manco +e giù e sù de l’ordine mondano. + +Or ti riman, lettor, sovra ’l tuo banco, +dietro pensando a ciò che si preliba, +s’esser vuoi lieto assai prima che stanco. + +Messo t’ho innanzi: omai per te ti ciba; +ché a sé torce tutta la mia cura +quella materia ond’ io son fatto scriba. + +Lo ministro maggior de la natura, +che del valor del ciel lo mondo imprenta +e col suo lume il tempo ne misura, + +con quella parte che sù si rammenta +congiunto, si girava per le spire +in che più tosto ognora s’appresenta; + +e io era con lui; ma del salire +non m’accors’ io, se non com’ uom s’accorge, +anzi ’l primo pensier, del suo venire. + +È Bëatrice quella che sì scorge +di bene in meglio, sì subitamente +che l’atto suo per tempo non si sporge. + +Quant’ esser convenia da sé lucente +quel ch’era dentro al sol dov’ io entra’mi, +non per color, ma per lume parvente! + +Perch’ io lo ’ngegno e l’arte e l’uso chiami, +sì nol direi che mai s’imaginasse; +ma creder puossi e di veder si brami. + +E se le fantasie nostre son basse +a tanta altezza, non è maraviglia; +ché sopra ’l sol non fu occhio ch’andasse. + +Tal era quivi la quarta famiglia +de l’alto Padre, che sempre la sazia, +mostrando come spira e come figlia. + +E Bëatrice cominciò: «Ringrazia, +ringrazia il Sol de li angeli, ch’a questo +sensibil t’ha levato per sua grazia». + +Cor di mortal non fu mai sì digesto +a divozione e a rendersi a Dio +con tutto ’l suo gradir cotanto presto, + +come a quelle parole mi fec’ io; +e sì tutto ’l mio amore in lui si mise, +che Bëatrice eclissò ne l’oblio. + +Non le dispiacque; ma sì se ne rise, +che lo splendor de li occhi suoi ridenti +mia mente unita in più cose divise. + +Io vidi più folgór vivi e vincenti +far di noi centro e di sé far corona, +più dolci in voce che in vista lucenti: + +così cinger la figlia di Latona +vedem talvolta, quando l’aere è pregno, +sì che ritenga il fil che fa la zona. + +Ne la corte del cielo, ond’ io rivegno, +si trovan molte gioie care e belle +tanto che non si posson trar del regno; + +e ’l canto di quei lumi era di quelle; +chi non s’impenna sì che là sù voli, +dal muto aspetti quindi le novelle. + +Poi, sì cantando, quelli ardenti soli +si fuor girati intorno a noi tre volte, +come stelle vicine a’ fermi poli, + +donne mi parver, non da ballo sciolte, +ma che s’arrestin tacite, ascoltando +fin che le nove note hanno ricolte. + +E dentro a l’un senti’ cominciar: «Quando +lo raggio de la grazia, onde s’accende +verace amore e che poi cresce amando, + +multiplicato in te tanto resplende, +che ti conduce su per quella scala +u’ sanza risalir nessun discende; + +qual ti negasse il vin de la sua fiala +per la tua sete, in libertà non fora +se non com’ acqua ch’al mar non si cala. + +Tu vuo’ saper di quai piante s’infiora +questa ghirlanda che ’ntorno vagheggia +la bella donna ch’al ciel t’avvalora. + +Io fui de li agni de la santa greggia +che Domenico mena per cammino +u’ ben s’impingua se non si vaneggia. + +Questi che m’è a destra più vicino, +frate e maestro fummi, ed esso Alberto +è di Cologna, e io Thomas d’Aquino. + +Se sì di tutti li altri esser vuo’ certo, +di retro al mio parlar ten vien col viso +girando su per lo beato serto. + +Quell’ altro fiammeggiare esce del riso +di Grazïan, che l’uno e l’altro foro +aiutò sì che piace in paradiso. + +L’altro ch’appresso addorna il nostro coro, +quel Pietro fu che con la poverella +offerse a Santa Chiesa suo tesoro. + +La quinta luce, ch’è tra noi più bella, +spira di tale amor, che tutto ’l mondo +là giù ne gola di saper novella: + +entro v’è l’alta mente u’ sì profondo +saver fu messo, che, se ’l vero è vero, +a veder tanto non surse il secondo. + +Appresso vedi il lume di quel cero +che giù in carne più a dentro vide +l’angelica natura e ’l ministero. + +Ne l’altra piccioletta luce ride +quello avvocato de’ tempi cristiani +del cui latino Augustin si provide. + +Or se tu l’occhio de la mente trani +di luce in luce dietro a le mie lode, +già de l’ottava con sete rimani. + +Per vedere ogne ben dentro vi gode +l’anima santa che ’l mondo fallace +fa manifesto a chi di lei ben ode. + +Lo corpo ond’ ella fu cacciata giace +giuso in Cieldauro; ed essa da martiro +e da essilio venne a questa pace. + +Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro +d’Isidoro, di Beda e di Riccardo, +che a considerar fu più che viro. + +Questi onde a me ritorna il tuo riguardo, +è ’l lume d’uno spirto che ’n pensieri +gravi a morir li parve venir tardo: + +essa è la luce etterna di Sigieri, +che, leggendo nel Vico de li Strami, +silogizzò invidïosi veri». + +Indi, come orologio che ne chiami +ne l’ora che la sposa di Dio surge +a mattinar lo sposo perché l’ami, + +che l’una parte e l’altra tira e urge, +tin tin sonando con sì dolce nota, +che ’l ben disposto spirto d’amor turge; + +così vid’ ïo la gloriosa rota +muoversi e render voce a voce in tempra +e in dolcezza ch’esser non pò nota + +se non colà dove gioir s’insempra. + + + +Paradiso · Canto XI + + +O insensata cura de’ mortali, +quanto son difettivi silogismi +quei che ti fanno in basso batter l’ali! + +Chi dietro a iura e chi ad amforismi +sen giva, e chi seguendo sacerdozio, +e chi regnar per forza o per sofismi, + +e chi rubare e chi civil negozio, +chi nel diletto de la carne involto +s’affaticava e chi si dava a l’ozio, + +quando, da tutte queste cose sciolto, +con Bëatrice m’era suso in cielo +cotanto glorïosamente accolto. + +Poi che ciascuno fu tornato ne lo +punto del cerchio in che avanti s’era, +fermossi, come a candellier candelo. + +E io senti’ dentro a quella lumera +che pria m’avea parlato, sorridendo +incominciar, faccendosi più mera: + +«Così com’ io del suo raggio resplendo, +sì, riguardando ne la luce etterna, +li tuoi pensieri onde cagioni apprendo. + +Tu dubbi, e hai voler che si ricerna +in sì aperta e ’n sì distesa lingua +lo dicer mio, ch’al tuo sentir si sterna, + +ove dinanzi dissi: “U’ ben s’impingua”, +e là u’ dissi: “Non nacque il secondo”; +e qui è uopo che ben si distingua. + +La provedenza, che governa il mondo +con quel consiglio nel quale ogne aspetto +creato è vinto pria che vada al fondo, + +però che andasse ver’ lo suo diletto +la sposa di colui ch’ad alte grida +disposò lei col sangue benedetto, + +in sé sicura e anche a lui più fida, +due principi ordinò in suo favore, +che quinci e quindi le fosser per guida. + +L’un fu tutto serafico in ardore; +l’altro per sapïenza in terra fue +di cherubica luce uno splendore. + +De l’un dirò, però che d’amendue +si dice l’un pregiando, qual ch’om prende, +perch’ ad un fine fur l’opere sue. + +Intra Tupino e l’acqua che discende +del colle eletto dal beato Ubaldo, +fertile costa d’alto monte pende, + +onde Perugia sente freddo e caldo +da Porta Sole; e di rietro le piange +per grave giogo Nocera con Gualdo. + +Di questa costa, là dov’ ella frange +più sua rattezza, nacque al mondo un sole, +come fa questo talvolta di Gange. + +Però chi d’esso loco fa parole, +non dica Ascesi, ché direbbe corto, +ma Orïente, se proprio dir vuole. + +Non era ancor molto lontan da l’orto, +ch’el cominciò a far sentir la terra +de la sua gran virtute alcun conforto; + +ché per tal donna, giovinetto, in guerra +del padre corse, a cui, come a la morte, +la porta del piacer nessun diserra; + +e dinanzi a la sua spirital corte +et coram patre le si fece unito; +poscia di dì in dì l’amò più forte. + +Questa, privata del primo marito, +millecent’ anni e più dispetta e scura +fino a costui si stette sanza invito; + +né valse udir che la trovò sicura +con Amiclate, al suon de la sua voce, +colui ch’a tutto ’l mondo fé paura; + +né valse esser costante né feroce, +sì che, dove Maria rimase giuso, +ella con Cristo pianse in su la croce. + +Ma perch’ io non proceda troppo chiuso, +Francesco e Povertà per questi amanti +prendi oramai nel mio parlar diffuso. + +La lor concordia e i lor lieti sembianti, +amore e maraviglia e dolce sguardo +facieno esser cagion di pensier santi; + +tanto che ’l venerabile Bernardo +si scalzò prima, e dietro a tanta pace +corse e, correndo, li parve esser tardo. + +Oh ignota ricchezza! oh ben ferace! +Scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro +dietro a lo sposo, sì la sposa piace. + +Indi sen va quel padre e quel maestro +con la sua donna e con quella famiglia +che già legava l’umile capestro. + +Né li gravò viltà di cuor le ciglia +per esser fi’ di Pietro Bernardone, +né per parer dispetto a maraviglia; + +ma regalmente sua dura intenzione +ad Innocenzio aperse, e da lui ebbe +primo sigillo a sua religïone. + +Poi che la gente poverella crebbe +dietro a costui, la cui mirabil vita +meglio in gloria del ciel si canterebbe, + +di seconda corona redimita +fu per Onorio da l’Etterno Spiro +la santa voglia d’esto archimandrita. + +E poi che, per la sete del martiro, +ne la presenza del Soldan superba +predicò Cristo e li altri che ’l seguiro, + +e per trovare a conversione acerba +troppo la gente e per non stare indarno, +redissi al frutto de l’italica erba, + +nel crudo sasso intra Tevero e Arno +da Cristo prese l’ultimo sigillo, +che le sue membra due anni portarno. + +Quando a colui ch’a tanto ben sortillo +piacque di trarlo suso a la mercede +ch’el meritò nel suo farsi pusillo, + +a’ frati suoi, sì com’ a giuste rede, +raccomandò la donna sua più cara, +e comandò che l’amassero a fede; + +e del suo grembo l’anima preclara +mover si volle, tornando al suo regno, +e al suo corpo non volle altra bara. + +Pensa oramai qual fu colui che degno +collega fu a mantener la barca +di Pietro in alto mar per dritto segno; + +e questo fu il nostro patrïarca; +per che qual segue lui, com’ el comanda, +discerner puoi che buone merce carca. + +Ma ’l suo pecuglio di nova vivanda +è fatto ghiotto, sì ch’esser non puote +che per diversi salti non si spanda; + +e quanto le sue pecore remote +e vagabunde più da esso vanno, +più tornano a l’ovil di latte vòte. + +Ben son di quelle che temono ’l danno +e stringonsi al pastor; ma son sì poche, +che le cappe fornisce poco panno. + +Or, se le mie parole non son fioche, +se la tua audïenza è stata attenta, +se ciò ch’è detto a la mente revoche, + +in parte fia la tua voglia contenta, +perché vedrai la pianta onde si scheggia, +e vedra’ il corrègger che argomenta + +“U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”». + + + +Paradiso · Canto XII + + +Sì tosto come l’ultima parola +la benedetta fiamma per dir tolse, +a rotar cominciò la santa mola; + +e nel suo giro tutta non si volse +prima ch’un’altra di cerchio la chiuse, +e moto a moto e canto a canto colse; + +canto che tanto vince nostre muse, +nostre serene in quelle dolci tube, +quanto primo splendor quel ch’e’ refuse. + +Come si volgon per tenera nube +due archi paralelli e concolori, +quando Iunone a sua ancella iube, + +nascendo di quel d’entro quel di fori, +a guisa del parlar di quella vaga +ch’amor consunse come sol vapori, + +e fanno qui la gente esser presaga, +per lo patto che Dio con Noè puose, +del mondo che già mai più non s’allaga: + +così di quelle sempiterne rose +volgiensi circa noi le due ghirlande, +e sì l’estrema a l’intima rispuose. + +Poi che ’l tripudio e l’altra festa grande, +sì del cantare e sì del fiammeggiarsi +luce con luce gaudïose e blande, + +insieme a punto e a voler quetarsi, +pur come li occhi ch’al piacer che i move +conviene insieme chiudere e levarsi; + +del cor de l’una de le luci nove +si mosse voce, che l’ago a la stella +parer mi fece in volgermi al suo dove; + +e cominciò: «L’amor che mi fa bella +mi tragge a ragionar de l’altro duca +per cui del mio sì ben ci si favella. + +Degno è che, dov’ è l’un, l’altro s’induca: +sì che, com’ elli ad una militaro, +così la gloria loro insieme luca. + +L’essercito di Cristo, che sì caro +costò a rïarmar, dietro a la ’nsegna +si movea tardo, sospeccioso e raro, + +quando lo ’mperador che sempre regna +provide a la milizia, ch’era in forse, +per sola grazia, non per esser degna; + +e, come è detto, a sua sposa soccorse +con due campioni, al cui fare, al cui dire +lo popol disvïato si raccorse. + +In quella parte ove surge ad aprire +Zefiro dolce le novelle fronde +di che si vede Europa rivestire, + +non molto lungi al percuoter de l’onde +dietro a le quali, per la lunga foga, +lo sol talvolta ad ogne uom si nasconde, + +siede la fortunata Calaroga +sotto la protezion del grande scudo +in che soggiace il leone e soggioga: + +dentro vi nacque l’amoroso drudo +de la fede cristiana, il santo atleta +benigno a’ suoi e a’ nemici crudo; + +e come fu creata, fu repleta +sì la sua mente di viva vertute +che, ne la madre, lei fece profeta. + +Poi che le sponsalizie fuor compiute +al sacro fonte intra lui e la Fede, +u’ si dotar di mutüa salute, + +la donna che per lui l’assenso diede, +vide nel sonno il mirabile frutto +ch’uscir dovea di lui e de le rede; + +e perché fosse qual era in costrutto, +quinci si mosse spirito a nomarlo +del possessivo di cui era tutto. + +Domenico fu detto; e io ne parlo +sì come de l’agricola che Cristo +elesse a l’orto suo per aiutarlo. + +Ben parve messo e famigliar di Cristo: +che ’l primo amor che ’n lui fu manifesto, +fu al primo consiglio che diè Cristo. + +Spesse fïate fu tacito e desto +trovato in terra da la sua nutrice, +come dicesse: ‘Io son venuto a questo’. + +Oh padre suo veramente Felice! +oh madre sua veramente Giovanna, +se, interpretata, val come si dice! + +Non per lo mondo, per cui mo s’affanna +di retro ad Ostïense e a Taddeo, +ma per amor de la verace manna + +in picciol tempo gran dottor si feo; +tal che si mise a circüir la vigna +che tosto imbianca, se ’l vignaio è reo. + +E a la sedia che fu già benigna +più a’ poveri giusti, non per lei, +ma per colui che siede, che traligna, + +non dispensare o due o tre per sei, +non la fortuna di prima vacante, +non decimas, quae sunt pauperum Dei, + +addimandò, ma contro al mondo errante +licenza di combatter per lo seme +del qual ti fascian ventiquattro piante. + +Poi, con dottrina e con volere insieme, +con l’officio appostolico si mosse +quasi torrente ch’alta vena preme; + +e ne li sterpi eretici percosse +l’impeto suo, più vivamente quivi +dove le resistenze eran più grosse. + +Di lui si fecer poi diversi rivi +onde l’orto catolico si riga, +sì che i suoi arbuscelli stan più vivi. + +Se tal fu l’una rota de la biga +in che la Santa Chiesa si difese +e vinse in campo la sua civil briga, + +ben ti dovrebbe assai esser palese +l’eccellenza de l’altra, di cui Tomma +dinanzi al mio venir fu sì cortese. + +Ma l’orbita che fé la parte somma +di sua circunferenza, è derelitta, +sì ch’è la muffa dov’ era la gromma. + +La sua famiglia, che si mosse dritta +coi piedi a le sue orme, è tanto volta, +che quel dinanzi a quel di retro gitta; + +e tosto si vedrà de la ricolta +de la mala coltura, quando il loglio +si lagnerà che l’arca li sia tolta. + +Ben dico, chi cercasse a foglio a foglio +nostro volume, ancor troveria carta +u’ leggerebbe “I’ mi son quel ch’i’ soglio”; + +ma non fia da Casal né d’Acquasparta, +là onde vegnon tali a la scrittura, +ch’uno la fugge e altro la coarta. + +Io son la vita di Bonaventura +da Bagnoregio, che ne’ grandi offici +sempre pospuosi la sinistra cura. + +Illuminato e Augustin son quici, +che fuor de’ primi scalzi poverelli +che nel capestro a Dio si fero amici. + +Ugo da San Vittore è qui con elli, +e Pietro Mangiadore e Pietro Spano, +lo qual giù luce in dodici libelli; + +Natàn profeta e ’l metropolitano +Crisostomo e Anselmo e quel Donato +ch’a la prim’ arte degnò porre mano. + +Rabano è qui, e lucemi dallato +il calavrese abate Giovacchino +di spirito profetico dotato. + +Ad inveggiar cotanto paladino +mi mosse l’infiammata cortesia +di fra Tommaso e ’l discreto latino; + +e mosse meco questa compagnia». + + + +Paradiso · Canto XIII + + +Imagini, chi bene intender cupe +quel ch’i’ or vidi—e ritegna l’image, +mentre ch’io dico, come ferma rupe—, + +quindici stelle che ’n diverse plage +lo ciel avvivan di tanto sereno +che soperchia de l’aere ogne compage; + +imagini quel carro a cu’ il seno +basta del nostro cielo e notte e giorno, +sì ch’al volger del temo non vien meno; + +imagini la bocca di quel corno +che si comincia in punta de lo stelo +a cui la prima rota va dintorno, + +aver fatto di sé due segni in cielo, +qual fece la figliuola di Minoi +allora che sentì di morte il gelo; + +e l’un ne l’altro aver li raggi suoi, +e amendue girarsi per maniera +che l’uno andasse al primo e l’altro al poi; + +e avrà quasi l’ombra de la vera +costellazione e de la doppia danza +che circulava il punto dov’ io era: + +poi ch’è tanto di là da nostra usanza, +quanto di là dal mover de la Chiana +si move il ciel che tutti li altri avanza. + +Lì si cantò non Bacco, non Peana, +ma tre persone in divina natura, +e in una persona essa e l’umana. + +Compié ’l cantare e ’l volger sua misura; +e attesersi a noi quei santi lumi, +felicitando sé di cura in cura. + +Ruppe il silenzio ne’ concordi numi +poscia la luce in che mirabil vita +del poverel di Dio narrata fumi, + +e disse: «Quando l’una paglia è trita, +quando la sua semenza è già riposta, +a batter l’altra dolce amor m’invita. + +Tu credi che nel petto onde la costa +si trasse per formar la bella guancia +il cui palato a tutto ’l mondo costa, + +e in quel che, forato da la lancia, +e prima e poscia tanto sodisfece, +che d’ogne colpa vince la bilancia, + +quantunque a la natura umana lece +aver di lume, tutto fosse infuso +da quel valor che l’uno e l’altro fece; + +e però miri a ciò ch’io dissi suso, +quando narrai che non ebbe ’l secondo +lo ben che ne la quinta luce è chiuso. + +Or apri li occhi a quel ch’io ti rispondo, +e vedräi il tuo credere e ’l mio dire +nel vero farsi come centro in tondo. + +Ciò che non more e ciò che può morire +non è se non splendor di quella idea +che partorisce, amando, il nostro Sire; + +ché quella viva luce che sì mea +dal suo lucente, che non si disuna +da lui né da l’amor ch’a lor s’intrea, + +per sua bontate il suo raggiare aduna, +quasi specchiato, in nove sussistenze, +etternalmente rimanendosi una. + +Quindi discende a l’ultime potenze +giù d’atto in atto, tanto divenendo, +che più non fa che brevi contingenze; + +e queste contingenze essere intendo +le cose generate, che produce +con seme e sanza seme il ciel movendo. + +La cera di costoro e chi la duce +non sta d’un modo; e però sotto ’l segno +idëale poi più e men traluce. + +Ond’ elli avvien ch’un medesimo legno, +secondo specie, meglio e peggio frutta; +e voi nascete con diverso ingegno. + +Se fosse a punto la cera dedutta +e fosse il cielo in sua virtù supprema, +la luce del suggel parrebbe tutta; + +ma la natura la dà sempre scema, +similemente operando a l’artista +ch’a l’abito de l’arte ha man che trema. + +Però se ’l caldo amor la chiara vista +de la prima virtù dispone e segna, +tutta la perfezion quivi s’acquista. + +Così fu fatta già la terra degna +di tutta l’animal perfezïone; +così fu fatta la Vergine pregna; + +sì ch’io commendo tua oppinïone, +che l’umana natura mai non fue +né fia qual fu in quelle due persone. + +Or s’i’ non procedesse avanti piùe, +‘Dunque, come costui fu sanza pare?’ +comincerebber le parole tue. + +Ma perché paia ben ciò che non pare, +pensa chi era, e la cagion che ’l mosse, +quando fu detto “Chiedi”, a dimandare. + +Non ho parlato sì, che tu non posse +ben veder ch’el fu re, che chiese senno +acciò che re sufficïente fosse; + +non per sapere il numero in che enno +li motor di qua sù, o se necesse +con contingente mai necesse fenno; + +non si est dare primum motum esse, +o se del mezzo cerchio far si puote +trïangol sì ch’un retto non avesse. + +Onde, se ciò ch’io dissi e questo note, +regal prudenza è quel vedere impari +in che lo stral di mia intenzion percuote; + +e se al “surse” drizzi li occhi chiari, +vedrai aver solamente respetto +ai regi, che son molti, e ’ buon son rari. + +Con questa distinzion prendi ’l mio detto; +e così puote star con quel che credi +del primo padre e del nostro Diletto. + +E questo ti sia sempre piombo a’ piedi, +per farti mover lento com’ uom lasso +e al sì e al no che tu non vedi: + +ché quelli è tra li stolti bene a basso, +che sanza distinzione afferma e nega +ne l’un così come ne l’altro passo; + +perch’ elli ’ncontra che più volte piega +l’oppinïon corrente in falsa parte, +e poi l’affetto l’intelletto lega. + +Vie più che ’ndarno da riva si parte, +perché non torna tal qual e’ si move, +chi pesca per lo vero e non ha l’arte. + +E di ciò sono al mondo aperte prove +Parmenide, Melisso e Brisso e molti, +li quali andaro e non sapëan dove; + +sì fé Sabellio e Arrio e quelli stolti +che furon come spade a le Scritture +in render torti li diritti volti. + +Non sien le genti, ancor, troppo sicure +a giudicar, sì come quei che stima +le biade in campo pria che sien mature; + +ch’i’ ho veduto tutto ’l verno prima +lo prun mostrarsi rigido e feroce, +poscia portar la rosa in su la cima; + +e legno vidi già dritto e veloce +correr lo mar per tutto suo cammino, +perire al fine a l’intrar de la foce. + +Non creda donna Berta e ser Martino, +per vedere un furare, altro offerere, +vederli dentro al consiglio divino; + +ché quel può surgere, e quel può cadere». + + + +Paradiso · Canto XIV + + +Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro +movesi l’acqua in un ritondo vaso, +secondo ch’è percosso fuori o dentro: + +ne la mia mente fé sùbito caso +questo ch’io dico, sì come si tacque +la glorïosa vita di Tommaso, + +per la similitudine che nacque +del suo parlare e di quel di Beatrice, +a cui sì cominciar, dopo lui, piacque: + +«A costui fa mestieri, e nol vi dice +né con la voce né pensando ancora, +d’un altro vero andare a la radice. + +Diteli se la luce onde s’infiora +vostra sustanza, rimarrà con voi +etternalmente sì com’ ell’ è ora; + +e se rimane, dite come, poi +che sarete visibili rifatti, +esser porà ch’al veder non vi nòi». + +Come, da più letizia pinti e tratti, +a la fïata quei che vanno a rota +levan la voce e rallegrano li atti, + +così, a l’orazion pronta e divota, +li santi cerchi mostrar nova gioia +nel torneare e ne la mira nota. + +Qual si lamenta perché qui si moia +per viver colà sù, non vide quive +lo refrigerio de l’etterna ploia. + +Quell’ uno e due e tre che sempre vive +e regna sempre in tre e ’n due e ’n uno, +non circunscritto, e tutto circunscrive, + +tre volte era cantato da ciascuno +di quelli spirti con tal melodia, +ch’ad ogne merto saria giusto muno. + +E io udi’ ne la luce più dia +del minor cerchio una voce modesta, +forse qual fu da l’angelo a Maria, + +risponder: «Quanto fia lunga la festa +di paradiso, tanto il nostro amore +si raggerà dintorno cotal vesta. + +La sua chiarezza séguita l’ardore; +l’ardor la visïone, e quella è tanta, +quant’ ha di grazia sovra suo valore. + +Come la carne glorïosa e santa +fia rivestita, la nostra persona +più grata fia per esser tutta quanta; + +per che s’accrescerà ciò che ne dona +di gratüito lume il sommo bene, +lume ch’a lui veder ne condiziona; + +onde la visïon crescer convene, +crescer l’ardor che di quella s’accende, +crescer lo raggio che da esso vene. + +Ma sì come carbon che fiamma rende, +e per vivo candor quella soverchia, +sì che la sua parvenza si difende; + +così questo folgór che già ne cerchia +fia vinto in apparenza da la carne +che tutto dì la terra ricoperchia; + +né potrà tanta luce affaticarne: +ché li organi del corpo saran forti +a tutto ciò che potrà dilettarne». + +Tanto mi parver sùbiti e accorti +e l’uno e l’altro coro a dicer «Amme!», +che ben mostrar disio d’i corpi morti: + +forse non pur per lor, ma per le mamme, +per li padri e per li altri che fuor cari +anzi che fosser sempiterne fiamme. + +Ed ecco intorno, di chiarezza pari, +nascere un lustro sopra quel che v’era, +per guisa d’orizzonte che rischiari. + +E sì come al salir di prima sera +comincian per lo ciel nove parvenze, +sì che la vista pare e non par vera, + +parvemi lì novelle sussistenze +cominciare a vedere, e fare un giro +di fuor da l’altre due circunferenze. + +Oh vero sfavillar del Santo Spiro! +come si fece sùbito e candente +a li occhi miei che, vinti, nol soffriro! + +Ma Bëatrice sì bella e ridente +mi si mostrò, che tra quelle vedute +si vuol lasciar che non seguir la mente. + +Quindi ripreser li occhi miei virtute +a rilevarsi; e vidimi translato +sol con mia donna in più alta salute. + +Ben m’accors’ io ch’io era più levato, +per l’affocato riso de la stella, +che mi parea più roggio che l’usato. + +Con tutto ’l core e con quella favella +ch’è una in tutti, a Dio feci olocausto, +qual conveniesi a la grazia novella. + +E non er’ anco del mio petto essausto +l’ardor del sacrificio, ch’io conobbi +esso litare stato accetto e fausto; + +ché con tanto lucore e tanto robbi +m’apparvero splendor dentro a due raggi, +ch’io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!». + +Come distinta da minori e maggi +lumi biancheggia tra ’ poli del mondo +Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; + +sì costellati facean nel profondo +Marte quei raggi il venerabil segno +che fan giunture di quadranti in tondo. + +Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; +ché quella croce lampeggiava Cristo, +sì ch’io non so trovare essempro degno; + +ma chi prende sua croce e segue Cristo, +ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, +vedendo in quell’ albor balenar Cristo. + +Di corno in corno e tra la cima e ’l basso +si movien lumi, scintillando forte +nel congiugnersi insieme e nel trapasso: + +così si veggion qui diritte e torte, +veloci e tarde, rinovando vista, +le minuzie d’i corpi, lunghe e corte, + +moversi per lo raggio onde si lista +talvolta l’ombra che, per sua difesa, +la gente con ingegno e arte acquista. + +E come giga e arpa, in tempra tesa +di molte corde, fa dolce tintinno +a tal da cui la nota non è intesa, + +così da’ lumi che lì m’apparinno +s’accogliea per la croce una melode +che mi rapiva, sanza intender l’inno. + +Ben m’accors’ io ch’elli era d’alte lode, +però ch’a me venìa «Resurgi» e «Vinci» +come a colui che non intende e ode. + +Ïo m’innamorava tanto quinci, +che ’nfino a lì non fu alcuna cosa +che mi legasse con sì dolci vinci. + +Forse la mia parola par troppo osa, +posponendo il piacer de li occhi belli, +ne’ quai mirando mio disio ha posa; + +ma chi s’avvede che i vivi suggelli +d’ogne bellezza più fanno più suso, +e ch’io non m’era lì rivolto a quelli, + +escusar puommi di quel ch’io m’accuso +per escusarmi, e vedermi dir vero: +ché ’l piacer santo non è qui dischiuso, + +perché si fa, montando, più sincero. + + + +Paradiso · Canto XV + + +Benigna volontade in che si liqua +sempre l’amor che drittamente spira, +come cupidità fa ne la iniqua, + +silenzio puose a quella dolce lira, +e fece quïetar le sante corde +che la destra del cielo allenta e tira. + +Come saranno a’ giusti preghi sorde +quelle sustanze che, per darmi voglia +ch’io le pregassi, a tacer fur concorde? + +Bene è che sanza termine si doglia +chi, per amor di cosa che non duri +etternalmente, quello amor si spoglia. + +Quale per li seren tranquilli e puri +discorre ad ora ad or sùbito foco, +movendo li occhi che stavan sicuri, + +e pare stella che tramuti loco, +se non che da la parte ond’ e’ s’accende +nulla sen perde, ed esso dura poco: + +tale dal corno che ’n destro si stende +a piè di quella croce corse un astro +de la costellazion che lì resplende; + +né si partì la gemma dal suo nastro, +ma per la lista radïal trascorse, +che parve foco dietro ad alabastro. + +Sì pïa l’ombra d’Anchise si porse, +se fede merta nostra maggior musa, +quando in Eliso del figlio s’accorse. + +«O sanguis meus, o superinfusa +gratïa Deï, sicut tibi cui +bis unquam celi ianüa reclusa?». + +Così quel lume: ond’ io m’attesi a lui; +poscia rivolsi a la mia donna il viso, +e quinci e quindi stupefatto fui; + +ché dentro a li occhi suoi ardeva un riso +tal, ch’io pensai co’ miei toccar lo fondo +de la mia gloria e del mio paradiso. + +Indi, a udire e a veder giocondo, +giunse lo spirto al suo principio cose, +ch’io non lo ’ntesi, sì parlò profondo; + +né per elezïon mi si nascose, +ma per necessità, ché ’l suo concetto +al segno d’i mortal si soprapuose. + +E quando l’arco de l’ardente affetto +fu sì sfogato, che ’l parlar discese +inver’ lo segno del nostro intelletto, + +la prima cosa che per me s’intese, +«Benedetto sia tu», fu, «trino e uno, +che nel mio seme se’ tanto cortese!». + +E seguì: «Grato e lontano digiuno, +tratto leggendo del magno volume +du’ non si muta mai bianco né bruno, + +solvuto hai, figlio, dentro a questo lume +in ch’io ti parlo, mercè di colei +ch’a l’alto volo ti vestì le piume. + +Tu credi che a me tuo pensier mei +da quel ch’è primo, così come raia +da l’un, se si conosce, il cinque e ’l sei; + +e però ch’io mi sia e perch’ io paia +più gaudïoso a te, non mi domandi, +che alcun altro in questa turba gaia. + +Tu credi ’l vero; ché i minori e ’ grandi +di questa vita miran ne lo speglio +in che, prima che pensi, il pensier pandi; + +ma perché ’l sacro amore in che io veglio +con perpetüa vista e che m’asseta +di dolce disïar, s’adempia meglio, + +la voce tua sicura, balda e lieta +suoni la volontà, suoni ’l disio, +a che la mia risposta è già decreta!». + +Io mi volsi a Beatrice, e quella udio +pria ch’io parlassi, e arrisemi un cenno +che fece crescer l’ali al voler mio. + +Poi cominciai così: «L’affetto e ’l senno, +come la prima equalità v’apparse, +d’un peso per ciascun di voi si fenno, + +però che ’l sol che v’allumò e arse, +col caldo e con la luce è sì iguali, +che tutte simiglianze sono scarse. + +Ma voglia e argomento ne’ mortali, +per la cagion ch’a voi è manifesta, +diversamente son pennuti in ali; + +ond’ io, che son mortal, mi sento in questa +disagguaglianza, e però non ringrazio +se non col core a la paterna festa. + +Ben supplico io a te, vivo topazio +che questa gioia prezïosa ingemmi, +perché mi facci del tuo nome sazio». + +«O fronda mia in che io compiacemmi +pur aspettando, io fui la tua radice»: +cotal principio, rispondendo, femmi. + +Poscia mi disse: «Quel da cui si dice +tua cognazione e che cent’ anni e piùe +girato ha ’l monte in la prima cornice, + +mio figlio fu e tuo bisavol fue: +ben si convien che la lunga fatica +tu li raccorci con l’opere tue. + +Fiorenza dentro da la cerchia antica, +ond’ ella toglie ancora e terza e nona, +si stava in pace, sobria e pudica. + +Non avea catenella, non corona, +non gonne contigiate, non cintura +che fosse a veder più che la persona. + +Non faceva, nascendo, ancor paura +la figlia al padre, che ’l tempo e la dote +non fuggien quinci e quindi la misura. + +Non avea case di famiglia vòte; +non v’era giunto ancor Sardanapalo +a mostrar ciò che ’n camera si puote. + +Non era vinto ancora Montemalo +dal vostro Uccellatoio, che, com’ è vinto +nel montar sù, così sarà nel calo. + +Bellincion Berti vid’ io andar cinto +di cuoio e d’osso, e venir da lo specchio +la donna sua sanza ’l viso dipinto; + +e vidi quel d’i Nerli e quel del Vecchio +esser contenti a la pelle scoperta, +e le sue donne al fuso e al pennecchio. + +Oh fortunate! ciascuna era certa +de la sua sepultura, e ancor nulla +era per Francia nel letto diserta. + +L’una vegghiava a studio de la culla, +e, consolando, usava l’idïoma +che prima i padri e le madri trastulla; + +l’altra, traendo a la rocca la chioma, +favoleggiava con la sua famiglia +d’i Troiani, di Fiesole e di Roma. + +Saria tenuta allor tal maraviglia +una Cianghella, un Lapo Salterello, +qual or saria Cincinnato e Corniglia. + +A così riposato, a così bello +viver di cittadini, a così fida +cittadinanza, a così dolce ostello, + +Maria mi diè, chiamata in alte grida; +e ne l’antico vostro Batisteo +insieme fui cristiano e Cacciaguida. + +Moronto fu mio frate ed Eliseo; +mia donna venne a me di val di Pado, +e quindi il sopranome tuo si feo. + +Poi seguitai lo ’mperador Currado; +ed el mi cinse de la sua milizia, +tanto per bene ovrar li venni in grado. + +Dietro li andai incontro a la nequizia +di quella legge il cui popolo usurpa, +per colpa d’i pastor, vostra giustizia. + +Quivi fu’ io da quella gente turpa +disviluppato dal mondo fallace, +lo cui amor molt’ anime deturpa; + +e venni dal martiro a questa pace». + + + +Paradiso · Canto XVI + + +O poca nostra nobiltà di sangue, +se glorïar di te la gente fai +qua giù dove l’affetto nostro langue, + +mirabil cosa non mi sarà mai: +ché là dove appetito non si torce, +dico nel cielo, io me ne gloriai. + +Ben se’ tu manto che tosto raccorce: +sì che, se non s’appon di dì in die, +lo tempo va dintorno con le force. + +Dal ‘voi’ che prima a Roma s’offerie, +in che la sua famiglia men persevra, +ricominciaron le parole mie; + +onde Beatrice, ch’era un poco scevra, +ridendo, parve quella che tossio +al primo fallo scritto di Ginevra. + +Io cominciai: «Voi siete il padre mio; +voi mi date a parlar tutta baldezza; +voi mi levate sì, ch’i’ son più ch’io. + +Per tanti rivi s’empie d’allegrezza +la mente mia, che di sé fa letizia +perché può sostener che non si spezza. + +Ditemi dunque, cara mia primizia, +quai fuor li vostri antichi e quai fuor li anni +che si segnaro in vostra püerizia; + +ditemi de l’ovil di San Giovanni +quanto era allora, e chi eran le genti +tra esso degne di più alti scanni». + +Come s’avviva a lo spirar d’i venti +carbone in fiamma, così vid’ io quella +luce risplendere a’ miei blandimenti; + +e come a li occhi miei si fé più bella, +così con voce più dolce e soave, +ma non con questa moderna favella, + +dissemi: «Da quel dì che fu detto ‘Ave’ +al parto in che mia madre, ch’è or santa, +s’allevïò di me ond’ era grave, + +al suo Leon cinquecento cinquanta +e trenta fiate venne questo foco +a rinfiammarsi sotto la sua pianta. + +Li antichi miei e io nacqui nel loco +dove si truova pria l’ultimo sesto +da quei che corre il vostro annüal gioco. + +Basti d’i miei maggiori udirne questo: +chi ei si fosser e onde venner quivi, +più è tacer che ragionare onesto. + +Tutti color ch’a quel tempo eran ivi +da poter arme tra Marte e ’l Batista, +eran il quinto di quei ch’or son vivi. + +Ma la cittadinanza, ch’è or mista +di Campi, di Certaldo e di Fegghine, +pura vediesi ne l’ultimo artista. + +Oh quanto fora meglio esser vicine +quelle genti ch’io dico, e al Galluzzo +e a Trespiano aver vostro confine, + +che averle dentro e sostener lo puzzo +del villan d’Aguglion, di quel da Signa, +che già per barattare ha l’occhio aguzzo! + +Se la gente ch’al mondo più traligna +non fosse stata a Cesare noverca, +ma come madre a suo figlio benigna, + +tal fatto è fiorentino e cambia e merca, +che si sarebbe vòlto a Simifonti, +là dove andava l’avolo a la cerca; + +sariesi Montemurlo ancor de’ Conti; +sarieno i Cerchi nel piovier d’Acone, +e forse in Valdigrieve i Buondelmonti. + +Sempre la confusion de le persone +principio fu del mal de la cittade, +come del vostro il cibo che s’appone; + +e cieco toro più avaccio cade +che cieco agnello; e molte volte taglia +più e meglio una che le cinque spade. + +Se tu riguardi Luni e Orbisaglia +come sono ite, e come se ne vanno +di retro ad esse Chiusi e Sinigaglia, + +udir come le schiatte si disfanno +non ti parrà nova cosa né forte, +poscia che le cittadi termine hanno. + +Le vostre cose tutte hanno lor morte, +sì come voi; ma celasi in alcuna +che dura molto, e le vite son corte. + +E come ’l volger del ciel de la luna +cuopre e discuopre i liti sanza posa, +così fa di Fiorenza la Fortuna: + +per che non dee parer mirabil cosa +ciò ch’io dirò de li alti Fiorentini +onde è la fama nel tempo nascosa. + +Io vidi li Ughi e vidi i Catellini, +Filippi, Greci, Ormanni e Alberichi, +già nel calare, illustri cittadini; + +e vidi così grandi come antichi, +con quel de la Sannella, quel de l’Arca, +e Soldanieri e Ardinghi e Bostichi. + +Sovra la porta ch’al presente è carca +di nova fellonia di tanto peso +che tosto fia iattura de la barca, + +erano i Ravignani, ond’ è disceso +il conte Guido e qualunque del nome +de l’alto Bellincione ha poscia preso. + +Quel de la Pressa sapeva già come +regger si vuole, e avea Galigaio +dorata in casa sua già l’elsa e ’l pome. + +Grand’ era già la colonna del Vaio, +Sacchetti, Giuochi, Fifanti e Barucci +e Galli e quei ch’arrossan per lo staio. + +Lo ceppo di che nacquero i Calfucci +era già grande, e già eran tratti +a le curule Sizii e Arrigucci. + +Oh quali io vidi quei che son disfatti +per lor superbia! e le palle de l’oro +fiorian Fiorenza in tutt’ i suoi gran fatti. + +Così facieno i padri di coloro +che, sempre che la vostra chiesa vaca, +si fanno grassi stando a consistoro. + +L’oltracotata schiatta che s’indraca +dietro a chi fugge, e a chi mostra ’l dente +o ver la borsa, com’ agnel si placa, + +già venìa sù, ma di picciola gente; +sì che non piacque ad Ubertin Donato +che poï il suocero il fé lor parente. + +Già era ’l Caponsacco nel mercato +disceso giù da Fiesole, e già era +buon cittadino Giuda e Infangato. + +Io dirò cosa incredibile e vera: +nel picciol cerchio s’entrava per porta +che si nomava da quei de la Pera. + +Ciascun che de la bella insegna porta +del gran barone il cui nome e ’l cui pregio +la festa di Tommaso riconforta, + +da esso ebbe milizia e privilegio; +avvegna che con popol si rauni +oggi colui che la fascia col fregio. + +Già eran Gualterotti e Importuni; +e ancor saria Borgo più quïeto, +se di novi vicin fosser digiuni. + +La casa di che nacque il vostro fleto, +per lo giusto disdegno che v’ha morti +e puose fine al vostro viver lieto, + +era onorata, essa e suoi consorti: +o Buondelmonte, quanto mal fuggisti +le nozze süe per li altrui conforti! + +Molti sarebber lieti, che son tristi, +se Dio t’avesse conceduto ad Ema +la prima volta ch’a città venisti. + +Ma conveniesi a quella pietra scema +che guarda ’l ponte, che Fiorenza fesse +vittima ne la sua pace postrema. + +Con queste genti, e con altre con esse, +vid’ io Fiorenza in sì fatto riposo, +che non avea cagione onde piangesse. + +Con queste genti vid’io glorïoso +e giusto il popol suo, tanto che ’l giglio +non era ad asta mai posto a ritroso, + +né per divisïon fatto vermiglio». + + + +Paradiso · Canto XVII + + +Qual venne a Climenè, per accertarsi +di ciò ch’avëa incontro a sé udito, +quei ch’ancor fa li padri ai figli scarsi; + +tal era io, e tal era sentito +e da Beatrice e da la santa lampa +che pria per me avea mutato sito. + +Per che mia donna «Manda fuor la vampa +del tuo disio», mi disse, «sì ch’ella esca +segnata bene de la interna stampa: + +non perché nostra conoscenza cresca +per tuo parlare, ma perché t’ausi +a dir la sete, sì che l’uom ti mesca». + +«O cara piota mia che sì t’insusi, +che, come veggion le terrene menti +non capere in trïangol due ottusi, + +così vedi le cose contingenti +anzi che sieno in sé, mirando il punto +a cui tutti li tempi son presenti; + +mentre ch’io era a Virgilio congiunto +su per lo monte che l’anime cura +e discendendo nel mondo defunto, + +dette mi fuor di mia vita futura +parole gravi, avvegna ch’io mi senta +ben tetragono ai colpi di ventura; + +per che la voglia mia saria contenta +d’intender qual fortuna mi s’appressa: +ché saetta previsa vien più lenta». + +Così diss’ io a quella luce stessa +che pria m’avea parlato; e come volle +Beatrice, fu la mia voglia confessa. + +Né per ambage, in che la gente folle +già s’inviscava pria che fosse anciso +l’Agnel di Dio che le peccata tolle, + +ma per chiare parole e con preciso +latin rispuose quello amor paterno, +chiuso e parvente del suo proprio riso: + +«La contingenza, che fuor del quaderno +de la vostra matera non si stende, +tutta è dipinta nel cospetto etterno; + +necessità però quindi non prende +se non come dal viso in che si specchia +nave che per torrente giù discende. + +Da indi, sì come viene ad orecchia +dolce armonia da organo, mi viene +a vista il tempo che ti s’apparecchia. + +Qual si partio Ipolito d’Atene +per la spietata e perfida noverca, +tal di Fiorenza partir ti convene. + +Questo si vuole e questo già si cerca, +e tosto verrà fatto a chi ciò pensa +là dove Cristo tutto dì si merca. + +La colpa seguirà la parte offensa +in grido, come suol; ma la vendetta +fia testimonio al ver che la dispensa. + +Tu lascerai ogne cosa diletta +più caramente; e questo è quello strale +che l’arco de lo essilio pria saetta. + +Tu proverai sì come sa di sale +lo pane altrui, e come è duro calle +lo scendere e ’l salir per l’altrui scale. + +E quel che più ti graverà le spalle, +sarà la compagnia malvagia e scempia +con la qual tu cadrai in questa valle; + +che tutta ingrata, tutta matta ed empia +si farà contr’ a te; ma, poco appresso, +ella, non tu, n’avrà rossa la tempia. + +Di sua bestialitate il suo processo +farà la prova; sì ch’a te fia bello +averti fatta parte per te stesso. + +Lo primo tuo refugio e ’l primo ostello +sarà la cortesia del gran Lombardo +che ’n su la scala porta il santo uccello; + +ch’in te avrà sì benigno riguardo, +che del fare e del chieder, tra voi due, +fia primo quel che tra li altri è più tardo. + +Con lui vedrai colui che ’mpresso fue, +nascendo, sì da questa stella forte, +che notabili fier l’opere sue. + +Non se ne son le genti ancora accorte +per la novella età, ché pur nove anni +son queste rote intorno di lui torte; + +ma pria che ’l Guasco l’alto Arrigo inganni, +parran faville de la sua virtute +in non curar d’argento né d’affanni. + +Le sue magnificenze conosciute +saranno ancora, sì che ’ suoi nemici +non ne potran tener le lingue mute. + +A lui t’aspetta e a’ suoi benefici; +per lui fia trasmutata molta gente, +cambiando condizion ricchi e mendici; + +e portera’ne scritto ne la mente +di lui, e nol dirai»; e disse cose +incredibili a quei che fier presente. + +Poi giunse: «Figlio, queste son le chiose +di quel che ti fu detto; ecco le ’nsidie +che dietro a pochi giri son nascose. + +Non vo’ però ch’a’ tuoi vicini invidie, +poscia che s’infutura la tua vita +vie più là che ’l punir di lor perfidie». + +Poi che, tacendo, si mostrò spedita +l’anima santa di metter la trama +in quella tela ch’io le porsi ordita, + +io cominciai, come colui che brama, +dubitando, consiglio da persona +che vede e vuol dirittamente e ama: + +«Ben veggio, padre mio, sì come sprona +lo tempo verso me, per colpo darmi +tal, ch’è più grave a chi più s’abbandona; + +per che di provedenza è buon ch’io m’armi, +sì che, se loco m’è tolto più caro, +io non perdessi li altri per miei carmi. + +Giù per lo mondo sanza fine amaro, +e per lo monte del cui bel cacume +li occhi de la mia donna mi levaro, + +e poscia per lo ciel, di lume in lume, +ho io appreso quel che s’io ridico, +a molti fia sapor di forte agrume; + +e s’io al vero son timido amico, +temo di perder viver tra coloro +che questo tempo chiameranno antico». + +La luce in che rideva il mio tesoro +ch’io trovai lì, si fé prima corusca, +quale a raggio di sole specchio d’oro; + +indi rispuose: «Coscïenza fusca +o de la propria o de l’altrui vergogna +pur sentirà la tua parola brusca. + +Ma nondimen, rimossa ogne menzogna, +tutta tua visïon fa manifesta; +e lascia pur grattar dov’ è la rogna. + +Ché se la voce tua sarà molesta +nel primo gusto, vital nodrimento +lascerà poi, quando sarà digesta. + +Questo tuo grido farà come vento, +che le più alte cime più percuote; +e ciò non fa d’onor poco argomento. + +Però ti son mostrate in queste rote, +nel monte e ne la valle dolorosa +pur l’anime che son di fama note, + +che l’animo di quel ch’ode, non posa +né ferma fede per essempro ch’aia +la sua radice incognita e ascosa, + +né per altro argomento che non paia». + + + +Paradiso · Canto XVIII + + +Già si godeva solo del suo verbo +quello specchio beato, e io gustava +lo mio, temprando col dolce l’acerbo; + +e quella donna ch’a Dio mi menava +disse: «Muta pensier; pensa ch’i’ sono +presso a colui ch’ogne torto disgrava». + +Io mi rivolsi a l’amoroso suono +del mio conforto; e qual io allor vidi +ne li occhi santi amor, qui l’abbandono: + +non perch’ io pur del mio parlar diffidi, +ma per la mente che non può redire +sovra sé tanto, s’altri non la guidi. + +Tanto poss’ io di quel punto ridire, +che, rimirando lei, lo mio affetto +libero fu da ogne altro disire, + +fin che ’l piacere etterno, che diretto +raggiava in Bëatrice, dal bel viso +mi contentava col secondo aspetto. + +Vincendo me col lume d’un sorriso, +ella mi disse: «Volgiti e ascolta; +ché non pur ne’ miei occhi è paradiso». + +Come si vede qui alcuna volta +l’affetto ne la vista, s’elli è tanto, +che da lui sia tutta l’anima tolta, + +così nel fiammeggiar del folgór santo, +a ch’io mi volsi, conobbi la voglia +in lui di ragionarmi ancora alquanto. + +El cominciò: «In questa quinta soglia +de l’albero che vive de la cima +e frutta sempre e mai non perde foglia, + +spiriti son beati, che giù, prima +che venissero al ciel, fuor di gran voce, +sì ch’ogne musa ne sarebbe opima. + +Però mira ne’ corni de la croce: +quello ch’io nomerò, lì farà l’atto +che fa in nube il suo foco veloce». + +Io vidi per la croce un lume tratto +dal nomar Iosuè, com’ el si feo; +né mi fu noto il dir prima che ’l fatto. + +E al nome de l’alto Macabeo +vidi moversi un altro roteando, +e letizia era ferza del paleo. + +Così per Carlo Magno e per Orlando +due ne seguì lo mio attento sguardo, +com’ occhio segue suo falcon volando. + +Poscia trasse Guiglielmo e Rinoardo +e ’l duca Gottifredi la mia vista +per quella croce, e Ruberto Guiscardo. + +Indi, tra l’altre luci mota e mista, +mostrommi l’alma che m’avea parlato +qual era tra i cantor del cielo artista. + +Io mi rivolsi dal mio destro lato +per vedere in Beatrice il mio dovere, +o per parlare o per atto, segnato; + +e vidi le sue luci tanto mere, +tanto gioconde, che la sua sembianza +vinceva li altri e l’ultimo solere. + +E come, per sentir più dilettanza +bene operando, l’uom di giorno in giorno +s’accorge che la sua virtute avanza, + +sì m’accors’ io che ’l mio girare intorno +col cielo insieme avea cresciuto l’arco, +veggendo quel miracol più addorno. + +E qual è ’l trasmutare in picciol varco +di tempo in bianca donna, quando ’l volto +suo si discarchi di vergogna il carco, + +tal fu ne li occhi miei, quando fui vòlto, +per lo candor de la temprata stella +sesta, che dentro a sé m’avea ricolto. + +Io vidi in quella giovïal facella +lo sfavillar de l’amor che lì era +segnare a li occhi miei nostra favella. + +E come augelli surti di rivera, +quasi congratulando a lor pasture, +fanno di sé or tonda or altra schiera, + +sì dentro ai lumi sante creature +volitando cantavano, e faciensi +or D, or I, or L in sue figure. + +Prima, cantando, a sua nota moviensi; +poi, diventando l’un di questi segni, +un poco s’arrestavano e taciensi. + +O diva Pegasëa che li ’ngegni +fai glorïosi e rendili longevi, +ed essi teco le cittadi e ’ regni, + +illustrami di te, sì ch’io rilevi +le lor figure com’ io l’ho concette: +paia tua possa in questi versi brevi! + +Mostrarsi dunque in cinque volte sette +vocali e consonanti; e io notai +le parti sì, come mi parver dette. + +‘DILIGITE IUSTITIAM’, primai +fur verbo e nome di tutto ’l dipinto; +‘QUI IUDICATIS TERRAM’, fur sezzai. + +Poscia ne l’emme del vocabol quinto +rimasero ordinate; sì che Giove +pareva argento lì d’oro distinto. + +E vidi scendere altre luci dove +era il colmo de l’emme, e lì quetarsi +cantando, credo, il ben ch’a sé le move. + +Poi, come nel percuoter d’i ciocchi arsi +surgono innumerabili faville, +onde li stolti sogliono agurarsi, + +resurger parver quindi più di mille +luci e salir, qual assai e qual poco, +sì come ’l sol che l’accende sortille; + +e quïetata ciascuna in suo loco, +la testa e ’l collo d’un’aguglia vidi +rappresentare a quel distinto foco. + +Quei che dipinge lì, non ha chi ’l guidi; +ma esso guida, e da lui si rammenta +quella virtù ch’è forma per li nidi. + +L’altra bëatitudo, che contenta +pareva prima d’ingigliarsi a l’emme, +con poco moto seguitò la ’mprenta. + +O dolce stella, quali e quante gemme +mi dimostraro che nostra giustizia +effetto sia del ciel che tu ingemme! + +Per ch’io prego la mente in che s’inizia +tuo moto e tua virtute, che rimiri +ond’ esce il fummo che ’l tuo raggio vizia; + +sì ch’un’altra fïata omai s’adiri +del comperare e vender dentro al templo +che si murò di segni e di martìri. + +O milizia del ciel cu’ io contemplo, +adora per color che sono in terra +tutti svïati dietro al malo essemplo! + +Già si solea con le spade far guerra; +ma or si fa togliendo or qui or quivi +lo pan che ’l pïo Padre a nessun serra. + +Ma tu che sol per cancellare scrivi, +pensa che Pietro e Paulo, che moriro +per la vigna che guasti, ancor son vivi. + +Ben puoi tu dire: «I’ ho fermo ’l disiro +sì a colui che volle viver solo +e che per salti fu tratto al martiro, + +ch’io non conosco il pescator né Polo». + + + +Paradiso · Canto XIX + + +Parea dinanzi a me con l’ali aperte +la bella image che nel dolce frui +liete facevan l’anime conserte; + +parea ciascuna rubinetto in cui +raggio di sole ardesse sì acceso, +che ne’ miei occhi rifrangesse lui. + +E quel che mi convien ritrar testeso, +non portò voce mai, né scrisse incostro, +né fu per fantasia già mai compreso; + +ch’io vidi e anche udi’ parlar lo rostro, +e sonar ne la voce e «io» e «mio», +quand’ era nel concetto e ‘noi’ e ‘nostro’. + +E cominciò: «Per esser giusto e pio +son io qui essaltato a quella gloria +che non si lascia vincere a disio; + +e in terra lasciai la mia memoria +sì fatta, che le genti lì malvage +commendan lei, ma non seguon la storia». + +Così un sol calor di molte brage +si fa sentir, come di molti amori +usciva solo un suon di quella image. + +Ond’ io appresso: «O perpetüi fiori +de l’etterna letizia, che pur uno +parer mi fate tutti vostri odori, + +solvetemi, spirando, il gran digiuno +che lungamente m’ha tenuto in fame, +non trovandoli in terra cibo alcuno. + +Ben so io che, se ’n cielo altro reame +la divina giustizia fa suo specchio, +che ’l vostro non l’apprende con velame. + +Sapete come attento io m’apparecchio +ad ascoltar; sapete qual è quello +dubbio che m’è digiun cotanto vecchio». + +Quasi falcone ch’esce del cappello, +move la testa e con l’ali si plaude, +voglia mostrando e faccendosi bello, + +vid’ io farsi quel segno, che di laude +de la divina grazia era contesto, +con canti quai si sa chi là sù gaude. + +Poi cominciò: «Colui che volse il sesto +a lo stremo del mondo, e dentro ad esso +distinse tanto occulto e manifesto, + +non poté suo valor sì fare impresso +in tutto l’universo, che ’l suo verbo +non rimanesse in infinito eccesso. + +E ciò fa certo che ’l primo superbo, +che fu la somma d’ogne creatura, +per non aspettar lume, cadde acerbo; + +e quinci appar ch’ogne minor natura +è corto recettacolo a quel bene +che non ha fine e sé con sé misura. + +Dunque vostra veduta, che convene +esser alcun de’ raggi de la mente +di che tutte le cose son ripiene, + +non pò da sua natura esser possente +tanto, che suo principio discerna +molto di là da quel che l’è parvente. + +Però ne la giustizia sempiterna +la vista che riceve il vostro mondo, +com’ occhio per lo mare, entro s’interna; + +che, ben che da la proda veggia il fondo, +in pelago nol vede; e nondimeno +èli, ma cela lui l’esser profondo. + +Lume non è, se non vien dal sereno +che non si turba mai; anzi è tenèbra +od ombra de la carne o suo veleno. + +Assai t’è mo aperta la latebra +che t’ascondeva la giustizia viva, +di che facei question cotanto crebra; + +ché tu dicevi: “Un uom nasce a la riva +de l’Indo, e quivi non è chi ragioni +di Cristo né chi legga né chi scriva; + +e tutti suoi voleri e atti buoni +sono, quanto ragione umana vede, +sanza peccato in vita o in sermoni. + +Muore non battezzato e sanza fede: +ov’ è questa giustizia che ’l condanna? +ov’ è la colpa sua, se ei non crede?”. + +Or tu chi se’, che vuo’ sedere a scranna, +per giudicar di lungi mille miglia +con la veduta corta d’una spanna? + +Certo a colui che meco s’assottiglia, +se la Scrittura sovra voi non fosse, +da dubitar sarebbe a maraviglia. + +Oh terreni animali! oh menti grosse! +La prima volontà, ch’è da sé buona, +da sé, ch’è sommo ben, mai non si mosse. + +Cotanto è giusto quanto a lei consuona: +nullo creato bene a sé la tira, +ma essa, radïando, lui cagiona». + +Quale sovresso il nido si rigira +poi c’ha pasciuti la cicogna i figli, +e come quel ch’è pasto la rimira; + +cotal si fece, e sì leväi i cigli, +la benedetta imagine, che l’ali +movea sospinte da tanti consigli. + +Roteando cantava, e dicea: «Quali +son le mie note a te, che non le ’ntendi, +tal è il giudicio etterno a voi mortali». + +Poi si quetaro quei lucenti incendi +de lo Spirito Santo ancor nel segno +che fé i Romani al mondo reverendi, + +esso ricominciò: «A questo regno +non salì mai chi non credette ’n Cristo, +né pria né poi ch’el si chiavasse al legno. + +Ma vedi: molti gridan “Cristo, Cristo!”, +che saranno in giudicio assai men prope +a lui, che tal che non conosce Cristo; + +e tai Cristian dannerà l’Etïòpe, +quando si partiranno i due collegi, +l’uno in etterno ricco e l’altro inòpe. + +Che poran dir li Perse a’ vostri regi, +come vedranno quel volume aperto +nel qual si scrivon tutti suoi dispregi? + +Lì si vedrà, tra l’opere d’Alberto, +quella che tosto moverà la penna, +per che ’l regno di Praga fia diserto. + +Lì si vedrà il duol che sovra Senna +induce, falseggiando la moneta, +quel che morrà di colpo di cotenna. + +Lì si vedrà la superbia ch’asseta, +che fa lo Scotto e l’Inghilese folle, +sì che non può soffrir dentro a sua meta. + +Vedrassi la lussuria e ’l viver molle +di quel di Spagna e di quel di Boemme, +che mai valor non conobbe né volle. + +Vedrassi al Ciotto di Ierusalemme +segnata con un i la sua bontate, +quando ’l contrario segnerà un emme. + +Vedrassi l’avarizia e la viltate +di quei che guarda l’isola del foco, +ove Anchise finì la lunga etate; + +e a dare ad intender quanto è poco, +la sua scrittura fian lettere mozze, +che noteranno molto in parvo loco. + +E parranno a ciascun l’opere sozze +del barba e del fratel, che tanto egregia +nazione e due corone han fatte bozze. + +E quel di Portogallo e di Norvegia +lì si conosceranno, e quel di Rascia +che male ha visto il conio di Vinegia. + +Oh beata Ungheria, se non si lascia +più malmenare! e beata Navarra, +se s’armasse del monte che la fascia! + +E creder de’ ciascun che già, per arra +di questo, Niccosïa e Famagosta +per la lor bestia si lamenti e garra, + +che dal fianco de l’altre non si scosta». + + + +Paradiso · Canto XX + + +Quando colui che tutto ’l mondo alluma +de l’emisperio nostro sì discende, +che ’l giorno d’ogne parte si consuma, + +lo ciel, che sol di lui prima s’accende, +subitamente si rifà parvente +per molte luci, in che una risplende; + +e questo atto del ciel mi venne a mente, +come ’l segno del mondo e de’ suoi duci +nel benedetto rostro fu tacente; + +però che tutte quelle vive luci, +vie più lucendo, cominciaron canti +da mia memoria labili e caduci. + +O dolce amor che di riso t’ammanti, +quanto parevi ardente in que’ flailli, +ch’avieno spirto sol di pensier santi! + +Poscia che i cari e lucidi lapilli +ond’ io vidi ingemmato il sesto lume +puoser silenzio a li angelici squilli, + +udir mi parve un mormorar di fiume +che scende chiaro giù di pietra in pietra, +mostrando l’ubertà del suo cacume. + +E come suono al collo de la cetra +prende sua forma, e sì com’ al pertugio +de la sampogna vento che penètra, + +così, rimosso d’aspettare indugio, +quel mormorar de l’aguglia salissi +su per lo collo, come fosse bugio. + +Fecesi voce quivi, e quindi uscissi +per lo suo becco in forma di parole, +quali aspettava il core ov’ io le scrissi. + +«La parte in me che vede e pate il sole +ne l’aguglie mortali», incominciommi, +«or fisamente riguardar si vole, + +perché d’i fuochi ond’ io figura fommi, +quelli onde l’occhio in testa mi scintilla, +e’ di tutti lor gradi son li sommi. + +Colui che luce in mezzo per pupilla, +fu il cantor de lo Spirito Santo, +che l’arca traslatò di villa in villa: + +ora conosce il merto del suo canto, +in quanto effetto fu del suo consiglio, +per lo remunerar ch’è altrettanto. + +Dei cinque che mi fan cerchio per ciglio, +colui che più al becco mi s’accosta, +la vedovella consolò del figlio: + +ora conosce quanto caro costa +non seguir Cristo, per l’esperïenza +di questa dolce vita e de l’opposta. + +E quel che segue in la circunferenza +di che ragiono, per l’arco superno, +morte indugiò per vera penitenza: + +ora conosce che ’l giudicio etterno +non si trasmuta, quando degno preco +fa crastino là giù de l’odïerno. + +L’altro che segue, con le leggi e meco, +sotto buona intenzion che fé mal frutto, +per cedere al pastor si fece greco: + +ora conosce come il mal dedutto +dal suo bene operar non li è nocivo, +avvegna che sia ’l mondo indi distrutto. + +E quel che vedi ne l’arco declivo, +Guiglielmo fu, cui quella terra plora +che piagne Carlo e Federigo vivo: + +ora conosce come s’innamora +lo ciel del giusto rege, e al sembiante +del suo fulgore il fa vedere ancora. + +Chi crederebbe giù nel mondo errante +che Rifëo Troiano in questo tondo +fosse la quinta de le luci sante? + +Ora conosce assai di quel che ’l mondo +veder non può de la divina grazia, +ben che sua vista non discerna il fondo». + +Quale allodetta che ’n aere si spazia +prima cantando, e poi tace contenta +de l’ultima dolcezza che la sazia, + +tal mi sembiò l’imago de la ’mprenta +de l’etterno piacere, al cui disio +ciascuna cosa qual ell’ è diventa. + +E avvegna ch’io fossi al dubbiar mio +lì quasi vetro a lo color ch’el veste, +tempo aspettar tacendo non patio, + +ma de la bocca, «Che cose son queste?», +mi pinse con la forza del suo peso: +per ch’io di coruscar vidi gran feste. + +Poi appresso, con l’occhio più acceso, +lo benedetto segno mi rispuose +per non tenermi in ammirar sospeso: + +«Io veggio che tu credi queste cose +perch’ io le dico, ma non vedi come; +sì che, se son credute, sono ascose. + +Fai come quei che la cosa per nome +apprende ben, ma la sua quiditate +veder non può se altri non la prome. + +Regnum celorum vïolenza pate +da caldo amore e da viva speranza, +che vince la divina volontate: + +non a guisa che l’omo a l’om sobranza, +ma vince lei perché vuole esser vinta, +e, vinta, vince con sua beninanza. + +La prima vita del ciglio e la quinta +ti fa maravigliar, perché ne vedi +la regïon de li angeli dipinta. + +D’i corpi suoi non uscir, come credi, +Gentili, ma Cristiani, in ferma fede +quel d’i passuri e quel d’i passi piedi. + +Ché l’una de lo ’nferno, u’ non si riede +già mai a buon voler, tornò a l’ossa; +e ciò di viva spene fu mercede: + +di viva spene, che mise la possa +ne’ prieghi fatti a Dio per suscitarla, +sì che potesse sua voglia esser mossa. + +L’anima glorïosa onde si parla, +tornata ne la carne, in che fu poco, +credette in lui che potëa aiutarla; + +e credendo s’accese in tanto foco +di vero amor, ch’a la morte seconda +fu degna di venire a questo gioco. + +L’altra, per grazia che da sì profonda +fontana stilla, che mai creatura +non pinse l’occhio infino a la prima onda, + +tutto suo amor là giù pose a drittura: +per che, di grazia in grazia, Dio li aperse +l’occhio a la nostra redenzion futura; + +ond’ ei credette in quella, e non sofferse +da indi il puzzo più del paganesmo; +e riprendiene le genti perverse. + +Quelle tre donne li fur per battesmo +che tu vedesti da la destra rota, +dinanzi al battezzar più d’un millesmo. + +O predestinazion, quanto remota +è la radice tua da quelli aspetti +che la prima cagion non veggion tota! + +E voi, mortali, tenetevi stretti +a giudicar: ché noi, che Dio vedemo, +non conosciamo ancor tutti li eletti; + +ed ènne dolce così fatto scemo, +perché il ben nostro in questo ben s’affina, +che quel che vole Iddio, e noi volemo». + +Così da quella imagine divina, +per farmi chiara la mia corta vista, +data mi fu soave medicina. + +E come a buon cantor buon citarista +fa seguitar lo guizzo de la corda, +in che più di piacer lo canto acquista, + +sì, mentre ch’e’ parlò, sì mi ricorda +ch’io vidi le due luci benedette, +pur come batter d’occhi si concorda, + +con le parole mover le fiammette. + + + +Paradiso · Canto XXI + + +Già eran li occhi miei rifissi al volto +de la mia donna, e l’animo con essi, +e da ogne altro intento s’era tolto. + +E quella non ridea; ma «S’io ridessi», +mi cominciò, «tu ti faresti quale +fu Semelè quando di cener fessi: + +ché la bellezza mia, che per le scale +de l’etterno palazzo più s’accende, +com’ hai veduto, quanto più si sale, + +se non si temperasse, tanto splende, +che ’l tuo mortal podere, al suo fulgore, +sarebbe fronda che trono scoscende. + +Noi sem levati al settimo splendore, +che sotto ’l petto del Leone ardente +raggia mo misto giù del suo valore. + +Ficca di retro a li occhi tuoi la mente, +e fa di quelli specchi a la figura +che ’n questo specchio ti sarà parvente». + +Qual savesse qual era la pastura +del viso mio ne l’aspetto beato +quand’ io mi trasmutai ad altra cura, + +conoscerebbe quanto m’era a grato +ubidire a la mia celeste scorta, +contrapesando l’un con l’altro lato. + +Dentro al cristallo che ’l vocabol porta, +cerchiando il mondo, del suo caro duce +sotto cui giacque ogne malizia morta, + +di color d’oro in che raggio traluce +vid’ io uno scaleo eretto in suso +tanto, che nol seguiva la mia luce. + +Vidi anche per li gradi scender giuso +tanti splendor, ch’io pensai ch’ogne lume +che par nel ciel, quindi fosse diffuso. + +E come, per lo natural costume, +le pole insieme, al cominciar del giorno, +si movono a scaldar le fredde piume; + +poi altre vanno via sanza ritorno, +altre rivolgon sé onde son mosse, +e altre roteando fan soggiorno; + +tal modo parve me che quivi fosse +in quello sfavillar che ’nsieme venne, +sì come in certo grado si percosse. + +E quel che presso più ci si ritenne, +si fé sì chiaro, ch’io dicea pensando: +‘Io veggio ben l’amor che tu m’accenne. + +Ma quella ond’ io aspetto il come e ’l quando +del dire e del tacer, si sta; ond’ io, +contra ’l disio, fo ben ch’io non dimando’. + +Per ch’ella, che vedëa il tacer mio +nel veder di colui che tutto vede, +mi disse: «Solvi il tuo caldo disio». + +E io incominciai: «La mia mercede +non mi fa degno de la tua risposta; +ma per colei che ’l chieder mi concede, + +vita beata che ti stai nascosta +dentro a la tua letizia, fammi nota +la cagion che sì presso mi t’ha posta; + +e dì perché si tace in questa rota +la dolce sinfonia di paradiso, +che giù per l’altre suona sì divota». + +«Tu hai l’udir mortal sì come il viso», +rispuose a me; «onde qui non si canta +per quel che Bëatrice non ha riso. + +Giù per li gradi de la scala santa +discesi tanto sol per farti festa +col dire e con la luce che mi ammanta; + +né più amor mi fece esser più presta, +ché più e tanto amor quinci sù ferve, +sì come il fiammeggiar ti manifesta. + +Ma l’alta carità, che ci fa serve +pronte al consiglio che ’l mondo governa, +sorteggia qui sì come tu osserve». + +«Io veggio ben», diss’ io, «sacra lucerna, +come libero amore in questa corte +basta a seguir la provedenza etterna; + +ma questo è quel ch’a cerner mi par forte, +perché predestinata fosti sola +a questo officio tra le tue consorte». + +Né venni prima a l’ultima parola, +che del suo mezzo fece il lume centro, +girando sé come veloce mola; + +poi rispuose l’amor che v’era dentro: +«Luce divina sopra me s’appunta, +penetrando per questa in ch’io m’inventro, + +la cui virtù, col mio veder congiunta, +mi leva sopra me tanto, ch’i’ veggio +la somma essenza de la quale è munta. + +Quinci vien l’allegrezza ond’ io fiammeggio; +per ch’a la vista mia, quant’ ella è chiara, +la chiarità de la fiamma pareggio. + +Ma quell’ alma nel ciel che più si schiara, +quel serafin che ’n Dio più l’occhio ha fisso, +a la dimanda tua non satisfara, + +però che sì s’innoltra ne lo abisso +de l’etterno statuto quel che chiedi, +che da ogne creata vista è scisso. + +E al mondo mortal, quando tu riedi, +questo rapporta, sì che non presumma +a tanto segno più mover li piedi. + +La mente, che qui luce, in terra fumma; +onde riguarda come può là giùe +quel che non pote perché ’l ciel l’assumma». + +Sì mi prescrisser le parole sue, +ch’io lasciai la quistione e mi ritrassi +a dimandarla umilmente chi fue. + +«Tra ’ due liti d’Italia surgon sassi, +e non molto distanti a la tua patria, +tanto che ’ troni assai suonan più bassi, + +e fanno un gibbo che si chiama Catria, +di sotto al quale è consecrato un ermo, +che suole esser disposto a sola latria». + +Così ricominciommi il terzo sermo; +e poi, continüando, disse: «Quivi +al servigio di Dio mi fe’ sì fermo, + +che pur con cibi di liquor d’ulivi +lievemente passava caldi e geli, +contento ne’ pensier contemplativi. + +Render solea quel chiostro a questi cieli +fertilemente; e ora è fatto vano, +sì che tosto convien che si riveli. + +In quel loco fu’ io Pietro Damiano, +e Pietro Peccator fu’ ne la casa +di Nostra Donna in sul lito adriano. + +Poca vita mortal m’era rimasa, +quando fui chiesto e tratto a quel cappello, +che pur di male in peggio si travasa. + +Venne Cefàs e venne il gran vasello +de lo Spirito Santo, magri e scalzi, +prendendo il cibo da qualunque ostello. + +Or voglion quinci e quindi chi rincalzi +li moderni pastori e chi li meni, +tanto son gravi, e chi di rietro li alzi. + +Cuopron d’i manti loro i palafreni, +sì che due bestie van sott’ una pelle: +oh pazïenza che tanto sostieni!». + +A questa voce vid’ io più fiammelle +di grado in grado scendere e girarsi, +e ogne giro le facea più belle. + +Dintorno a questa vennero e fermarsi, +e fero un grido di sì alto suono, +che non potrebbe qui assomigliarsi; + +né io lo ’ntesi, sì mi vinse il tuono. + + + +Paradiso · Canto XXII + + +Oppresso di stupore, a la mia guida +mi volsi, come parvol che ricorre +sempre colà dove più si confida; + +e quella, come madre che soccorre +sùbito al figlio palido e anelo +con la sua voce, che ’l suol ben disporre, + +mi disse: «Non sai tu che tu se’ in cielo? +e non sai tu che ’l cielo è tutto santo, +e ciò che ci si fa vien da buon zelo? + +Come t’avrebbe trasmutato il canto, +e io ridendo, mo pensar lo puoi, +poscia che ’l grido t’ha mosso cotanto; + +nel qual, se ’nteso avessi i prieghi suoi, +già ti sarebbe nota la vendetta +che tu vedrai innanzi che tu muoi. + +La spada di qua sù non taglia in fretta +né tardo, ma’ ch’al parer di colui +che disïando o temendo l’aspetta. + +Ma rivolgiti omai inverso altrui; +ch’assai illustri spiriti vedrai, +se com’ io dico l’aspetto redui». + +Come a lei piacque, li occhi ritornai, +e vidi cento sperule che ’nsieme +più s’abbellivan con mutüi rai. + +Io stava come quei che ’n sé repreme +la punta del disio, e non s’attenta +di domandar, sì del troppo si teme; + +e la maggiore e la più luculenta +di quelle margherite innanzi fessi, +per far di sé la mia voglia contenta. + +Poi dentro a lei udi’: «Se tu vedessi +com’ io la carità che tra noi arde, +li tuoi concetti sarebbero espressi. + +Ma perché tu, aspettando, non tarde +a l’alto fine, io ti farò risposta +pur al pensier, da che sì ti riguarde. + +Quel monte a cui Cassino è ne la costa +fu frequentato già in su la cima +da la gente ingannata e mal disposta; + +e quel son io che sù vi portai prima +lo nome di colui che ’n terra addusse +la verità che tanto ci soblima; + +e tanta grazia sopra me relusse, +ch’io ritrassi le ville circunstanti +da l’empio cólto che ’l mondo sedusse. + +Questi altri fuochi tutti contemplanti +uomini fuoro, accesi di quel caldo +che fa nascere i fiori e ’ frutti santi. + +Qui è Maccario, qui è Romoaldo, +qui son li frati miei che dentro ai chiostri +fermar li piedi e tennero il cor saldo». + +E io a lui: «L’affetto che dimostri +meco parlando, e la buona sembianza +ch’io veggio e noto in tutti li ardor vostri, + +così m’ha dilatata mia fidanza, +come ’l sol fa la rosa quando aperta +tanto divien quant’ ell’ ha di possanza. + +Però ti priego, e tu, padre, m’accerta +s’io posso prender tanta grazia, ch’io +ti veggia con imagine scoverta». + +Ond’ elli: «Frate, il tuo alto disio +s’adempierà in su l’ultima spera, +ove s’adempion tutti li altri e ’l mio. + +Ivi è perfetta, matura e intera +ciascuna disïanza; in quella sola +è ogne parte là ove sempr’ era, + +perché non è in loco e non s’impola; +e nostra scala infino ad essa varca, +onde così dal viso ti s’invola. + +Infin là sù la vide il patriarca +Iacobbe porger la superna parte, +quando li apparve d’angeli sì carca. + +Ma, per salirla, mo nessun diparte +da terra i piedi, e la regola mia +rimasa è per danno de le carte. + +Le mura che solieno esser badia +fatte sono spelonche, e le cocolle +sacca son piene di farina ria. + +Ma grave usura tanto non si tolle +contra ’l piacer di Dio, quanto quel frutto +che fa il cor de’ monaci sì folle; + +ché quantunque la Chiesa guarda, tutto +è de la gente che per Dio dimanda; +non di parenti né d’altro più brutto. + +La carne d’i mortali è tanto blanda, +che giù non basta buon cominciamento +dal nascer de la quercia al far la ghianda. + +Pier cominciò sanz’ oro e sanz’ argento, +e io con orazione e con digiuno, +e Francesco umilmente il suo convento; + +e se guardi ’l principio di ciascuno, +poscia riguardi là dov’ è trascorso, +tu vederai del bianco fatto bruno. + +Veramente Iordan vòlto retrorso +più fu, e ’l mar fuggir, quando Dio volse, +mirabile a veder che qui ’l soccorso». + +Così mi disse, e indi si raccolse +al suo collegio, e ’l collegio si strinse; +poi, come turbo, in sù tutto s’avvolse. + +La dolce donna dietro a lor mi pinse +con un sol cenno su per quella scala, +sì sua virtù la mia natura vinse; + +né mai qua giù dove si monta e cala +naturalmente, fu sì ratto moto +ch’agguagliar si potesse a la mia ala. + +S’io torni mai, lettore, a quel divoto +trïunfo per lo quale io piango spesso +le mie peccata e ’l petto mi percuoto, + +tu non avresti in tanto tratto e messo +nel foco il dito, in quant’ io vidi ’l segno +che segue il Tauro e fui dentro da esso. + +O glorïose stelle, o lume pregno +di gran virtù, dal quale io riconosco +tutto, qual che si sia, il mio ingegno, + +con voi nasceva e s’ascondeva vosco +quelli ch’è padre d’ogne mortal vita, +quand’ io senti’ di prima l’aere tosco; + +e poi, quando mi fu grazia largita +d’entrar ne l’alta rota che vi gira, +la vostra regïon mi fu sortita. + +A voi divotamente ora sospira +l’anima mia, per acquistar virtute +al passo forte che a sé la tira. + +«Tu se’ sì presso a l’ultima salute», +cominciò Bëatrice, «che tu dei +aver le luci tue chiare e acute; + +e però, prima che tu più t’inlei, +rimira in giù, e vedi quanto mondo +sotto li piedi già esser ti fei; + +sì che ’l tuo cor, quantunque può, giocondo +s’appresenti a la turba trïunfante +che lieta vien per questo etera tondo». + +Col viso ritornai per tutte quante +le sette spere, e vidi questo globo +tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante; + +e quel consiglio per migliore approbo +che l’ha per meno; e chi ad altro pensa +chiamar si puote veramente probo. + +Vidi la figlia di Latona incensa +sanza quell’ ombra che mi fu cagione +per che già la credetti rara e densa. + +L’aspetto del tuo nato, Iperïone, +quivi sostenni, e vidi com’ si move +circa e vicino a lui Maia e Dïone. + +Quindi m’apparve il temperar di Giove +tra ’l padre e ’l figlio; e quindi mi fu chiaro +il varïar che fanno di lor dove; + +e tutti e sette mi si dimostraro +quanto son grandi e quanto son veloci +e come sono in distante riparo. + +L’aiuola che ci fa tanto feroci, +volgendom’ io con li etterni Gemelli, +tutta m’apparve da’ colli a le foci; + +poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. + + + +Paradiso · Canto XXIII + + +Come l’augello, intra l’amate fronde, +posato al nido de’ suoi dolci nati +la notte che le cose ci nasconde, + +che, per veder li aspetti disïati +e per trovar lo cibo onde li pasca, +in che gravi labor li sono aggrati, + +previene il tempo in su aperta frasca, +e con ardente affetto il sole aspetta, +fiso guardando pur che l’alba nasca; + +così la donna mïa stava eretta +e attenta, rivolta inver’ la plaga +sotto la quale il sol mostra men fretta: + +sì che, veggendola io sospesa e vaga, +fecimi qual è quei che disïando +altro vorria, e sperando s’appaga. + +Ma poco fu tra uno e altro quando, +del mio attender, dico, e del vedere +lo ciel venir più e più rischiarando; + +e Bëatrice disse: «Ecco le schiere +del trïunfo di Cristo e tutto ’l frutto +ricolto del girar di queste spere!». + +Pariemi che ’l suo viso ardesse tutto, +e li occhi avea di letizia sì pieni, +che passarmen convien sanza costrutto. + +Quale ne’ plenilunïi sereni +Trivïa ride tra le ninfe etterne +che dipingon lo ciel per tutti i seni, + +vid’ i’ sopra migliaia di lucerne +un sol che tutte quante l’accendea, +come fa ’l nostro le viste superne; + +e per la viva luce trasparea +la lucente sustanza tanto chiara +nel viso mio, che non la sostenea. + +Oh Bëatrice, dolce guida e cara! +Ella mi disse: «Quel che ti sobranza +è virtù da cui nulla si ripara. + +Quivi è la sapïenza e la possanza +ch’aprì le strade tra ’l cielo e la terra, +onde fu già sì lunga disïanza». + +Come foco di nube si diserra +per dilatarsi sì che non vi cape, +e fuor di sua natura in giù s’atterra, + +la mente mia così, tra quelle dape +fatta più grande, di sé stessa uscìo, +e che si fesse rimembrar non sape. + +«Apri li occhi e riguarda qual son io; +tu hai vedute cose, che possente +se’ fatto a sostener lo riso mio». + +Io era come quei che si risente +di visïone oblita e che s’ingegna +indarno di ridurlasi a la mente, + +quand’ io udi’ questa proferta, degna +di tanto grato, che mai non si stingue +del libro che ’l preterito rassegna. + +Se mo sonasser tutte quelle lingue +che Polimnïa con le suore fero +del latte lor dolcissimo più pingue, + +per aiutarmi, al millesmo del vero +non si verria, cantando il santo riso +e quanto il santo aspetto facea mero; + +e così, figurando il paradiso, +convien saltar lo sacrato poema, +come chi trova suo cammin riciso. + +Ma chi pensasse il ponderoso tema +e l’omero mortal che se ne carca, +nol biasmerebbe se sott’ esso trema: + +non è pareggio da picciola barca +quel che fendendo va l’ardita prora, +né da nocchier ch’a sé medesmo parca. + +«Perché la faccia mia sì t’innamora, +che tu non ti rivolgi al bel giardino +che sotto i raggi di Cristo s’infiora? + +Quivi è la rosa in che ’l verbo divino +carne si fece; quivi son li gigli +al cui odor si prese il buon cammino». + +Così Beatrice; e io, che a’ suoi consigli +tutto era pronto, ancora mi rendei +a la battaglia de’ debili cigli. + +Come a raggio di sol, che puro mei +per fratta nube, già prato di fiori +vider, coverti d’ombra, li occhi miei; + +vid’ io così più turbe di splendori, +folgorate di sù da raggi ardenti, +sanza veder principio di folgóri. + +O benigna vertù che sì li ’mprenti, +sù t’essaltasti, per largirmi loco +a li occhi lì che non t’eran possenti. + +Il nome del bel fior ch’io sempre invoco +e mane e sera, tutto mi ristrinse +l’animo ad avvisar lo maggior foco; + +e come ambo le luci mi dipinse +il quale e il quanto de la viva stella +che là sù vince come qua giù vinse, + +per entro il cielo scese una facella, +formata in cerchio a guisa di corona, +e cinsela e girossi intorno ad ella. + +Qualunque melodia più dolce suona +qua giù e più a sé l’anima tira, +parrebbe nube che squarciata tona, + +comparata al sonar di quella lira +onde si coronava il bel zaffiro +del quale il ciel più chiaro s’inzaffira. + +«Io sono amore angelico, che giro +l’alta letizia che spira del ventre +che fu albergo del nostro disiro; + +e girerommi, donna del ciel, mentre +che seguirai tuo figlio, e farai dia +più la spera suprema perché lì entre». + +Così la circulata melodia +si sigillava, e tutti li altri lumi +facean sonare il nome di Maria. + +Lo real manto di tutti i volumi +del mondo, che più ferve e più s’avviva +ne l’alito di Dio e nei costumi, + +avea sopra di noi l’interna riva +tanto distante, che la sua parvenza, +là dov’ io era, ancor non appariva: + +però non ebber li occhi miei potenza +di seguitar la coronata fiamma +che si levò appresso sua semenza. + +E come fantolin che ’nver’ la mamma +tende le braccia, poi che ’l latte prese, +per l’animo che ’nfin di fuor s’infiamma; + +ciascun di quei candori in sù si stese +con la sua cima, sì che l’alto affetto +ch’elli avieno a Maria mi fu palese. + +Indi rimaser lì nel mio cospetto, +‘Regina celi’ cantando sì dolce, +che mai da me non si partì ’l diletto. + +Oh quanta è l’ubertà che si soffolce +in quelle arche ricchissime che fuoro +a seminar qua giù buone bobolce! + +Quivi si vive e gode del tesoro +che s’acquistò piangendo ne lo essilio +di Babillòn, ove si lasciò l’oro. + +Quivi trïunfa, sotto l’alto Filio +di Dio e di Maria, di sua vittoria, +e con l’antico e col novo concilio, + +colui che tien le chiavi di tal gloria. + + + +Paradiso · Canto XXIV + + +«O sodalizio eletto a la gran cena +del benedetto Agnello, il qual vi ciba +sì, che la vostra voglia è sempre piena, + +se per grazia di Dio questi preliba +di quel che cade de la vostra mensa, +prima che morte tempo li prescriba, + +ponete mente a l’affezione immensa +e roratelo alquanto: voi bevete +sempre del fonte onde vien quel ch’ei pensa». + +Così Beatrice; e quelle anime liete +si fero spere sopra fissi poli, +fiammando, a volte, a guisa di comete. + +E come cerchi in tempra d’orïuoli +si giran sì, che ’l primo a chi pon mente +quïeto pare, e l’ultimo che voli; + +così quelle carole, differente- +mente danzando, de la sua ricchezza +mi facieno stimar, veloci e lente. + +Di quella ch’io notai di più carezza +vid’ ïo uscire un foco sì felice, +che nullo vi lasciò di più chiarezza; + +e tre fïate intorno di Beatrice +si volse con un canto tanto divo, +che la mia fantasia nol mi ridice. + +Però salta la penna e non lo scrivo: +ché l’imagine nostra a cotai pieghe, +non che ’l parlare, è troppo color vivo. + +«O santa suora mia che sì ne prieghe +divota, per lo tuo ardente affetto +da quella bella spera mi disleghe». + +Poscia fermato, il foco benedetto +a la mia donna dirizzò lo spiro, +che favellò così com’ i’ ho detto. + +Ed ella: «O luce etterna del gran viro +a cui Nostro Segnor lasciò le chiavi, +ch’ei portò giù, di questo gaudio miro, + +tenta costui di punti lievi e gravi, +come ti piace, intorno de la fede, +per la qual tu su per lo mare andavi. + +S’elli ama bene e bene spera e crede, +non t’è occulto, perché ’l viso hai quivi +dov’ ogne cosa dipinta si vede; + +ma perché questo regno ha fatto civi +per la verace fede, a glorïarla, +di lei parlare è ben ch’a lui arrivi». + +Sì come il baccialier s’arma e non parla +fin che ’l maestro la question propone, +per approvarla, non per terminarla, + +così m’armava io d’ogne ragione +mentre ch’ella dicea, per esser presto +a tal querente e a tal professione. + +«Dì, buon Cristiano, fatti manifesto: +fede che è?». Ond’ io levai la fronte +in quella luce onde spirava questo; + +poi mi volsi a Beatrice, ed essa pronte +sembianze femmi perch’ ïo spandessi +l’acqua di fuor del mio interno fonte. + +«La Grazia che mi dà ch’io mi confessi», +comincia’ io, «da l’alto primipilo, +faccia li miei concetti bene espressi». + +E seguitai: «Come ’l verace stilo +ne scrisse, padre, del tuo caro frate +che mise teco Roma nel buon filo, + +fede è sustanza di cose sperate +e argomento de le non parventi; +e questa pare a me sua quiditate». + +Allora udi’: «Dirittamente senti, +se bene intendi perché la ripuose +tra le sustanze, e poi tra li argomenti». + +E io appresso: «Le profonde cose +che mi largiscon qui la lor parvenza, +a li occhi di là giù son sì ascose, + +che l’esser loro v’è in sola credenza, +sopra la qual si fonda l’alta spene; +e però di sustanza prende intenza. + +E da questa credenza ci convene +silogizzar, sanz’ avere altra vista: +però intenza d’argomento tene». + +Allora udi’: «Se quantunque s’acquista +giù per dottrina, fosse così ’nteso, +non lì avria loco ingegno di sofista». + +Così spirò di quello amore acceso; +indi soggiunse: «Assai bene è trascorsa +d’esta moneta già la lega e ’l peso; + +ma dimmi se tu l’hai ne la tua borsa». +Ond’ io: «Sì ho, sì lucida e sì tonda, +che nel suo conio nulla mi s’inforsa». + +Appresso uscì de la luce profonda +che lì splendeva: «Questa cara gioia +sopra la quale ogne virtù si fonda, + +onde ti venne?». E io: «La larga ploia +de lo Spirito Santo, ch’è diffusa +in su le vecchie e ’n su le nuove cuoia, + +è silogismo che la m’ha conchiusa +acutamente sì, che ’nverso d’ella +ogne dimostrazion mi pare ottusa». + +Io udi’ poi: «L’antica e la novella +proposizion che così ti conchiude, +perché l’hai tu per divina favella?». + +E io: «La prova che ’l ver mi dischiude, +son l’opere seguite, a che natura +non scalda ferro mai né batte incude». + +Risposto fummi: «Dì, chi t’assicura +che quell’ opere fosser? Quel medesmo +che vuol provarsi, non altri, il ti giura». + +«Se ’l mondo si rivolse al cristianesmo», +diss’ io, «sanza miracoli, quest’ uno +è tal, che li altri non sono il centesmo: + +ché tu intrasti povero e digiuno +in campo, a seminar la buona pianta +che fu già vite e ora è fatta pruno». + +Finito questo, l’alta corte santa +risonò per le spere un ‘Dio laudamo’ +ne la melode che là sù si canta. + +E quel baron che sì di ramo in ramo, +essaminando, già tratto m’avea, +che a l’ultime fronde appressavamo, + +ricominciò: «La Grazia, che donnea +con la tua mente, la bocca t’aperse +infino a qui come aprir si dovea, + +sì ch’io approvo ciò che fuori emerse; +ma or convien espremer quel che credi, +e onde a la credenza tua s’offerse». + +«O santo padre, e spirito che vedi +ciò che credesti sì, che tu vincesti +ver’ lo sepulcro più giovani piedi», + +comincia’ io, «tu vuo’ ch’io manifesti +la forma qui del pronto creder mio, +e anche la cagion di lui chiedesti. + +E io rispondo: Io credo in uno Dio +solo ed etterno, che tutto ’l ciel move, +non moto, con amore e con disio; + +e a tal creder non ho io pur prove +fisice e metafisice, ma dalmi +anche la verità che quinci piove + +per Moïsè, per profeti e per salmi, +per l’Evangelio e per voi che scriveste +poi che l’ardente Spirto vi fé almi; + +e credo in tre persone etterne, e queste +credo una essenza sì una e sì trina, +che soffera congiunto ‘sono’ ed ‘este’. + +De la profonda condizion divina +ch’io tocco mo, la mente mi sigilla +più volte l’evangelica dottrina. + +Quest’ è ’l principio, quest’ è la favilla +che si dilata in fiamma poi vivace, +e come stella in cielo in me scintilla». + +Come ’l segnor ch’ascolta quel che i piace, +da indi abbraccia il servo, gratulando +per la novella, tosto ch’el si tace; + +così, benedicendomi cantando, +tre volte cinse me, sì com’ io tacqui, +l’appostolico lume al cui comando + +io avea detto: sì nel dir li piacqui! + + + +Paradiso · Canto XXV + + +Se mai continga che ’l poema sacro +al quale ha posto mano e cielo e terra, +sì che m’ha fatto per molti anni macro, + +vinca la crudeltà che fuor mi serra +del bello ovile ov’ io dormi’ agnello, +nimico ai lupi che li danno guerra; + +con altra voce omai, con altro vello +ritornerò poeta, e in sul fonte +del mio battesmo prenderò ’l cappello; + +però che ne la fede, che fa conte +l’anime a Dio, quivi intra’ io, e poi +Pietro per lei sì mi girò la fronte. + +Indi si mosse un lume verso noi +di quella spera ond’ uscì la primizia +che lasciò Cristo d’i vicari suoi; + +e la mia donna, piena di letizia, +mi disse: «Mira, mira: ecco il barone +per cui là giù si vicita Galizia». + +Sì come quando il colombo si pone +presso al compagno, l’uno a l’altro pande, +girando e mormorando, l’affezione; + +così vid’ ïo l’un da l’altro grande +principe glorïoso essere accolto, +laudando il cibo che là sù li prande. + +Ma poi che ’l gratular si fu assolto, +tacito coram me ciascun s’affisse, +ignito sì che vincëa ’l mio volto. + +Ridendo allora Bëatrice disse: +«Inclita vita per cui la larghezza +de la nostra basilica si scrisse, + +fa risonar la spene in questa altezza: +tu sai, che tante fiate la figuri, +quante Iesù ai tre fé più carezza». + +«Leva la testa e fa che t’assicuri: +che ciò che vien qua sù del mortal mondo, +convien ch’ai nostri raggi si maturi». + +Questo conforto del foco secondo +mi venne; ond’ io leväi li occhi a’ monti +che li ’ncurvaron pria col troppo pondo. + +«Poi che per grazia vuol che tu t’affronti +lo nostro Imperadore, anzi la morte, +ne l’aula più secreta co’ suoi conti, + +sì che, veduto il ver di questa corte, +la spene, che là giù bene innamora, +in te e in altrui di ciò conforte, + +di’ quel ch’ell’ è, di’ come se ne ’nfiora +la mente tua, e dì onde a te venne». +Così seguì ’l secondo lume ancora. + +E quella pïa che guidò le penne +de le mie ali a così alto volo, +a la risposta così mi prevenne: + +«La Chiesa militante alcun figliuolo +non ha con più speranza, com’ è scritto +nel Sol che raggia tutto nostro stuolo: + +però li è conceduto che d’Egitto +vegna in Ierusalemme per vedere, +anzi che ’l militar li sia prescritto. + +Li altri due punti, che non per sapere +son dimandati, ma perch’ ei rapporti +quanto questa virtù t’è in piacere, + +a lui lasc’ io, ché non li saran forti +né di iattanza; ed elli a ciò risponda, +e la grazia di Dio ciò li comporti». + +Come discente ch’a dottor seconda +pronto e libente in quel ch’elli è esperto, +perché la sua bontà si disasconda, + +«Spene», diss’ io, «è uno attender certo +de la gloria futura, il qual produce +grazia divina e precedente merto. + +Da molte stelle mi vien questa luce; +ma quei la distillò nel mio cor pria +che fu sommo cantor del sommo duce. + +‘Sperino in te’, ne la sua tëodia +dice, ‘color che sanno il nome tuo’: +e chi nol sa, s’elli ha la fede mia? + +Tu mi stillasti, con lo stillar suo, +ne la pistola poi; sì ch’io son pieno, +e in altrui vostra pioggia repluo». + +Mentr’ io diceva, dentro al vivo seno +di quello incendio tremolava un lampo +sùbito e spesso a guisa di baleno. + +Indi spirò: «L’amore ond’ ïo avvampo +ancor ver’ la virtù che mi seguette +infin la palma e a l’uscir del campo, + +vuol ch’io respiri a te che ti dilette +di lei; ed emmi a grato che tu diche +quello che la speranza ti ’mpromette». + +E io: «Le nove e le scritture antiche +pongon lo segno, ed esso lo mi addita, +de l’anime che Dio s’ha fatte amiche. + +Dice Isaia che ciascuna vestita +ne la sua terra fia di doppia vesta: +e la sua terra è questa dolce vita; + +e ’l tuo fratello assai vie più digesta, +là dove tratta de le bianche stole, +questa revelazion ci manifesta». + +E prima, appresso al fin d’este parole, +‘Sperent in te’ di sopr’ a noi s’udì; +a che rispuoser tutte le carole. + +Poscia tra esse un lume si schiarì +sì che, se ’l Cancro avesse un tal cristallo, +l’inverno avrebbe un mese d’un sol dì. + +E come surge e va ed entra in ballo +vergine lieta, sol per fare onore +a la novizia, non per alcun fallo, + +così vid’ io lo schiarato splendore +venire a’ due che si volgieno a nota +qual conveniesi al loro ardente amore. + +Misesi lì nel canto e ne la rota; +e la mia donna in lor tenea l’aspetto, +pur come sposa tacita e immota. + +«Questi è colui che giacque sopra ’l petto +del nostro pellicano, e questi fue +di su la croce al grande officio eletto». + +La donna mia così; né però piùe +mosser la vista sua di stare attenta +poscia che prima le parole sue. + +Qual è colui ch’adocchia e s’argomenta +di vedere eclissar lo sole un poco, +che, per veder, non vedente diventa; + +tal mi fec’ ïo a quell’ ultimo foco +mentre che detto fu: «Perché t’abbagli +per veder cosa che qui non ha loco? + +In terra è terra il mio corpo, e saragli +tanto con li altri, che ’l numero nostro +con l’etterno proposito s’agguagli. + +Con le due stole nel beato chiostro +son le due luci sole che saliro; +e questo apporterai nel mondo vostro». + +A questa voce l’infiammato giro +si quïetò con esso il dolce mischio +che si facea nel suon del trino spiro, + +sì come, per cessar fatica o rischio, +li remi, pria ne l’acqua ripercossi, +tutti si posano al sonar d’un fischio. + +Ahi quanto ne la mente mi commossi, +quando mi volsi per veder Beatrice, +per non poter veder, benché io fossi + +presso di lei, e nel mondo felice! + + + +Paradiso · Canto XXVI + + +Mentr’ io dubbiava per lo viso spento, +de la fulgida fiamma che lo spense +uscì un spiro che mi fece attento, + +dicendo: «Intanto che tu ti risense +de la vista che haï in me consunta, +ben è che ragionando la compense. + +Comincia dunque; e dì ove s’appunta +l’anima tua, e fa ragion che sia +la vista in te smarrita e non defunta: + +perché la donna che per questa dia +regïon ti conduce, ha ne lo sguardo +la virtù ch’ebbe la man d’Anania». + +Io dissi: «Al suo piacere e tosto e tardo +vegna remedio a li occhi, che fuor porte +quand’ ella entrò col foco ond’ io sempr’ ardo. + +Lo ben che fa contenta questa corte, +Alfa e O è di quanta scrittura +mi legge Amore o lievemente o forte». + +Quella medesma voce che paura +tolta m’avea del sùbito abbarbaglio, +di ragionare ancor mi mise in cura; + +e disse: «Certo a più angusto vaglio +ti conviene schiarar: dicer convienti +chi drizzò l’arco tuo a tal berzaglio». + +E io: «Per filosofici argomenti +e per autorità che quinci scende +cotale amor convien che in me si ’mprenti: + +ché ’l bene, in quanto ben, come s’intende, +così accende amore, e tanto maggio +quanto più di bontate in sé comprende. + +Dunque a l’essenza ov’ è tanto avvantaggio, +che ciascun ben che fuor di lei si trova +altro non è ch’un lume di suo raggio, + +più che in altra convien che si mova +la mente, amando, di ciascun che cerne +il vero in che si fonda questa prova. + +Tal vero a l’intelletto mïo sterne +colui che mi dimostra il primo amore +di tutte le sustanze sempiterne. + +Sternel la voce del verace autore, +che dice a Moïsè, di sé parlando: +‘Io ti farò vedere ogne valore’. + +Sternilmi tu ancora, incominciando +l’alto preconio che grida l’arcano +di qui là giù sovra ogne altro bando». + +E io udi’: «Per intelletto umano +e per autoritadi a lui concorde +d’i tuoi amori a Dio guarda il sovrano. + +Ma dì ancor se tu senti altre corde +tirarti verso lui, sì che tu suone +con quanti denti questo amor ti morde». + +Non fu latente la santa intenzione +de l’aguglia di Cristo, anzi m’accorsi +dove volea menar mia professione. + +Però ricominciai: «Tutti quei morsi +che posson far lo cor volgere a Dio, +a la mia caritate son concorsi: + +ché l’essere del mondo e l’esser mio, +la morte ch’el sostenne perch’ io viva, +e quel che spera ogne fedel com’ io, + +con la predetta conoscenza viva, +tratto m’hanno del mar de l’amor torto, +e del diritto m’han posto a la riva. + +Le fronde onde s’infronda tutto l’orto +de l’ortolano etterno, am’ io cotanto +quanto da lui a lor di bene è porto». + +Sì com’ io tacqui, un dolcissimo canto +risonò per lo cielo, e la mia donna +dicea con li altri: «Santo, santo, santo!». + +E come a lume acuto si disonna +per lo spirto visivo che ricorre +a lo splendor che va di gonna in gonna, + +e lo svegliato ciò che vede aborre, +sì nescïa è la sùbita vigilia +fin che la stimativa non soccorre; + +così de li occhi miei ogne quisquilia +fugò Beatrice col raggio d’i suoi, +che rifulgea da più di mille milia: + +onde mei che dinanzi vidi poi; +e quasi stupefatto domandai +d’un quarto lume ch’io vidi tra noi. + +E la mia donna: «Dentro da quei rai +vagheggia il suo fattor l’anima prima +che la prima virtù creasse mai». + +Come la fronda che flette la cima +nel transito del vento, e poi si leva +per la propria virtù che la soblima, + +fec’ io in tanto in quant’ ella diceva, +stupendo, e poi mi rifece sicuro +un disio di parlare ond’ ïo ardeva. + +E cominciai: «O pomo che maturo +solo prodotto fosti, o padre antico +a cui ciascuna sposa è figlia e nuro, + +divoto quanto posso a te supplìco +perché mi parli: tu vedi mia voglia, +e per udirti tosto non la dico». + +Talvolta un animal coverto broglia, +sì che l’affetto convien che si paia +per lo seguir che face a lui la ’nvoglia; + +e similmente l’anima primaia +mi facea trasparer per la coverta +quant’ ella a compiacermi venìa gaia. + +Indi spirò: «Sanz’ essermi proferta +da te, la voglia tua discerno meglio +che tu qualunque cosa t’è più certa; + +perch’ io la veggio nel verace speglio +che fa di sé pareglio a l’altre cose, +e nulla face lui di sé pareglio. + +Tu vuogli udir quant’ è che Dio mi puose +ne l’eccelso giardino, ove costei +a così lunga scala ti dispuose, + +e quanto fu diletto a li occhi miei, +e la propria cagion del gran disdegno, +e l’idïoma ch’usai e che fei. + +Or, figluol mio, non il gustar del legno +fu per sé la cagion di tanto essilio, +ma solamente il trapassar del segno. + +Quindi onde mosse tua donna Virgilio, +quattromilia trecento e due volumi +di sol desiderai questo concilio; + +e vidi lui tornare a tutt’ i lumi +de la sua strada novecento trenta +fïate, mentre ch’ïo in terra fu’mi. + +La lingua ch’io parlai fu tutta spenta +innanzi che a l’ovra inconsummabile +fosse la gente di Nembròt attenta: + +ché nullo effetto mai razïonabile, +per lo piacere uman che rinovella +seguendo il cielo, sempre fu durabile. + +Opera naturale è ch’uom favella; +ma così o così, natura lascia +poi fare a voi secondo che v’abbella. + +Pria ch’i’ scendessi a l’infernale ambascia, +I s’appellava in terra il sommo bene +onde vien la letizia che mi fascia; + +e El si chiamò poi: e ciò convene, +ché l’uso d’i mortali è come fronda +in ramo, che sen va e altra vene. + +Nel monte che si leva più da l’onda, +fu’ io, con vita pura e disonesta, +da la prim’ ora a quella che seconda, + +come ’l sol muta quadra, l’ora sesta». + + + +Paradiso · Canto XXVII + + +‘Al Padre, al Figlio, a lo Spirito Santo’, +cominciò, ‘gloria!’, tutto ’l paradiso, +sì che m’inebrïava il dolce canto. + +Ciò ch’io vedeva mi sembiava un riso +de l’universo; per che mia ebbrezza +intrava per l’udire e per lo viso. + +Oh gioia! oh ineffabile allegrezza! +oh vita intègra d’amore e di pace! +oh sanza brama sicura ricchezza! + +Dinanzi a li occhi miei le quattro face +stavano accese, e quella che pria venne +incominciò a farsi più vivace, + +e tal ne la sembianza sua divenne, +qual diverrebbe Iove, s’elli e Marte +fossero augelli e cambiassersi penne. + +La provedenza, che quivi comparte +vice e officio, nel beato coro +silenzio posto avea da ogne parte, + +quand’ ïo udi’: «Se io mi trascoloro, +non ti maravigliar, ché, dicend’ io, +vedrai trascolorar tutti costoro. + +Quelli ch’usurpa in terra il luogo mio, +il luogo mio, il luogo mio, che vaca +ne la presenza del Figliuol di Dio, + +fatt’ ha del cimitero mio cloaca +del sangue e de la puzza; onde ’l perverso +che cadde di qua sù, là giù si placa». + +Di quel color che per lo sole avverso +nube dipigne da sera e da mane, +vid’ ïo allora tutto ’l ciel cosperso. + +E come donna onesta che permane +di sé sicura, e per l’altrui fallanza, +pur ascoltando, timida si fane, + +così Beatrice trasmutò sembianza; +e tale eclissi credo che ’n ciel fue +quando patì la supprema possanza. + +Poi procedetter le parole sue +con voce tanto da sé trasmutata, +che la sembianza non si mutò piùe: + +«Non fu la sposa di Cristo allevata +del sangue mio, di Lin, di quel di Cleto, +per essere ad acquisto d’oro usata; + +ma per acquisto d’esto viver lieto +e Sisto e Pïo e Calisto e Urbano +sparser lo sangue dopo molto fleto. + +Non fu nostra intenzion ch’a destra mano +d’i nostri successor parte sedesse, +parte da l’altra del popol cristiano; + +né che le chiavi che mi fuor concesse, +divenisser signaculo in vessillo +che contra battezzati combattesse; + +né ch’io fossi figura di sigillo +a privilegi venduti e mendaci, +ond’ io sovente arrosso e disfavillo. + +In vesta di pastor lupi rapaci +si veggion di qua sù per tutti i paschi: +o difesa di Dio, perché pur giaci? + +Del sangue nostro Caorsini e Guaschi +s’apparecchian di bere: o buon principio, +a che vil fine convien che tu caschi! + +Ma l’alta provedenza, che con Scipio +difese a Roma la gloria del mondo, +soccorrà tosto, sì com’ io concipio; + +e tu, figliuol, che per lo mortal pondo +ancor giù tornerai, apri la bocca, +e non asconder quel ch’io non ascondo». + +Sì come di vapor gelati fiocca +in giuso l’aere nostro, quando ’l corno +de la capra del ciel col sol si tocca, + +in sù vid’ io così l’etera addorno +farsi e fioccar di vapor trïunfanti +che fatto avien con noi quivi soggiorno. + +Lo viso mio seguiva i suoi sembianti, +e seguì fin che ’l mezzo, per lo molto, +li tolse il trapassar del più avanti. + +Onde la donna, che mi vide assolto +de l’attendere in sù, mi disse: «Adima +il viso e guarda come tu se’ vòlto». + +Da l’ora ch’ïo avea guardato prima +i’ vidi mosso me per tutto l’arco +che fa dal mezzo al fine il primo clima; + +sì ch’io vedea di là da Gade il varco +folle d’Ulisse, e di qua presso il lito +nel qual si fece Europa dolce carco. + +E più mi fora discoverto il sito +di questa aiuola; ma ’l sol procedea +sotto i mie’ piedi un segno e più partito. + +La mente innamorata, che donnea +con la mia donna sempre, di ridure +ad essa li occhi più che mai ardea; + +e se natura o arte fé pasture +da pigliare occhi, per aver la mente, +in carne umana o ne le sue pitture, + +tutte adunate, parrebber nïente +ver’ lo piacer divin che mi refulse, +quando mi volsi al suo viso ridente. + +E la virtù che lo sguardo m’indulse, +del bel nido di Leda mi divelse, +e nel ciel velocissimo m’impulse. + +Le parti sue vivissime ed eccelse +sì uniforme son, ch’i’ non so dire +qual Bëatrice per loco mi scelse. + +Ma ella, che vedëa ’l mio disire, +incominciò, ridendo tanto lieta, +che Dio parea nel suo volto gioire: + +«La natura del mondo, che quïeta +il mezzo e tutto l’altro intorno move, +quinci comincia come da sua meta; + +e questo cielo non ha altro dove +che la mente divina, in che s’accende +l’amor che ’l volge e la virtù ch’ei piove. + +Luce e amor d’un cerchio lui comprende, +sì come questo li altri; e quel precinto +colui che ’l cinge solamente intende. + +Non è suo moto per altro distinto, +ma li altri son mensurati da questo, +sì come diece da mezzo e da quinto; + +e come il tempo tegna in cotal testo +le sue radici e ne li altri le fronde, +omai a te può esser manifesto. + +Oh cupidigia che i mortali affonde +sì sotto te, che nessuno ha podere +di trarre li occhi fuor de le tue onde! + +Ben fiorisce ne li uomini il volere; +ma la pioggia continüa converte +in bozzacchioni le sosine vere. + +Fede e innocenza son reperte +solo ne’ parvoletti; poi ciascuna +pria fugge che le guance sian coperte. + +Tale, balbuzïendo ancor, digiuna, +che poi divora, con la lingua sciolta, +qualunque cibo per qualunque luna; + +e tal, balbuzïendo, ama e ascolta +la madre sua, che, con loquela intera, +disïa poi di vederla sepolta. + +Così si fa la pelle bianca nera +nel primo aspetto de la bella figlia +di quel ch’apporta mane e lascia sera. + +Tu, perché non ti facci maraviglia, +pensa che ’n terra non è chi governi; +onde sì svïa l’umana famiglia. + +Ma prima che gennaio tutto si sverni +per la centesma ch’è là giù negletta, +raggeran sì questi cerchi superni, + +che la fortuna che tanto s’aspetta, +le poppe volgerà u’ son le prore, +sì che la classe correrà diretta; + +e vero frutto verrà dopo ’l fiore». + + + +Paradiso · Canto XXVIII + + +Poscia che ’ncontro a la vita presente +d’i miseri mortali aperse ’l vero +quella che ’mparadisa la mia mente, + +come in lo specchio fiamma di doppiero +vede colui che se n’alluma retro, +prima che l’abbia in vista o in pensiero, + +e sé rivolge per veder se ’l vetro +li dice il vero, e vede ch’el s’accorda +con esso come nota con suo metro; + +così la mia memoria si ricorda +ch’io feci riguardando ne’ belli occhi +onde a pigliarmi fece Amor la corda. + +E com’ io mi rivolsi e furon tocchi +li miei da ciò che pare in quel volume, +quandunque nel suo giro ben s’adocchi, + +un punto vidi che raggiava lume +acuto sì, che ’l viso ch’elli affoca +chiuder conviensi per lo forte acume; + +e quale stella par quinci più poca, +parrebbe luna, locata con esso +come stella con stella si collòca. + +Forse cotanto quanto pare appresso +alo cigner la luce che ’l dipigne +quando ’l vapor che ’l porta più è spesso, + +distante intorno al punto un cerchio d’igne +si girava sì ratto, ch’avria vinto +quel moto che più tosto il mondo cigne; + +e questo era d’un altro circumcinto, +e quel dal terzo, e ’l terzo poi dal quarto, +dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto. + +Sopra seguiva il settimo sì sparto +già di larghezza, che ’l messo di Iuno +intero a contenerlo sarebbe arto. + +Così l’ottavo e ’l nono; e chiascheduno +più tardo si movea, secondo ch’era +in numero distante più da l’uno; + +e quello avea la fiamma più sincera +cui men distava la favilla pura, +credo, però che più di lei s’invera. + +La donna mia, che mi vedëa in cura +forte sospeso, disse: «Da quel punto +depende il cielo e tutta la natura. + +Mira quel cerchio che più li è congiunto; +e sappi che ’l suo muovere è sì tosto +per l’affocato amore ond’ elli è punto». + +E io a lei: «Se ’l mondo fosse posto +con l’ordine ch’io veggio in quelle rote, +sazio m’avrebbe ciò che m’è proposto; + +ma nel mondo sensibile si puote +veder le volte tanto più divine, +quant’ elle son dal centro più remote. + +Onde, se ’l mio disir dee aver fine +in questo miro e angelico templo +che solo amore e luce ha per confine, + +udir convienmi ancor come l’essemplo +e l’essemplare non vanno d’un modo, +ché io per me indarno a ciò contemplo». + +«Se li tuoi diti non sono a tal nodo +sufficïenti, non è maraviglia: +tanto, per non tentare, è fatto sodo!». + +Così la donna mia; poi disse: «Piglia +quel ch’io ti dicerò, se vuo’ saziarti; +e intorno da esso t’assottiglia. + +Li cerchi corporai sono ampi e arti +secondo il più e ’l men de la virtute +che si distende per tutte lor parti. + +Maggior bontà vuol far maggior salute; +maggior salute maggior corpo cape, +s’elli ha le parti igualmente compiute. + +Dunque costui che tutto quanto rape +l’altro universo seco, corrisponde +al cerchio che più ama e che più sape: + +per che, se tu a la virtù circonde +la tua misura, non a la parvenza +de le sustanze che t’appaion tonde, + +tu vederai mirabil consequenza +di maggio a più e di minore a meno, +in ciascun cielo, a süa intelligenza». + +Come rimane splendido e sereno +l’emisperio de l’aere, quando soffia +Borea da quella guancia ond’ è più leno, + +per che si purga e risolve la roffia +che pria turbava, sì che ’l ciel ne ride +con le bellezze d’ogne sua paroffia; + +così fec’ïo, poi che mi provide +la donna mia del suo risponder chiaro, +e come stella in cielo il ver si vide. + +E poi che le parole sue restaro, +non altrimenti ferro disfavilla +che bolle, come i cerchi sfavillaro. + +L’incendio suo seguiva ogne scintilla; +ed eran tante, che ’l numero loro +più che ’l doppiar de li scacchi s’inmilla. + +Io sentiva osannar di coro in coro +al punto fisso che li tiene a li ubi, +e terrà sempre, ne’ quai sempre fuoro. + +E quella che vedëa i pensier dubi +ne la mia mente, disse: «I cerchi primi +t’hanno mostrato Serafi e Cherubi. + +Così veloci seguono i suoi vimi, +per somigliarsi al punto quanto ponno; +e posson quanto a veder son soblimi. + +Quelli altri amori che ’ntorno li vonno, +si chiaman Troni del divino aspetto, +per che ’l primo ternaro terminonno; + +e dei saper che tutti hanno diletto +quanto la sua veduta si profonda +nel vero in che si queta ogne intelletto. + +Quinci si può veder come si fonda +l’esser beato ne l’atto che vede, +non in quel ch’ama, che poscia seconda; + +e del vedere è misura mercede, +che grazia partorisce e buona voglia: +così di grado in grado si procede. + +L’altro ternaro, che così germoglia +in questa primavera sempiterna +che notturno Arïete non dispoglia, + +perpetüalemente ‘Osanna’ sberna +con tre melode, che suonano in tree +ordini di letizia onde s’interna. + +In essa gerarcia son l’altre dee: +prima Dominazioni, e poi Virtudi; +l’ordine terzo di Podestadi èe. + +Poscia ne’ due penultimi tripudi +Principati e Arcangeli si girano; +l’ultimo è tutto d’Angelici ludi. + +Questi ordini di sù tutti s’ammirano, +e di giù vincon sì, che verso Dio +tutti tirati sono e tutti tirano. + +E Dïonisio con tanto disio +a contemplar questi ordini si mise, +che li nomò e distinse com’ io. + +Ma Gregorio da lui poi si divise; +onde, sì tosto come li occhi aperse +in questo ciel, di sé medesmo rise. + +E se tanto secreto ver proferse +mortale in terra, non voglio ch’ammiri: +ché chi ’l vide qua sù gliel discoperse + +con altro assai del ver di questi giri». + + + +Paradiso · Canto XXIX + + +Quando ambedue li figli di Latona, +coperti del Montone e de la Libra, +fanno de l’orizzonte insieme zona, + +quant’ è dal punto che ’l cenìt inlibra +infin che l’uno e l’altro da quel cinto, +cambiando l’emisperio, si dilibra, + +tanto, col volto di riso dipinto, +si tacque Bëatrice, riguardando +fiso nel punto che m’avëa vinto. + +Poi cominciò: «Io dico, e non dimando, +quel che tu vuoli udir, perch’ io l’ho visto +là ’ve s’appunta ogne ubi e ogne quando. + +Non per aver a sé di bene acquisto, +ch’esser non può, ma perché suo splendore +potesse, risplendendo, dir “Subsisto”, + +in sua etternità di tempo fore, +fuor d’ogne altro comprender, come i piacque, +s’aperse in nuovi amor l’etterno amore. + +Né prima quasi torpente si giacque; +ché né prima né poscia procedette +lo discorrer di Dio sovra quest’ acque. + +Forma e materia, congiunte e purette, +usciro ad esser che non avia fallo, +come d’arco tricordo tre saette. + +E come in vetro, in ambra o in cristallo +raggio resplende sì, che dal venire +a l’esser tutto non è intervallo, + +così ’l triforme effetto del suo sire +ne l’esser suo raggiò insieme tutto +sanza distinzïone in essordire. + +Concreato fu ordine e costrutto +a le sustanze; e quelle furon cima +nel mondo in che puro atto fu produtto; + +pura potenza tenne la parte ima; +nel mezzo strinse potenza con atto +tal vime, che già mai non si divima. + +Ieronimo vi scrisse lungo tratto +di secoli de li angeli creati +anzi che l’altro mondo fosse fatto; + +ma questo vero è scritto in molti lati +da li scrittor de lo Spirito Santo, +e tu te n’avvedrai se bene agguati; + +e anche la ragione il vede alquanto, +che non concederebbe che ’ motori +sanza sua perfezion fosser cotanto. + +Or sai tu dove e quando questi amori +furon creati e come: sì che spenti +nel tuo disïo già son tre ardori. + +Né giugneriesi, numerando, al venti +sì tosto, come de li angeli parte +turbò il suggetto d’i vostri alimenti. + +L’altra rimase, e cominciò quest’ arte +che tu discerni, con tanto diletto, +che mai da circüir non si diparte. + +Principio del cader fu il maladetto +superbir di colui che tu vedesti +da tutti i pesi del mondo costretto. + +Quelli che vedi qui furon modesti +a riconoscer sé da la bontate +che li avea fatti a tanto intender presti: + +per che le viste lor furo essaltate +con grazia illuminante e con lor merto, +si c’hanno ferma e piena volontate; + +e non voglio che dubbi, ma sia certo, +che ricever la grazia è meritorio +secondo che l’affetto l’è aperto. + +Omai dintorno a questo consistorio +puoi contemplare assai, se le parole +mie son ricolte, sanz’ altro aiutorio. + +Ma perché ’n terra per le vostre scole +si legge che l’angelica natura +è tal, che ’ntende e si ricorda e vole, + +ancor dirò, perché tu veggi pura +la verità che là giù si confonde, +equivocando in sì fatta lettura. + +Queste sustanze, poi che fur gioconde +de la faccia di Dio, non volser viso +da essa, da cui nulla si nasconde: + +però non hanno vedere interciso +da novo obietto, e però non bisogna +rememorar per concetto diviso; + +sì che là giù, non dormendo, si sogna, +credendo e non credendo dicer vero; +ma ne l’uno è più colpa e più vergogna. + +Voi non andate giù per un sentiero +filosofando: tanto vi trasporta +l’amor de l’apparenza e ’l suo pensiero! + +E ancor questo qua sù si comporta +con men disdegno che quando è posposta +la divina Scrittura o quando è torta. + +Non vi si pensa quanto sangue costa +seminarla nel mondo e quanto piace +chi umilmente con essa s’accosta. + +Per apparer ciascun s’ingegna e face +sue invenzioni; e quelle son trascorse +da’ predicanti e ’l Vangelio si tace. + +Un dice che la luna si ritorse +ne la passion di Cristo e s’interpuose, +per che ’l lume del sol giù non si porse; + +e mente, ché la luce si nascose +da sé: però a li Spani e a l’Indi +come a’ Giudei tale eclissi rispuose. + +Non ha Fiorenza tanti Lapi e Bindi +quante sì fatte favole per anno +in pergamo si gridan quinci e quindi: + +sì che le pecorelle, che non sanno, +tornan del pasco pasciute di vento, +e non le scusa non veder lo danno. + +Non disse Cristo al suo primo convento: +‘Andate, e predicate al mondo ciance’; +ma diede lor verace fondamento; + +e quel tanto sonò ne le sue guance, +sì ch’a pugnar per accender la fede +de l’Evangelio fero scudo e lance. + +Ora si va con motti e con iscede +a predicare, e pur che ben si rida, +gonfia il cappuccio e più non si richiede. + +Ma tale uccel nel becchetto s’annida, +che se ’l vulgo il vedesse, vederebbe +la perdonanza di ch’el si confida: + +per cui tanta stoltezza in terra crebbe, +che, sanza prova d’alcun testimonio, +ad ogne promession si correrebbe. + +Di questo ingrassa il porco sant’ Antonio, +e altri assai che sono ancor più porci, +pagando di moneta sanza conio. + +Ma perché siam digressi assai, ritorci +li occhi oramai verso la dritta strada, +sì che la via col tempo si raccorci. + +Questa natura sì oltre s’ingrada +in numero, che mai non fu loquela +né concetto mortal che tanto vada; + +e se tu guardi quel che si revela +per Danïel, vedrai che ’n sue migliaia +determinato numero si cela. + +La prima luce, che tutta la raia, +per tanti modi in essa si recepe, +quanti son li splendori a chi s’appaia. + +Onde, però che a l’atto che concepe +segue l’affetto, d’amar la dolcezza +diversamente in essa ferve e tepe. + +Vedi l’eccelso omai e la larghezza +de l’etterno valor, poscia che tanti +speculi fatti s’ha in che si spezza, + +uno manendo in sé come davanti». + + + +Paradiso · Canto XXX + + +Forse semilia miglia di lontano +ci ferve l’ora sesta, e questo mondo +china già l’ombra quasi al letto piano, + +quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo, +comincia a farsi tal, ch’alcuna stella +perde il parere infino a questo fondo; + +e come vien la chiarissima ancella +del sol più oltre, così ’l ciel si chiude +di vista in vista infino a la più bella. + +Non altrimenti il trïunfo che lude +sempre dintorno al punto che mi vinse, +parendo inchiuso da quel ch’elli ’nchiude, + +a poco a poco al mio veder si stinse: +per che tornar con li occhi a Bëatrice +nulla vedere e amor mi costrinse. + +Se quanto infino a qui di lei si dice +fosse conchiuso tutto in una loda, +poca sarebbe a fornir questa vice. + +La bellezza ch’io vidi si trasmoda +non pur di là da noi, ma certo io credo +che solo il suo fattor tutta la goda. + +Da questo passo vinto mi concedo +più che già mai da punto di suo tema +soprato fosse comico o tragedo: + +ché, come sole in viso che più trema, +così lo rimembrar del dolce riso +la mente mia da me medesmo scema. + +Dal primo giorno ch’i’ vidi il suo viso +in questa vita, infino a questa vista, +non m’è il seguire al mio cantar preciso; + +ma or convien che mio seguir desista +più dietro a sua bellezza, poetando, +come a l’ultimo suo ciascuno artista. + +Cotal qual io lascio a maggior bando +che quel de la mia tuba, che deduce +l’ardüa sua matera terminando, + +con atto e voce di spedito duce +ricominciò: «Noi siamo usciti fore +del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: + +luce intellettüal, piena d’amore; +amor di vero ben, pien di letizia; +letizia che trascende ogne dolzore. + +Qui vederai l’una e l’altra milizia +di paradiso, e l’una in quelli aspetti +che tu vedrai a l’ultima giustizia». + +Come sùbito lampo che discetti +li spiriti visivi, sì che priva +da l’atto l’occhio di più forti obietti, + +così mi circunfulse luce viva, +e lasciommi fasciato di tal velo +del suo fulgor, che nulla m’appariva. + +«Sempre l’amor che queta questo cielo +accoglie in sé con sì fatta salute, +per far disposto a sua fiamma il candelo». + +Non fur più tosto dentro a me venute +queste parole brievi, ch’io compresi +me sormontar di sopr’ a mia virtute; + +e di novella vista mi raccesi +tale, che nulla luce è tanto mera, +che li occhi miei non si fosser difesi; + +e vidi lume in forma di rivera +fulvido di fulgore, intra due rive +dipinte di mirabil primavera. + +Di tal fiumana uscian faville vive, +e d’ogne parte si mettien ne’ fiori, +quasi rubin che oro circunscrive; + +poi, come inebrïate da li odori, +riprofondavan sé nel miro gurge, +e s’una intrava, un’altra n’uscia fori. + +«L’alto disio che mo t’infiamma e urge, +d’aver notizia di ciò che tu vei, +tanto mi piace più quanto più turge; + +ma di quest’ acqua convien che tu bei +prima che tanta sete in te si sazi»: +così mi disse il sol de li occhi miei. + +Anche soggiunse: «Il fiume e li topazi +ch’entrano ed escono e ’l rider de l’erbe +son di lor vero umbriferi prefazi. + +Non che da sé sian queste cose acerbe; +ma è difetto da la parte tua, +che non hai viste ancor tanto superbe». + +Non è fantin che sì sùbito rua +col volto verso il latte, se si svegli +molto tardato da l’usanza sua, + +come fec’ io, per far migliori spegli +ancor de li occhi, chinandomi a l’onda +che si deriva perché vi s’immegli; + +e sì come di lei bevve la gronda +de le palpebre mie, così mi parve +di sua lunghezza divenuta tonda. + +Poi, come gente stata sotto larve, +che pare altro che prima, se si sveste +la sembianza non süa in che disparve, + +così mi si cambiaro in maggior feste +li fiori e le faville, sì ch’io vidi +ambo le corti del ciel manifeste. + +O isplendor di Dio, per cu’ io vidi +l’alto trïunfo del regno verace, +dammi virtù a dir com’ ïo il vidi! + +Lume è là sù che visibile face +lo creatore a quella creatura +che solo in lui vedere ha la sua pace. + +E’ si distende in circular figura, +in tanto che la sua circunferenza +sarebbe al sol troppo larga cintura. + +Fassi di raggio tutta sua parvenza +reflesso al sommo del mobile primo, +che prende quindi vivere e potenza. + +E come clivo in acqua di suo imo +si specchia, quasi per vedersi addorno, +quando è nel verde e ne’ fioretti opimo, + +sì, soprastando al lume intorno intorno, +vidi specchiarsi in più di mille soglie +quanto di noi là sù fatto ha ritorno. + +E se l’infimo grado in sé raccoglie +sì grande lume, quanta è la larghezza +di questa rosa ne l’estreme foglie! + +La vista mia ne l’ampio e ne l’altezza +non si smarriva, ma tutto prendeva +il quanto e ’l quale di quella allegrezza. + +Presso e lontano, lì, né pon né leva: +ché dove Dio sanza mezzo governa, +la legge natural nulla rileva. + +Nel giallo de la rosa sempiterna, +che si digrada e dilata e redole +odor di lode al sol che sempre verna, + +qual è colui che tace e dicer vole, +mi trasse Bëatrice, e disse: «Mira +quanto è ’l convento de le bianche stole! + +Vedi nostra città quant’ ella gira; +vedi li nostri scanni sì ripieni, +che poca gente più ci si disira. + +E ’n quel gran seggio a che tu li occhi tieni +per la corona che già v’è sù posta, +prima che tu a queste nozze ceni, + +sederà l’alma, che fia giù agosta, +de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia +verrà in prima ch’ella sia disposta. + +La cieca cupidigia che v’ammalia +simili fatti v’ha al fantolino +che muor per fame e caccia via la balia. + +E fia prefetto nel foro divino +allora tal, che palese e coverto +non anderà con lui per un cammino. + +Ma poco poi sarà da Dio sofferto +nel santo officio; ch’el sarà detruso +là dove Simon mago è per suo merto, + +e farà quel d’Alagna intrar più giuso». + + + +Paradiso · Canto XXXI + + +In forma dunque di candida rosa +mi si mostrava la milizia santa +che nel suo sangue Cristo fece sposa; + +ma l’altra, che volando vede e canta +la gloria di colui che la ’nnamora +e la bontà che la fece cotanta, + +sì come schiera d’ape che s’infiora +una fïata e una si ritorna +là dove suo laboro s’insapora, + +nel gran fior discendeva che s’addorna +di tante foglie, e quindi risaliva +là dove ’l süo amor sempre soggiorna. + +Le facce tutte avean di fiamma viva +e l’ali d’oro, e l’altro tanto bianco, +che nulla neve a quel termine arriva. + +Quando scendean nel fior, di banco in banco +porgevan de la pace e de l’ardore +ch’elli acquistavan ventilando il fianco. + +Né l’interporsi tra ’l disopra e ’l fiore +di tanta moltitudine volante +impediva la vista e lo splendore: + +ché la luce divina è penetrante +per l’universo secondo ch’è degno, +sì che nulla le puote essere ostante. + +Questo sicuro e gaudïoso regno, +frequente in gente antica e in novella, +viso e amore avea tutto ad un segno. + +O trina luce che ’n unica stella +scintillando a lor vista, sì li appaga! +guarda qua giuso a la nostra procella! + +Se i barbari, venendo da tal plaga +che ciascun giorno d’Elice si cuopra, +rotante col suo figlio ond’ ella è vaga, + +veggendo Roma e l’ardüa sua opra, +stupefaciensi, quando Laterano +a le cose mortali andò di sopra; + +ïo, che al divino da l’umano, +a l’etterno dal tempo era venuto, +e di Fiorenza in popol giusto e sano, + +di che stupor dovea esser compiuto! +Certo tra esso e ’l gaudio mi facea +libito non udire e starmi muto. + +E quasi peregrin che si ricrea +nel tempio del suo voto riguardando, +e spera già ridir com’ ello stea, + +su per la viva luce passeggiando, +menava ïo li occhi per li gradi, +mo sù, mo giù e mo recirculando. + +Vedëa visi a carità süadi, +d’altrui lume fregiati e di suo riso, +e atti ornati di tutte onestadi. + +La forma general di paradiso +già tutta mïo sguardo avea compresa, +in nulla parte ancor fermato fiso; + +e volgeami con voglia rïaccesa +per domandar la mia donna di cose +di che la mente mia era sospesa. + +Uno intendëa, e altro mi rispuose: +credea veder Beatrice e vidi un sene +vestito con le genti glorïose. + +Diffuso era per li occhi e per le gene +di benigna letizia, in atto pio +quale a tenero padre si convene. + +E «Ov’ è ella?», sùbito diss’ io. +Ond’ elli: «A terminar lo tuo disiro +mosse Beatrice me del loco mio; + +e se riguardi sù nel terzo giro +dal sommo grado, tu la rivedrai +nel trono che suoi merti le sortiro». + +Sanza risponder, li occhi sù levai, +e vidi lei che si facea corona +reflettendo da sé li etterni rai. + +Da quella regïon che più sù tona +occhio mortale alcun tanto non dista, +qualunque in mare più giù s’abbandona, + +quanto lì da Beatrice la mia vista; +ma nulla mi facea, ché süa effige +non discendëa a me per mezzo mista. + +«O donna in cui la mia speranza vige, +e che soffristi per la mia salute +in inferno lasciar le tue vestige, + +di tante cose quant’ i’ ho vedute, +dal tuo podere e da la tua bontate +riconosco la grazia e la virtute. + +Tu m’hai di servo tratto a libertate +per tutte quelle vie, per tutt’ i modi +che di ciò fare avei la potestate. + +La tua magnificenza in me custodi, +sì che l’anima mia, che fatt’ hai sana, +piacente a te dal corpo si disnodi». + +Così orai; e quella, sì lontana +come parea, sorrise e riguardommi; +poi si tornò a l’etterna fontana. + +E ’l santo sene: «Acciò che tu assommi +perfettamente», disse, «il tuo cammino, +a che priego e amor santo mandommi, + +vola con li occhi per questo giardino; +ché veder lui t’acconcerà lo sguardo +più al montar per lo raggio divino. + +E la regina del cielo, ond’ ïo ardo +tutto d’amor, ne farà ogne grazia, +però ch’i’ sono il suo fedel Bernardo». + +Qual è colui che forse di Croazia +viene a veder la Veronica nostra, +che per l’antica fame non sen sazia, + +ma dice nel pensier, fin che si mostra: +‘Segnor mio Iesù Cristo, Dio verace, +or fu sì fatta la sembianza vostra?’; + +tal era io mirando la vivace +carità di colui che ’n questo mondo, +contemplando, gustò di quella pace. + +«Figliuol di grazia, quest’ esser giocondo», +cominciò elli, «non ti sarà noto, +tenendo li occhi pur qua giù al fondo; + +ma guarda i cerchi infino al più remoto, +tanto che veggi seder la regina +cui questo regno è suddito e devoto». + +Io levai li occhi; e come da mattina +la parte orïental de l’orizzonte +soverchia quella dove ’l sol declina, + +così, quasi di valle andando a monte +con li occhi, vidi parte ne lo stremo +vincer di lume tutta l’altra fronte. + +E come quivi ove s’aspetta il temo +che mal guidò Fetonte, più s’infiamma, +e quinci e quindi il lume si fa scemo, + +così quella pacifica oriafiamma +nel mezzo s’avvivava, e d’ogne parte +per igual modo allentava la fiamma; + +e a quel mezzo, con le penne sparte, +vid’ io più di mille angeli festanti, +ciascun distinto di fulgore e d’arte. + +Vidi a lor giochi quivi e a lor canti +ridere una bellezza, che letizia +era ne li occhi a tutti li altri santi; + +e s’io avessi in dir tanta divizia +quanta ad imaginar, non ardirei +lo minimo tentar di sua delizia. + +Bernardo, come vide li occhi miei +nel caldo suo caler fissi e attenti, +li suoi con tanto affetto volse a lei, + +che ’ miei di rimirar fé più ardenti. + + + +Paradiso · Canto XXXII + + +Affetto al suo piacer, quel contemplante +libero officio di dottore assunse, +e cominciò queste parole sante: + +«La piaga che Maria richiuse e unse, +quella ch’è tanto bella da’ suoi piedi +è colei che l’aperse e che la punse. + +Ne l’ordine che fanno i terzi sedi, +siede Rachel di sotto da costei +con Bëatrice, sì come tu vedi. + +Sarra e Rebecca, Iudìt e colei +che fu bisava al cantor che per doglia +del fallo disse ‘Miserere mei’, + +puoi tu veder così di soglia in soglia +giù digradar, com’ io ch’a proprio nome +vo per la rosa giù di foglia in foglia. + +E dal settimo grado in giù, sì come +infino ad esso, succedono Ebree, +dirimendo del fior tutte le chiome; + +perché, secondo lo sguardo che fée +la fede in Cristo, queste sono il muro +a che si parton le sacre scalee. + +Da questa parte onde ’l fiore è maturo +di tutte le sue foglie, sono assisi +quei che credettero in Cristo venturo; + +da l’altra parte onde sono intercisi +di vòti i semicirculi, si stanno +quei ch’a Cristo venuto ebber li visi. + +E come quinci il glorïoso scanno +de la donna del cielo e li altri scanni +di sotto lui cotanta cerna fanno, + +così di contra quel del gran Giovanni, +che sempre santo ’l diserto e ’l martiro +sofferse, e poi l’inferno da due anni; + +e sotto lui così cerner sortiro +Francesco, Benedetto e Augustino +e altri fin qua giù di giro in giro. + +Or mira l’alto proveder divino: +ché l’uno e l’altro aspetto de la fede +igualmente empierà questo giardino. + +E sappi che dal grado in giù che fiede +a mezzo il tratto le due discrezioni, +per nullo proprio merito si siede, + +ma per l’altrui, con certe condizioni: +ché tutti questi son spiriti ascolti +prima ch’avesser vere elezïoni. + +Ben te ne puoi accorger per li volti +e anche per le voci püerili, +se tu li guardi bene e se li ascolti. + +Or dubbi tu e dubitando sili; +ma io discioglierò ’l forte legame +in che ti stringon li pensier sottili. + +Dentro a l’ampiezza di questo reame +casüal punto non puote aver sito, +se non come tristizia o sete o fame: + +ché per etterna legge è stabilito +quantunque vedi, sì che giustamente +ci si risponde da l’anello al dito; + +e però questa festinata gente +a vera vita non è sine causa +intra sé qui più e meno eccellente. + +Lo rege per cui questo regno pausa +in tanto amore e in tanto diletto, +che nulla volontà è di più ausa, + +le menti tutte nel suo lieto aspetto +creando, a suo piacer di grazia dota +diversamente; e qui basti l’effetto. + +E ciò espresso e chiaro vi si nota +ne la Scrittura santa in quei gemelli +che ne la madre ebber l’ira commota. + +Però, secondo il color d’i capelli, +di cotal grazia l’altissimo lume +degnamente convien che s’incappelli. + +Dunque, sanza mercé di lor costume, +locati son per gradi differenti, +sol differendo nel primiero acume. + +Bastavasi ne’ secoli recenti +con l’innocenza, per aver salute, +solamente la fede d’i parenti; + +poi che le prime etadi fuor compiute, +convenne ai maschi a l’innocenti penne +per circuncidere acquistar virtute; + +ma poi che ’l tempo de la grazia venne, +sanza battesmo perfetto di Cristo +tale innocenza là giù si ritenne. + +Riguarda omai ne la faccia che a Cristo +più si somiglia, ché la sua chiarezza +sola ti può disporre a veder Cristo». + +Io vidi sopra lei tanta allegrezza +piover, portata ne le menti sante +create a trasvolar per quella altezza, + +che quantunque io avea visto davante, +di tanta ammirazion non mi sospese, +né mi mostrò di Dio tanto sembiante; + +e quello amor che primo lì discese, +cantando ‘Ave, Maria, gratïa plena’, +dinanzi a lei le sue ali distese. + +Rispuose a la divina cantilena +da tutte parti la beata corte, +sì ch’ogne vista sen fé più serena. + +«O santo padre, che per me comporte +l’esser qua giù, lasciando il dolce loco +nel qual tu siedi per etterna sorte, + +qual è quell’ angel che con tanto gioco +guarda ne li occhi la nostra regina, +innamorato sì che par di foco?». + +Così ricorsi ancora a la dottrina +di colui ch’abbelliva di Maria, +come del sole stella mattutina. + +Ed elli a me: «Baldezza e leggiadria +quant’ esser puote in angelo e in alma, +tutta è in lui; e sì volem che sia, + +perch’ elli è quelli che portò la palma +giuso a Maria, quando ’l Figliuol di Dio +carcar si volse de la nostra salma. + +Ma vieni omai con li occhi sì com’ io +andrò parlando, e nota i gran patrici +di questo imperio giustissimo e pio. + +Quei due che seggon là sù più felici +per esser propinquissimi ad Agusta, +son d’esta rosa quasi due radici: + +colui che da sinistra le s’aggiusta +è il padre per lo cui ardito gusto +l’umana specie tanto amaro gusta; + +dal destro vedi quel padre vetusto +di Santa Chiesa a cui Cristo le chiavi +raccomandò di questo fior venusto. + +E quei che vide tutti i tempi gravi, +pria che morisse, de la bella sposa +che s’acquistò con la lancia e coi clavi, + +siede lungh’ esso, e lungo l’altro posa +quel duca sotto cui visse di manna +la gente ingrata, mobile e retrosa. + +Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, +tanto contenta di mirar sua figlia, +che non move occhio per cantare osanna; + +e contro al maggior padre di famiglia +siede Lucia, che mosse la tua donna +quando chinavi, a rovinar, le ciglia. + +Ma perché ’l tempo fugge che t’assonna, +qui farem punto, come buon sartore +che com’ elli ha del panno fa la gonna; + +e drizzeremo li occhi al primo amore, +sì che, guardando verso lui, penètri +quant’ è possibil per lo suo fulgore. + +Veramente, ne forse tu t’arretri +movendo l’ali tue, credendo oltrarti, +orando grazia conven che s’impetri + +grazia da quella che puote aiutarti; +e tu mi seguirai con l’affezione, +sì che dal dicer mio lo cor non parti». + +E cominciò questa santa orazione: + + + +Paradiso · Canto XXXIII + + +«Vergine Madre, figlia del tuo figlio, +umile e alta più che creatura, +termine fisso d’etterno consiglio, + +tu se’ colei che l’umana natura +nobilitasti sì, che ’l suo fattore +non disdegnò di farsi sua fattura. + +Nel ventre tuo si raccese l’amore, +per lo cui caldo ne l’etterna pace +così è germinato questo fiore. + +Qui se’ a noi meridïana face +di caritate, e giuso, intra ’ mortali, +se’ di speranza fontana vivace. + +Donna, se’ tanto grande e tanto vali, +che qual vuol grazia e a te non ricorre, +sua disïanza vuol volar sanz’ ali. + +La tua benignità non pur soccorre +a chi domanda, ma molte fïate +liberamente al dimandar precorre. + +In te misericordia, in te pietate, +in te magnificenza, in te s’aduna +quantunque in creatura è di bontate. + +Or questi, che da l’infima lacuna +de l’universo infin qui ha vedute +le vite spiritali ad una ad una, + +supplica a te, per grazia, di virtute +tanto, che possa con li occhi levarsi +più alto verso l’ultima salute. + +E io, che mai per mio veder non arsi +più ch’i’ fo per lo suo, tutti miei prieghi +ti porgo, e priego che non sieno scarsi, + +perché tu ogne nube li disleghi +di sua mortalità co’ prieghi tuoi, +sì che ’l sommo piacer li si dispieghi. + +Ancor ti priego, regina, che puoi +ciò che tu vuoli, che conservi sani, +dopo tanto veder, li affetti suoi. + +Vinca tua guardia i movimenti umani: +vedi Beatrice con quanti beati +per li miei prieghi ti chiudon le mani!». + +Li occhi da Dio diletti e venerati, +fissi ne l’orator, ne dimostraro +quanto i devoti prieghi le son grati; + +indi a l’etterno lume s’addrizzaro, +nel qual non si dee creder che s’invii +per creatura l’occhio tanto chiaro. + +E io ch’al fine di tutt’ i disii +appropinquava, sì com’ io dovea, +l’ardor del desiderio in me finii. + +Bernardo m’accennava, e sorridea, +perch’ io guardassi suso; ma io era +già per me stesso tal qual ei volea: + +ché la mia vista, venendo sincera, +e più e più intrava per lo raggio +de l’alta luce che da sé è vera. + +Da quinci innanzi il mio veder fu maggio +che ’l parlar mostra, ch’a tal vista cede, +e cede la memoria a tanto oltraggio. + +Qual è colüi che sognando vede, +che dopo ’l sogno la passione impressa +rimane, e l’altro a la mente non riede, + +cotal son io, ché quasi tutta cessa +mia visïone, e ancor mi distilla +nel core il dolce che nacque da essa. + +Così la neve al sol si disigilla; +così al vento ne le foglie levi +si perdea la sentenza di Sibilla. + +O somma luce che tanto ti levi +da’ concetti mortali, a la mia mente +ripresta un poco di quel che parevi, + +e fa la lingua mia tanto possente, +ch’una favilla sol de la tua gloria +possa lasciare a la futura gente; + +ché, per tornare alquanto a mia memoria +e per sonare un poco in questi versi, +più si conceperà di tua vittoria. + +Io credo, per l’acume ch’io soffersi +del vivo raggio, ch’i’ sarei smarrito, +se li occhi miei da lui fossero aversi. + +E’ mi ricorda ch’io fui più ardito +per questo a sostener, tanto ch’i’ giunsi +l’aspetto mio col valore infinito. + +Oh abbondante grazia ond’ io presunsi +ficcar lo viso per la luce etterna, +tanto che la veduta vi consunsi! + +Nel suo profondo vidi che s’interna, +legato con amore in un volume, +ciò che per l’universo si squaderna: + +sustanze e accidenti e lor costume +quasi conflati insieme, per tal modo +che ciò ch’i’ dico è un semplice lume. + +La forma universal di questo nodo +credo ch’i’ vidi, perché più di largo, +dicendo questo, mi sento ch’i’ godo. + +Un punto solo m’è maggior letargo +che venticinque secoli a la ’mpresa +che fé Nettuno ammirar l’ombra d’Argo. + +Così la mente mia, tutta sospesa, +mirava fissa, immobile e attenta, +e sempre di mirar faceasi accesa. + +A quella luce cotal si diventa, +che volgersi da lei per altro aspetto +è impossibil che mai si consenta; + +però che ’l ben, ch’è del volere obietto, +tutto s’accoglie in lei, e fuor di quella +è defettivo ciò ch’è lì perfetto. + +Omai sarà più corta mia favella, +pur a quel ch’io ricordo, che d’un fante +che bagni ancor la lingua a la mammella. + +Non perché più ch’un semplice sembiante +fosse nel vivo lume ch’io mirava, +che tal è sempre qual s’era davante; + +ma per la vista che s’avvalorava +in me guardando, una sola parvenza, +mutandom’ io, a me si travagliava. + +Ne la profonda e chiara sussistenza +de l’alto lume parvermi tre giri +di tre colori e d’una contenenza; + +e l’un da l’altro come iri da iri +parea reflesso, e ’l terzo parea foco +che quinci e quindi igualmente si spiri. + +Oh quanto è corto il dire e come fioco +al mio concetto! e questo, a quel ch’i’ vidi, +è tanto, che non basta a dicer ‘poco’. + +O luce etterna che sola in te sidi, +sola t’intendi, e da te intelletta +e intendente te ami e arridi! + +Quella circulazion che sì concetta +pareva in te come lume reflesso, +da li occhi miei alquanto circunspetta, + +dentro da sé, del suo colore stesso, +mi parve pinta de la nostra effige: +per che ’l mio viso in lei tutto era messo. + +Qual è ’l geomètra che tutto s’affige +per misurar lo cerchio, e non ritrova, +pensando, quel principio ond’ elli indige, + +tal era io a quella vista nova: +veder voleva come si convenne +l’imago al cerchio e come vi s’indova; + +ma non eran da ciò le proprie penne: +se non che la mia mente fu percossa +da un fulgore in che sua voglia venne. + +A l’alta fantasia qui mancò possa; +ma già volgeva il mio disio e ’l velle, +sì come rota ch’igualmente è mossa, + +l’amor che move il sole e l’altre stelle. diff --git a/data/pattern.txt b/data/pattern.txt index f9aaec1..c7ebf20 100644 --- a/data/pattern.txt +++ b/data/pattern.txt @@ -1 +1 @@ -mamma +stella diff --git a/data/text.txt b/data/text.txt index affe5cc..f6ce475 100644 --- a/data/text.txt +++ b/data/text.txt @@ -1 +1,2 @@ -testo di esempio mamma altra mamma esempio prova mammamma esempio mamma +testo di esem +pio mamma altra mamma esempio prova mammamma esempio mamma diff --git a/sequential.c b/sequential.c new file mode 100644 index 0000000..8299e47 --- /dev/null +++ b/sequential.c @@ -0,0 +1,24 @@ +#include "util.h" +#include "kmp.h" +#include +#include + +int main() { + int text_len, pattern_len; + + char *text = read_file("data/dante.txt", &text_len); + char *pattern = read_file("data/pattern.txt", &pattern_len); 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